E il ghiaccio si sedette sulla panchina.
- Ci si rivede come sempre!
- E mai una volta che porti il whisky!
venerdì 31 gennaio 2014
giovedì 30 gennaio 2014
mercoledì 29 gennaio 2014
Nuca di donna sulla panchina
Eccomi qua. Sono l’energia vagabonda, la
temperanza con le ampolle in mano per far scorrere l’acqua. Dalle mie mani non
cadono gocce ma solo speranza, tra cestelli di una bilancia che equilibra il
mio umore. Sono l’angelo che si pettina la mattina e il demone che allontana la
malattia. Sono lupa che sbrana se oltrepassi il limite, però se una formica mi
cammina a fianco so diventare docile. I miei occhi vanno nel sottosuolo per
abbracciare il cielo e l’altra faccia della luna, quella senza velo, che ti
mostra la nuca e una scia rosa di galassie di felicità, per catapultarti qui e su
plutone, giusto per provare un attimo il senso dell’ubiquità. Se ti porto in
posti che ti sembrano fuori dal comune sentire è solo perché ho orecchie
diverse per ascoltare. Non è compassione e neanche ricerca interiore, è l’istinto
primordiale, è la vita stessa che mi viene a trovare. Se conosci il mio cuore
troverai enormi padiglioni che sventolano e un grande barrito di gioia che è il
battito animale. Questa sono io, quella che sa ferrare i cavalli, quella che sa
entrare come un elefante in un negozio di cristalli.
- Con chi stavi parlando? – chiese l’uomo
dopo aver scattato la foto.
- Con 50 trilioni di personeCi sono quelli
Ci sono quelli che fanno troppo e non è mai abbastanza
Ci sono quelli che fanno poco perché poco per volta
Ci sono quelli che fanno per raggiungere un obbiettivo
Ci sono quelli che fanno per iniziare un percorso
Ci sono quelli che fanno e fanno… e fanno...
Ci sono quelli che si aprono a ventaglio e quelli che si chiudono a riccio
Ci sono quelli che baciano ad occhi chiusi e quelli che sognano ad occhi aperti
E ci sono quelli che vincono per manifesta inferiorità.
Proprio così. Steven Bradbury vince la medaglia d’oro alle olimpiadi, in una specialità che faccio fatica a scrivere, ma dove si pattina sul ghiaccio girandoci intorno. E lui ci gira intorno rimanendo nelle retrovie, non per scelta, non per tattica ma per manifesta inferiorità. Era uno sfigato, buoni piazzamenti e niente di più, e poi un grave infortunio dove rischiò la vita. In una gara cadde in una curva e la lama del pattino di un concorrente gli aprì l’arteria femorale con perdita di 4 kg di sangue rischiando la morte per dissanguamento. 18 mesi di riabilitazione e 111 punti di sutura, roba da far smettere anche un cinghiale. Decide di partecipare sapendo che i quarti di finale per lui sono già un onorevole traguardo. Quello che accade è davvero una favola, una presa in giro alla realtà, una sorta di eventi grotteschi che portano questo ragazzo a vincere senza partecipare.
Questo avvenimento è una presa per il culo a tutte le cose fatte bene, alla preparazione minuziosa alla gara sportiva, una grassa risata alla vita e al mondo intero. Un perdente che si è fatto una pattinata come fare una passeggiata nel parco, uno di passaggio, uno che non se lo cagava nessuno. Mentre i grandi campioni si prendevano a sportellate come fanno i pessimi arrivisti, lui è passato tranquillamente come quelli che passano con una sigaretta in mano come se niente fosse, facendo anche anelli di fumo con la bocca.
Se li è fumati lentamente come fumano i capi indiani.
Lo so, sarò volgare e un po’ stronzo, ma se fossi stato io Steven Bradbury appena passato il traguardo avrei detto, girandomi, senta esitazione:
- Baciatemi il culo!
