lunedì 26 ottobre 2015

Il fiore banano del Paranà


C’era una volta un bambino, un nano, un ubriaco e un cane. Puzzavano come delle carogne, quindi, si riconobbero subito. Il bambino era scappato da un orfanotrofio, il nano da un circo, il cane da un canile e l’ubriaco da se stesso.
- Mi mancano i genitori! – disse il bambino.
- Mi manca l’altezza! – disse il nano.
- Mi manca la bottiglia! – disse l’ubriaco.
- Bau! – disse il cane.
Tutti e quattro erano seduti sulla panchina e si grattavano, o meglio si scambiavano le pulci.
Vicino a loro, all’improvviso, sbocciò un fiore profumato. Era così bello che il bambino tentò di raccoglierlo.
- Non toccarlo! – disse l’ubriaco.
- Perché? – chiese il nano.
- È il famoso fiore banano del Paranà!
- Ah! – risposero all’unisono il bambino, il nano e il cane.
Dopo alcune ore quel fiore diventò un grande banano, e si misero a vendere banane gialle alla gente del parco. Nel giro di poche settimane diventarono ricchi da far schifo. Quel fiore, divenuto pianta, faceva delle banane così buone che producevano felicità ovunque. Si fecero una bella foto tutti insieme sorridenti: il bambino in braccio all’ubriaco, il nano in piedi sulla panchina a fare con la mano un semplice saluto, e il cane su due zampe con un bell’osso in bocca.
Un giorno arrivarono i gendarmi, gli assistenti sociali, i medici, gli scienziati, i politici, i vescovi, gli psicologi, le telecamere, i telegiornali, e tagliarono la pianta. Il bambino venne mandato in una famiglia bene che lo adottò, e gli diede tutto il bene del mondo, quello della famiglia bene. Il nano si scoprì che era albanese e che sapeva passare sotto le porte delle case, quindi, era un ladro che si doveva sparare per legittima difesa. Infatti, fece quella fine, lui che aveva sempre sostenuto che passava attraverso le serrature. Venne fucilato da pensionati per bene. Il vecchio ubriaco venne internato dato che quelle simpatie per il piccolo erano alquanto stravaganti, così definite dai dotti, medici e sapienti. Lo imbottirono di psicofarmaci e di elettroshock da mandarlo col cervello in un altro mondo, il mondo catatonico. Il cane, infine, non era vaccinato e non si poteva lasciare in giro uno che si curava leccandosi il culo. Lo presero e gli tagliarono la gola.
Venti anni dopo, il bambino già grande, con la laurea in architettura, filosofia, vincitore di x-factor, scrittore, e campione del mondo di salto in alto, basket e tuffi dal trampolino, decise di tornare alla panchina del fiore banano del Paranà. Il fiore lo riconobbe e fece una pianta ancora più grande.
- Bananeeee, bananeee!!! Venite gente, venite!! Queste banane sono morbide, succose. Venite gente, queste banane fanno sognare – urlava felice.
Quel bambino, diventato adulto, aprì un’attività vendendo banane della felicità. Sull’insegna ci mise la foto dei suoi compari e chiamò il negozio “I quattro banani”.
- Mi scusi, chi sono quelli?
- I miei genitori.

