giovedì 31 agosto 2017

La montagna

Le montagne sono delfini in tuffo restati di sasso, sono corpi sdraiati con visi rugosi, sono infiniti seni rigogliosi da stringere e da succhiare. Forse, è la distanza insopportabile che hai dentro che ti tiene scollegato dal mondo, il bisogno urgente di dare forma alla follia. Eppure, l’imponenza della montagna è lì ogni mattina, per chi ha modo di vederla, a prendersi la scena, a suggerirti un’idea. Qualcuno ha la necessità di conquistarla, qualcuno invece si accontenta di... stare ai suoi piedi per venerarla. Ma lei non cammina, casomai, si muove, si stira, si gratta e molto spesso sbadiglia. Basta un viaggio in pianura senza meta per avere nostalgia. Salita e discesa, salita e discesa, un elettrocardiogramma, un direttore d’orchestra con la bacchetta in mano che la disegna, le tue dita nelle insenature, uno strumento a fiato, una tromba d’aria, una catena per afferrare la roccia, un chiodo fisso, uno strumento a corda, graffi sul viso, squarci sulla tela. La montagna dice sempre di sì ad ogni tua richiesta, non si è mai visto che scuota la testa. Girarci intorno come una spirale se vuoi salire, per scendere basta rotolare. Montagne di problemi, montagne di impegni, montagne di cose da fare, montagne di responsabilità, montagne di soldi. Se vuoi tradirla ci fai una galleria. Un buco nello stomaco, un intervento chirurgico, uno stupro. Dov’è il valore aggiunto quando alzi la testa, quando arrivi in cima, quando sei aggrappato alla parete dalla parte sbagliata?
- Oggi ho imparato una parola nuova: “enantiosemia”.
- E quindi?
- Tirare un sasso vuol dire lanciarlo, ma tirare la corda vuol dire andare più in alto.
- E tagliare la corda?
- Fuggire o salvare qualcuno.



martedì 1 agosto 2017

Liza e Rob

Era un tardo pomeriggio estivo d’agosto. Rob leggeva distrattamente un libro giallo, ogni due righe la sua testa dondolava come un pendolo. Tratteneva il respiro quando s’immergeva nella lettura, sembrava un delfino che rincorre una barca alla deriva. Dentro e fuori, dentro e fuori, dentro e fuori. Ogni tanto perdeva la concentrazione invaso dai pensieri, qualche tuffo nei ricordi. Chiuse il libro con vigore, quasi volesse schiacciare alcune parole, quasi volesse mischiarle, ...quasi volesse farle esplodere.
- Qualcosa non ti convince?
Rob provò a girarsi, Liza non gli diede il tempo di farlo. Allungò il braccio facendogli vedere solo la mano aperta verso il mare blu cobalto.
- Quella davanti è una delle tante agave presenti nei giardini, insieme a migliaia di altre piante tropicali… crescono benissimo. Cresce pure il papiro e il banano.
- Il Paradiso?
- Qualcosa del genere.
Liza posò quella mano sulla spalla di Rob e gli chiese:
- Apri il libro, vai a pagina 40 riga 20 e leggi le due righe che di solito hai l’abitudine di fare.
Rob diede un’occhiata alle bianche unghie di Liza e pensò che basta veramente poco per crescere. Aprì minuziosamente le pagine ferite, arrivò alla pagina richiesta e contò le righe facendo scivolare il dito indice, mentre le unghie intimidite di Liza stringevano il deltoide. Avevano talmente paura che deglutirono insieme. Lui prese a leggere:
- Da soli si può vivere perfettamente… - si fermò a riprendere fiato.
- Vai avanti… - disse Liza affondando le unghie.
- Ma non una vita.
Rob finalmente si girò e la vide nella sua interezza. Le unghie erano entrate nella carne.
- E questo cos’è, un Paradiso interno?
- Chi lo sa! Magari mi è sfuggito qualcosa… mi sfugge sempre qualcosa.
Liza lasciò la presa, Rob vide mezze lune rosse come sorrisi sulla sua pelle.
- So già chi è l’assassino.
- Hai delle belle unghie.
- Crescono benissimo.
Per un attimo ebbero una gran voglia di piangere.