Don’t panic, We live in a beautiful world!
http://youtu.be/j3i4lsieGQcCi sono quelli che fanno poco perché poco per volta
Ci sono quelli che fanno per raggiungere un obbiettivo
Ci sono quelli che fanno per iniziare un percorso
Ci sono quelli che fanno e fanno… e fanno...
Ci sono quelli che si aprono a ventaglio e quelli che si chiudono a riccio
Ci sono quelli che baciano ad occhi chiusi e quelli che sognano ad occhi aperti
E ci sono quelli che vincono per manifesta inferiorità.
Proprio così. Steven Bradbury vince la medaglia d’oro alle olimpiadi, in una specialità che faccio fatica a scrivere, ma dove si pattina sul ghiaccio girandoci intorno. E lui ci gira intorno rimanendo nelle retrovie, non per scelta, non per tattica ma per manifesta inferiorità. Era uno sfigato, buoni piazzamenti e niente di più, e poi un grave infortunio dove rischiò la vita. In una gara cadde in una curva e la lama del pattino di un concorrente gli aprì l’arteria femorale con perdita di 4 kg di sangue rischiando la morte per dissanguamento. 18 mesi di riabilitazione e 111 punti di sutura, roba da far smettere anche un cinghiale. Decide di partecipare sapendo che i quarti di finale per lui sono già un onorevole traguardo. Quello che accade è davvero una favola, una presa in giro alla realtà, una sorta di eventi grotteschi che portano questo ragazzo a vincere senza partecipare.
Questo avvenimento è una presa per il culo a tutte le cose fatte bene, alla preparazione minuziosa alla gara sportiva, una grassa risata alla vita e al mondo intero. Un perdente che si è fatto una pattinata come fare una passeggiata nel parco, uno di passaggio, uno che non se lo cagava nessuno. Mentre i grandi campioni si prendevano a sportellate come fanno i pessimi arrivisti, lui è passato tranquillamente come quelli che passano con una sigaretta in mano come se niente fosse, facendo anche anelli di fumo con la bocca.
Se li è fumati lentamente come fumano i capi indiani.
Lo so, sarò volgare e un po’ stronzo, ma se fossi stato io Steven Bradbury appena passato il traguardo avrei detto, girandomi, senta esitazione:
- Baciatemi il culo!
Don’t panic, We live in a beautiful world!
Maradona
Se dovessi descrivere che cos’è la preveggenza, ecco, tra il 18esimo e il 19esimo secondo di questo video: il tornare indietro, perché se fosse andato avanti probabilmente finiva lì, con una palla persa (difficile) o con un passaggio, invece lui decide con due tocchi di lasciare alle spalle due avversari e di prendersi alle spalle una nazione intera: l’Argentina, soprattutto dopo quello che era accaduto 4 anni prima con la guerra delle Falkland, sì, perché Maradona sapeva che lo stava facendo per quello e probabilmente anche per i desaparecidos. Si scarta l’Inghilterra intera con eleganza, potenza, velocità e preveggenza, proprio così, lui con quel passo indietro conosce già quello che andrà a fare. Fa qualcosa che nel calcio c’entra fino ad un certo punto, dato che è un gioco collettivo, fatto di schemi, regole, posizioni in campo, lui rompe lo schema, spezza il vetro e regala a noi trasparenza. Viene a galla tutto l’iceberg del subconscio e si rende invisibile insieme al pallone che è legato, con cura zen, al suo piede, da una corda sottile anch’essa invisibile, scardinando il comune pensiero inteso come luogo. Lui se ne fotte dei 4-4-2 o 4-3-3 per fare esempi tattici, lui se li fuma tutti, e davanti al portiere fa una roba meravigliosa, accarezza di interno piede la palla come se le volesse bene, come per dire che se l’ha fatto arrivare fino a lì deve lasciarsi buttare dentro la rete come una donna che cade ai suoi piedi. Quella leggera percezione di finta, avendo il baricentro basso, che lascia il portiere seduto e il naufragar m'è dolce in questo mare. La bellezza della vita: una pennellata di Van Gogh, un’aria lirica della Callas, il tango di Al Pacino in scent of woman o in Scaface o meglio “Che te lo dico a fare” in Donnie Brasco, o la frase finale nelle notti bianche di Dostoevskij. Quanto dura questa cavalcata fantastica? Li ho contati: 11 secondi come la schitarrata di Jimi Hendrix in Foxy lady prima della voce (i'm coming to get you).