mercoledì 21 ottobre 2015

L'arciere


Prese bene la mira, mollò la corda e la freccia partì. Non prese alcun bersaglio e si conficcò a terra. Non aveva colpito alcun guerriero, malgrado fossero in migliaia a correre armati verso il suo castello. Prese lentamente un’altra freccia, la dispose correttamente nell’arco, mirò verso il sole e la fece sibilare. La traiettoria era sempre la stessa: semicircolare. La freccia non colpì nessuno neanche questa volta. Ne lanciò altre con la stessa cura, e il risultato fu sempre lo stesso: un buco per terra. L’arciere in questione era consapevole di non voler uccidere alcuno. La sua precisione era chirurgica; da ragazzo si allenava con gli uccelli migratori. Infatti, la prima volta che prese l’arco e le frecce, regalo del padre per il suo quattordicesimo compleanno, tentò di uccidere un uccello. Era un giorno di autunno, lui prese la via dei boschi. Appostatosi dietro una quercia, aspettò che centinaia di uccelli si mettessero a danzare nel cielo formando straordinari stormi. Quando li vide, prese la mira e scagliò la freccia nel cielo. Passò in mezzo a tutti i volatili andando a conficcarsi in una nuvola. Comprese immediatamente il suo talento: era un arciere fuori bersaglio. Era bravo a non colpire niente.
La guerra finì, il suo castello fu conquistato, lui venne catturato e poi lasciato libero per buona condotta.
Un giorno, sulla cima di una montagna, scagliò la sua ultima freccia che fece il giro del mondo. Attese un mese. Esattamente il trentunesimo giorno, la freccia cadde ai suoi piedi.
- Cosa hai visto?
- Frecce che andavano a bersaglio.
- E tu perché sei tornata?
- Per essere lanciata nell’universo!
Prese la freccia e gli diede il ben servito.
La freccia passò tutte le galassie e uscì dall’universo. Quello che osservò fu straordinario, infatti, vide il bersaglio.
- Finalmente! – disse.
E colpì in pieno l’infinito.


domenica 18 ottobre 2015

Ti prometto


Ti prometto l’inverno
La neve sulle montagne
Le sciarpe al collo
Io col mio cappello.
Ti prometto la primavera
I bucaneve sulle montagne
Le sciarpe volano
Io col mio cappello.
Ti prometto l’estate
La neve dall’altra parte del mondo
Le sciarpe nell’armadio
Io col mio cappello.
Ti prometto l’autunno
Le foglie sulle montagne
Le sciarpe
Io col mio cappello.
Ti prometto questo quadro infinito
Una cornice d’oro
Un ricordo
Io col mio cappello.

sabato 17 ottobre 2015

Una storia veloce


Ho bisogno di una storia veloce. Una storia da scrivere in un minuto, solo per darmi un po’ di pace. Ho bisogno di una storia svelta, di questi tempi, per infondermi sollievo, per catapultarmi fuori con un sorriso.
Avrei necessità che un fantasma mi parli, qualcosa che non sia visibile, una voce fuori dal coro, un sibilo di calda emozione.
- Non mi vedi?
- Dove sei?
- Nella tua storia breve.
- Cosa hai da dire?
- Dammi un minuto che ci devo pensare.


domenica 11 ottobre 2015

Il reggiseno

- Passami il reggiseno.
Glielo diedi come se avessi tenuto tra le dita un marchingegno complicato. Infatti, smontare un reggiseno, per me, era come tentare di smontare un motore di un’astronave. Eppure erano solo un paio di gancetti, che io, come al solito, faticavo a slacciarli nel momento migliore. A volte avrei voluto nascere fabbro o qualcosa del genere. Lei, invece, mi fece vedere come fosse facile da agganciare; era talmente brava che lo faceva con le mani dietro la schiena. Sembrava una farfalla con le ali chiuse.
- Visto! È facile!
Mi stava prendendo per il culo. Si stava rivestendo piano. Lo faceva così bene che era meglio di uno spogliarello. Adoravo vederla tornare quella di prima, potevo di nuovo immaginarla.
- Vorrei restare a dormire da te… ma sai come sono… non metto radici.
Aveva detto tutto lei. Ogni volta che finivamo di fare l’amore, io non parlavo mai.
- Posso fumarmi una sigaretta sul balcone?
Non le dissi niente, e lei lo fece come se non lo avesse mai chiesto. Ma lei chiedeva sempre e io non rispondevo: chi tace acconsente o qualcosa del genere.
- Sei stato un diavolo a letto, stasera! – mi disse col fumo che entrava dalla finestra aperta. Le tende si muovevano e lasciavano entrare alcuni frammenti della sua ombra. Rientrò, prese la sua borsa, e se ne andò chiudendo piano la porta. Io rimasi a fissare il soffitto…
- Ma come cazzo si slacciano?