Rivedo quest’azione ogni volta che posso, soprattutto quando penso che il futuro possa essere complesso, comprendendo che Maradona, il futuro, in quei 11 secondi, ce lo aveva addosso. Si può cambiare la vita in una frazione di secondo? Non lo so, ma si potrebbe magari fare un passo indietro, forse un passo avanti, anche più lungo della gamba, o rimanere fermi come un pendolo oscillando come fanno le menti degli orientali. Basta poco per essere straordinariamente meravigliosi, bastano 11 secondi a volte.
Rivedo quest’azione ogni volta che posso, soprattutto quando penso che il futuro possa essere complesso, comprendendo che Maradona, il futuro, in quei 11 secondi, ce lo aveva addosso. Si può cambiare la vita in una frazione di secondo? Non lo so, ma si potrebbe magari fare un passo indietro, forse un passo avanti, anche più lungo della gamba, o rimanere fermi come un pendolo oscillando come fanno le menti degli orientali. Basta poco per essere straordinariamente meravigliosi, bastano 11 secondi a volte.
http://youtu.be/1wVho3I0NtU
lunedì 27 gennaio 2014
Pozzanghera
Arrivò con una pozzanghera in mano quasi
a ricordare un racconto che parlava di anitre che scompaiono in inverno.
- Ma dove vanno? - Cosa?
- Niente, ti piace?
- Bella… ma come hai fatto a raccoglierla?
- Ci ho messo un po’ sai?
domenica 26 gennaio 2014
Il giorno della memoria
Bisogna starci dentro
a tremare sotto le coperte
tra parole ordinate come tegole di un tetto
a comprendere dai camini ciò che fummo.
Bisogna starci dentro
ad una nevicata d’inverno
al freddo a digrignare i denti
in un soffio di spifferi gelidi
solo per tentare di incantare i serpenti.
Bisogna starci dentro
a fare una doccia senz’acqua
quando sai che è gasata
dai rubinetti che spruzzano
una squallida partita truccata.
- Cosa?
- Non lo so. Bisogna starci dentro.
(Il venditore di incipit)
a tremare sotto le coperte
tra parole ordinate come tegole di un tetto
a comprendere dai camini ciò che fummo.
Bisogna starci dentro
ad una nevicata d’inverno
al freddo a digrignare i denti
in un soffio di spifferi gelidi
solo per tentare di incantare i serpenti.
Bisogna starci dentro
a fare una doccia senz’acqua
quando sai che è gasata
dai rubinetti che spruzzano
una squallida partita truccata.
- Un giorno l’avevo messa dentro, sai! Ci fu un rasoterra in
diagonale da un calcio d’angolo sbagliato, quei cross colpiti male. Ero fuori
area, in quel periodo non andavo a saltare. Ero al limite. Vidi questa palla
telecomandata da Dio che arrivava verso me, rotolava perfettamente, e la sua
velocità era in linea con la mia mente. Io le andai incontro come un bambino verso
la sua mamma, e l’impatto tra il mio piede e questo mondo fu un abbraccio di un
secondo, un big bang ad occhi chiusi, un tuono dopo il lampo, l’origine della
vita e dell’universo. Andò proprio lì, in quell’incrocio, dove tutti quelli che
tirano calci sognano un giorno di ficcarcelo. In quell’angolo tra i due pali
dove il ragno tesserebbe la tela, ma il ragno resto fermo con i guantoni in
mano, a pregare lo stesso Dio che potesse stamparsi sul palo. La rete si gonfiò
in assenza di vento e il pallone ribalzò aldilà della riga bianca. Corsi veloce
verso il nulla, verso spettatori invisibili che sventolavano i miei colori, perché
per un attimo avevo creduto di conoscere il futuro. Fu l’ultima partita in quel
campo prima che ci venissero a prendere gli avversari per portarci di forza in
un concentramento.
- Perché guardiamo tutti in alto?
- Aspettiamo!- Cosa?
- Non lo so. Bisogna starci dentro.
(Il venditore di incipit)
venerdì 24 gennaio 2014
San Remo e Francesco Nuti
Il treno entrò nella galleria e Stefania era seduta di fronte a me in uno scompartimento vuoto. Il mangiacassette, con le pile quasi scariche, gracchiava musica del Festival in continuazione. Nel buio lei mi baciò velocemente come si baciano i tredicenni. Era una gita, vacanze romane di una Roma spogliata dai nostri genitori. Le nostre lingue s’intrecciarono in quella maledetta primavera che ci costringeva a crescere tra papaveri e papere. Fulvio era appena uscito per andare in bagno, perché se la faceva, non addosso, con Elisa o per Elisa giusto per vedere se Alice esistesse davvero nel paese delle meraviglie. Voleva solo una vita tranquilla, e perché no, anche una vita spericolata. Lo trovarono anni dopo come uomini soli in una vasca da bagno diventata un’astronave per volare in una terra promessa, solo per capire che non si può morire dentro, ma questa è un’altra storia, un altro festival, quello del bar, ricordando con 7000 caffè, Luigi Tenco che grazie ad una canzone eliminata salutava lei con un ciao amore ciao come soldati che partivano per una guerra da cui risorgere.
Furono 5 giorni di felicità, lei era confusa e felice, ed io come foglie vibravo nella notte del mistero.
- Portami a ballare – mi chiese.
Ed io le risposi citando titoli di canzoni.
- Con te partirò.
- Non voglio mica la luna!
- E non finisce mica il cielo!
E giù a ridere come scemi giocando a chi le sapeva di più.
- Ancora ti prego!
- Bella da morire
- Come si cambia per non morire.
- Se stiamo insieme ci sarà un perché.
- Dimmi che cos’è?
- Vorrei incontrarti tra cent’anni nella terra dei cachi!
- Ma che dici!
- Vado al massimo con te.
- Non ho l’età per amarti.
- E se domani…
E il domani arrivò come un caffè nero bollente giusto per capire com’è lasciarsi un giorno a Roma, con una lacrima sul viso e con le spalle al muro, dove mi spiaccicò in faccia tutti i miei sbagli con fiumi di parole.
Fece alcuni passi d’addio e poi si voltò rigata in viso.
- E dimmi che non vuoi morire…
- Come saprei, angelo, digerire le pietre?
- Passerà come passano i marinai sulla panchina.
Mesi dopo immerso nella solitudine pensai di andarla a cercare sotto casa ma mi mancava la luce e anche l’aria: l’essenziale.
Salirò dove spunta la luna dal monte, tra montagne verdi, fino all’immensità del cielo.
Questo per dire che le canzoni te le porti appresso, ti si appiccano addosso e non ti lasciano più, come quella volta molti anni più tardi, un sabato sera di marzo, in un locale qualunque, una ragazza molto carina si avvicinò a me come per chiedermi una sigaretta:
- Scusa..
- Dimmi...
- Chi ha vinto San Remo?
- Sarà per te.
Furono 5 giorni di felicità, lei era confusa e felice, ed io come foglie vibravo nella notte del mistero.
- Portami a ballare – mi chiese.
Ed io le risposi citando titoli di canzoni.
- Con te partirò.
- Non voglio mica la luna!
- E non finisce mica il cielo!
E giù a ridere come scemi giocando a chi le sapeva di più.
- Ancora ti prego!
- Bella da morire
- Come si cambia per non morire.
- Se stiamo insieme ci sarà un perché.
- Dimmi che cos’è?
- Vorrei incontrarti tra cent’anni nella terra dei cachi!
- Ma che dici!
- Vado al massimo con te.
- Non ho l’età per amarti.