giovedì 8 ottobre 2015

Eccoti qua


Eccoti qua, così attesa come una chiave che apre la porta. Ti ho cercata nel mazzo e sei uscita: una carta da briscola. Sopra di te i carichi e le figure inutili, eri mischiata come si mischiano le foglie a terra. Tra i rami secchi di un bosco ti ho calpestata, tra i muschi, ti ho raccolta. Ti ho sistemata, per un futuro presepe. Eri nelle bollicine di bevande gasate e nelle briciole del pane. Ti ho vista tra le formiche a raccoglierne alcune, a correre verso l’insenatura del battiscopa, che avevo rotto quel giorno che prendevo a calci la vita. Eri tra le stelle, dove è più facile trovarti, molto più complicato cercarti tra le cellule.
Eccoti qua, sul palmo della mia mano pronta per nutrire la mia deliziosa fame. Aspetto che tu faccia una mossa, che cammini sulla linea della fortuna: tu vagabonda, io il tuo cane. Se dovessi incontrarti nel disordine della mia casa, ti troverei infilata come un segnalibro a trovare un nesso, o in un’orecchia chiusa, di una pagina, dove quella frase sottolineata, inizia a prendere corpo adesso.
- Eccoti qua.
- Scusa il ritardo… non trovavo parcheggio.
- A quest’ora c’è un sacco di gente che cerca un rifugio.

martedì 6 ottobre 2015

Metti su qualcosa...

- Metti su qualcosa…
Presi un vecchio vinile dei Fleetwood mac e lasciai che il braccio dello stereo desse il giusto peso alla puntina. Il disco nero ruotava e ondulava. Lo stereo era un vecchio Pioneer, leggermente deteriorato, dove mancava il tasto del tono: infatti aveva un tono tutto suo che a noi andava bene. Quella voce femminile usciva con una dolcezza prepotente, quindi, decidemmo di ballare sul tappeto rosso a piedi nudi. Facevamo andare le braccia come onde leggere, mentre i nostri occhi andavano a terra, a guardare i nostri passi. Ogni tanto ci permettevamo un sorriso di circostanza. La wodka alla menta aveva aumentato la temperatura, anche se la bocca era fin troppo fresca, diciamo perfetta per un bacio freddo da scaldare. La musica finì proprio quando avevo deciso di agire.
- Metti qualcos’altro…
Presi qualcosa di più lento, George Michael in una cover dei Police. Feci il botto. Anche se lei si chiamava Rosanna. Le chiesi scusa mentre la tenevo tra le braccia.
- Rosanna o Rossana non fa differenza, bravo!!!
- Grazie!
Avevo capito tutto.
Credo di saper mettere sempre la musica giusta.
- Mi gira la testa…
“Bene, ora la bacio…” pensai.
Avvicinai le mie labbra alle sue, ma lei si girò da una parte, e fece una gran torta sul tappeto rosso.
- Buon compleanno!! – mi disse turbata.
- Mancano ancora un paio di mesi.
- Beh, per quel giorno ti porterò le candeline.

giovedì 1 ottobre 2015

IO

C’era un tizio che si chiamava IO. IO aveva un nome, un indirizzo; aveva un lavoro, un ideale, una religione. IO aveva una carta di credito, e che ci crediate o no, aveva anche un codice fiscale. IO aveva un amore. IO sapeva scopare. IO leggeva e si informava. L’ho conosciuto una sera che passeggiava. Aveva vestiti alla moda. IO era sicuro di essere IO, ne era certo.
- IO sono così…
Parlava da solo e si atteggiava. IO era anche un tipo che si preoccupava, che aveva paura, che si arrabbiava, IO era tutto ciò che doveva. Quando mi avvicinai, IO ebbe un sussulto, non si aspettava che ci fossi IO.
- Chi sei?
- IO.
- IO sono IO.
Chi era sto tizio? Era veramente IO?
- Senti bello, tu non puoi cambiare quello che sono IO.
Mi sembrava di conoscerlo. Lo guardai bene: IO era uno specchio pulito.
- Tu non sai chi sono IO! – mi urlò alle spalle.
Mi allontanai da IO, era solo un palcoscenico, perché quello che cercavo era lo spettacolo. Andai così lontano che diventai un altro.

- E IO?