- E se domani…
E il domani arrivò come un caffè nero bollente giusto per capire com’è lasciarsi un giorno a Roma, con una lacrima sul viso e con le spalle al muro, dove mi spiaccicò in faccia tutti i miei sbagli con fiumi di parole.
Fece alcuni passi d’addio e poi si voltò rigata in viso.
- E dimmi che non vuoi morire…
- Come saprei, angelo, digerire le pietre?
- Passerà come passano i marinai sulla panchina.
Mesi dopo immerso nella solitudine pensai di andarla a cercare sotto casa ma mi mancava la luce e anche l’aria: l’essenziale.
Salirò dove spunta la luna dal monte, tra montagne verdi, fino all’immensità del cielo.
Questo per dire che le canzoni te le porti appresso, ti si appiccano addosso e non ti lasciano più, come quella volta molti anni più tardi, un sabato sera di marzo, in un locale qualunque, una ragazza molto carina si avvicinò a me come per chiedermi una sigaretta:
- Scusa..
- Dimmi...
- Chi ha vinto San Remo?
- Sarà per te.
http://youtu.be/y9XL4ty9XXI
giovedì 23 gennaio 2014
Bar sotto casa
Quando seppi del bar sotto casa, mi
alzai presto per vedere le serrande chiuse che si aprivano. Era proprio lì,
bastava attraversare la strada senza strisce pedonali. Aprì la finestra per
assaporare il profumo di caffè e di dolce appena sfornato. Erano anni che
respiravo tubi di scappamento solo per il gusto di scappare dal sonno. Avevo addosso
un pigiama buffo, come il mio viso allo specchio prima del getto d’acqua sugli
occhi pieni di calce struzzo, solo per l’abitudine di mettere la testa dentro a
qualche buco del cazzo. Presi gli unici indumenti appoggiati disordinatamente sulla
sedia e mi stirai stirando anche loro. Scesi le scale, schiacciai il pulsante
del cancello e come per magia mi trovai in una nuova storia. Un’auto passò
velocemente e quasi mi investì, ed io feci un passo indietro come faccio
sovente. Ripresi fiato anche se non ce n’era bisogno, e attraversai la strada
come se fossi inseguito da predoni nel deserto. Entrai nel locale e venni
assorbito da odori mescolati di ogni genere anche della gente intorno, che
aspettava il suo turno. C’erano quattro persone perché le contai, per la mia
mania di contare qualcosa nella vita. Due uomini e due donne si facevano i
cazzi loro, in silenzio, distratti, non avevano voglia di scorgere occhi
indiscreti, come se nascondessero o avessero perso qualcosa. Per una frazione
di secondo fui la loro attenzione, come se quel qualcosa fosse improvvisamente
riemerso, una svolta veloce per tornare al cucchiaino che girava nella tazzina,
quella sottile dolcezza per allontanare un’amarezza antica. Ordinai il solito
anche se era la prima volta: un cornetto vuoto e un caffè lungo. I due uomini e
una donna pagarono il conto, che a quanto pare non era salato, e uscirono; io
rimasi con lei e il barista che sembrava non esserci, come i migliori, perché i
migliori baristi sono quelli invisibili. La vidi che si aggrappava alla tazzina
come si tiene un calice in chiesa, quasi per chiedere una grazia o
semplicemente per scaldarsi le mani da qualche goccia calda appena uscita da
una miracolosa macchinetta elettrica. Aveva la pelle bianca come la luce del
mattino ed era magra come un lampione notturno con la testa china. Tremava lievemente
e ogni tanto tossiva, e si soffiava il naso che era rosso come quelli che si
mettono i pagliacci al circo. Pagò il suo prezzo e mi fulminò quando si volse
col suo sguardo, quasi per chiedermi cosa cazzo volevo. Sorrisi come sorridono
i deficienti che masticano amaro e bevono ogni cosa che gli raccontano. La porta
si chiuse ed io rimasi con l’ultimo sorso, e lo feci velocemente come fanno i
russi con la vodka. Avrei voluto lanciare la tazzina per lasciarmi tutto alle
spalle, ma non lo feci, anche se la tentazione era forte. La posai sul piattino
solo per sentire quel rumore che è la tipica sveglia del mattino. Pagai il mio
conto e lasciai un euro per offrire un caffè al prossimo. Quando misi la mano
sulla maniglia per uscire, il barista si materializzò e sentì la sua voce
risuonare tra i profumi vari del bar:
- Scusi…
- Dica…- Perché ha pagato un caffè ad uno sconosciuto?
- Per non guardarlo negli occhi.
venerdì 17 gennaio 2014
Chi se ne frega
Chi se ne frega. Te ne stai lì ad attendere
qualcosa sapendo che qualcosa non arriva. Sentire che stai perdendo tempo solo
perché hai dato un tempo al tempo. Sapere che aver perso molto di quello che ti
rendeva sicuro, era solo un modo per andare avanti, senza avere un percorso
scosceso, sapendo che scosceso non vuol dire un cazzo.
Eppure ad un certo punto lasci andare,
ti abbandoni e smetti di restare a galla, perché la fatica non serve, perché
Itaca è lontana, e forse non è più il caso di tornare. Finiscono le antiche certezze e lasci che la natura faccia il suo corso, o meglio che la vita decida quello che è giusto da quello che è sbagliato, dato che tu lo hai fatto per troppo tempo, come un Don Chisciotte alla deriva tra i mulini a vento.
Chi se ne frega, già, chi se ne frega, io esco da questo spazio stretto e inizio a volteggiare sapendo che volteggiare non vuol dire un cazzo. Affogo e mi elevo andando in basso, magari sapendo che è un salto in alto, dove l’asticella non è mai al solito posto, e non basta saper prendere bene la rincorsa per superare te stesso.
Sono lì che provo, ondeggiando avanti e indietro, salendo sulle punte dei piedi, cercando il percorso ad arco o a semicerchio fino allo stacco.
Salto di pancia o di schiena?
Chi se ne frega, non vale la pena, faccio una sforbiciata sapendo che una sforbiciata non vuol dire un cazzo.
- Sei pronto ad andare?
- L’erba è alta…
- Non vuol dire un cazzo.
- Devo prima pisciare
L'ira di dio
- Non temi l'ira di dio?
- Ma non siamo passati all'euro?
- Dici che ci ritroveremo tutti un giorno nel paradiso?
- Quello fiscale!
- Ma vai all'inferno!
- Ma non siamo passati all'euro?
- Dici che ci ritroveremo tutti un giorno nel paradiso?
- Quello fiscale!
- Ma vai all'inferno!
Niente
- Cos'è che vende già lei?
- Incipit!
- Ah, ecco. Lo sa che sono un venditore anche io?
- Ma dai! Di cosa?
- Di niente.
- Bene, e in cosa consiste?
- Niente... tutto è iniziato quando c'era troppo... e poi... niente...
- Incipit!
- Ah, ecco. Lo sa che sono un venditore anche io?
- Ma dai! Di cosa?
- Di niente.
- Bene, e in cosa consiste?
- Niente... tutto è iniziato quando c'era troppo... e poi... niente...
lunedì 13 gennaio 2014
Le 4 stagioni
Violini per quattro stagioni per
contenere il tempo che è solo una leggera illusione. Un pennello di colori
sulle corde che trasmettono attimi di vita sparsi e disordinati, per sovvertire
quella lineare esistenza. Pezzi di puzzle qua e là e nessuna voglia di
incastrarli perché stanno bene così, frastagliati come pietre preziose da
prendere all’occorrenza, quando un’esigenza la pretende solo per darsi un senso
delle cose. Uscire e rientrare da una finestra che è un quadro senza cornice
dove il muro bianco è quello che dovrai ancora scoprire. Lascia che la musica ti
faccia navigare verso climi incantevoli dove le stagioni non hanno lo spazio
che conosci ma solo un miscuglio di profumi e di freschezza.
- In quale stagione stiamo vivendo?
- In questa.http://youtu.be/GRxofEmo3HA
domenica 12 gennaio 2014
Bellezza
E lo so.
Quando sei lì che bevi qualcosa tanto per bere e ti entra dalla porta del locale qualcosa che cattura la tua attenzione, allora il gusto prende valore e il palato ha uno scambio con il tuo modo di vedere. Lei che sa muoversi, che ...sa farsi notare. Lei che ha le mani sciolte come se avesse nel corpo un olio essenziale che rendono morbide le sue articolazioni. Un movimento divino a sorseggiare il gusto, il gusto delle cose, il gusto del calice di vino. Lasci che il tempo abbia il suo tempo e ti avvicini per dire qualcosa dato che diventa vitale quel qualcosa da dire. Parli e splende il sole malgrado sia notte, e poi pensi che non sia il caso di esagerare perché non lo sai fare. E poi si allontana, dopo qualche ora, dato che si è fatto tardi come se tardi dovesse avere un’ora.
E lo so.
Ora l’accompagno con lo sguardo come si accompagnano le amanti a casa, aspettando che entrino dalla porta con la macchina accesa pronta per partire quando hai solo voglia di restare.
Quando sei lì che bevi qualcosa tanto per bere e ti entra dalla porta del locale qualcosa che cattura la tua attenzione, allora il gusto prende valore e il palato ha uno scambio con il tuo modo di vedere. Lei che sa muoversi, che ...sa farsi notare. Lei che ha le mani sciolte come se avesse nel corpo un olio essenziale che rendono morbide le sue articolazioni. Un movimento divino a sorseggiare il gusto, il gusto delle cose, il gusto del calice di vino. Lasci che il tempo abbia il suo tempo e ti avvicini per dire qualcosa dato che diventa vitale quel qualcosa da dire. Parli e splende il sole malgrado sia notte, e poi pensi che non sia il caso di esagerare perché non lo sai fare. E poi si allontana, dopo qualche ora, dato che si è fatto tardi come se tardi dovesse avere un’ora.
E lo so.
Ora l’accompagno con lo sguardo come si accompagnano le amanti a casa, aspettando che entrino dalla porta con la macchina accesa pronta per partire quando hai solo voglia di restare.
- Quanta bellezza c’è in giro?
- Abbastanza per osservarla.
- Abbastanza per osservarla.
giovedì 9 gennaio 2014
Saffo
Un’ora.
Un’ora di parole e di silenzi da dedicare a voi,
al vostro incredulo sguardo.
Quanti siete? Un miliardo?
Tutti seduti come alunni in una scuola
ad aspettare me con un gesso in mano
a sporcare di bianco le lenzuola.
Prendo l’aria dei polmoni e ve la offro
Prendo il sangue nelle vene e mi ci tuffo
srotolo l’intestino in un tappeto rosso
e sfilo tra i versi dell’ultimo canto di Saffo.
Ah Giacomo, io nel pensier mi fingo
e nel mare mi affogo
nel cielo d’infinito tingo
le nuvole di filamenti d’oro.
Lascio il mio cuor a chi lo coglie
come le spose sotto mentite spoglie
un bouquet per adempiere con zelo
il mio impegno preso dal cielo.
Ah, un’ora, quindi,
per tradire la menzogna scaltra
per tramutarla in leggera onestà
come un chimico che versa tra un’ampolla e l’altra
l’essenza stessa della verità.
Un’ora di parole e di silenzi da dedicare a voi,
al vostro incredulo sguardo.
Quanti siete? Un miliardo?
Tutti seduti come alunni in una scuola
ad aspettare me con un gesso in mano
a sporcare di bianco le lenzuola.
Prendo l’aria dei polmoni e ve la offro
Prendo il sangue nelle vene e mi ci tuffo
srotolo l’intestino in un tappeto rosso
e sfilo tra i versi dell’ultimo canto di Saffo.
Ah Giacomo, io nel pensier mi fingo
e nel mare mi affogo
nel cielo d’infinito tingo
le nuvole di filamenti d’oro.
Lascio il mio cuor a chi lo coglie
come le spose sotto mentite spoglie
un bouquet per adempiere con zelo
il mio impegno preso dal cielo.
Ah, un’ora, quindi,
per tradire la menzogna scaltra
per tramutarla in leggera onestà
come un chimico che versa tra un’ampolla e l’altra
l’essenza stessa della verità.
martedì 7 gennaio 2014
eeeeeeee
Eh, nienteeeee, nel sensooooooo cheeee ioooooo parlooooo così con questaaaaa musicalità, cioè quandooooo c’è l’accentooooo sullaaaaa vocaleeeeee siiii bloccaaaaaa, maaaaa senzaaaaaa leiiiii seeee neeeee va’, non chiedetemiiiii il perché, adessooooo cheeee ciiiii pensoooooo ancheeee quandoooo c’è unaaaaa consonanteeeeee laaaaa parolaaaaa siiiii fermaaaaa, oraaaa dovreiiiii capirneeee laaaa provenienzaaaaa, forseeee miiii piaceeee il suonoooooo, forseeee è un problemaaaaa, dunqueeeeee fin daaaaaa bambinooooo suonavoooo leeee paroleeeeee, magariiii volevoooo cantareeeee, comunqueee adessoooo provooooo aaaaa fermarleeeee ciiiii provooooo okeiiii Stop!
- Come va?
- mmmmmmm
- Come va?
- mmmmmmm
sabato 4 gennaio 2014
Le donne
Le donne. Lo so che parlare delle donne
è come camminare scalzi per casa senza le scarpe (non vuol dire un cazzo, ma mi
piace, voi pensavate ai carboni ardenti?). Quando un fesso come me, che usa
panchine e stupidaggini per argomentare ogni nefandezza della mente cercando di
dare un significato al mondo reale, dovete stare calmi, tanto non è vero
niente. Comunque, quando si parla di donne sei in quella fase che si può
dividere in tre tipi (giusto per dare un numero alle mie cazzate): quelli che
ne hanno molte, quelli che ne hanno una e quelli che non scopano da molto
tempo. Lascio a voi decidere la mia categoria, non è difficile farlo. Faccio
una premessa: una cosa che mi disturba sono gli uomini che danno il loro
biglietto da visita. L’ho fatto anche io, purtroppo. Ricordo con affetto
sincero, quel periodo tra la fine degli anni 80 e inizio anni 90, quando cadde
il muro di Berlino, e non c’entra un cazzo, ma ci arrivo dopo, quando io e un
mio carissimo amico andavamo a farci biglietti da visita con su scritto, prima
del nome e cognome, quelle sigle ad effetto: Ing., Geo., Rag. e così via, noi
che a malapena avevamo conseguito la terza media. La cosa sconcertante era che
funzionava, e questo resta ancora un mistero, sta di fatto, che ottenuto
l’appuntamento, mi presentavo con una fiat 128 verde ramarro per non dire
tamarro, che non aveva un effetto immediato di piacere per chi doveva salire su
quel concentrato di lamiere messe a cazzo. Infatti, lei mi chiese:
- Non mi vorrai dire che questa è la tua
macchina?- No, è quella di mia madre, la mia è dal meccanico.
E fino a qui, la tattica sembrava funzionare, il peggio arrivò quando mi chiese:
- Che macchina hai, quindi?
- La fiat regata!
Ecco, io ero convinto di aver fatto un figurone, in realtà feci tutt’altra figura.
E andammo al cinema come quelli che speravano fosse già la via di ritorno.
Il film fu “il cielo sopra Berlino” di Win Wenders ed io mi addormentai come un ghiro idiota, dato che non ci capivo un accidente, mentre lei mi guardò sconsolata sapendo che ero un emerito deficiente. (Ecco perché ho fatto il riferimento del muro di berlino, perché crollò quel muro di falsità da ingegnere, e con loro anche la Regata, che per fortuna non ne ho mai avuta una).
Ora, tornado al biglietto da visita e ai tempi attuali, trovo terrificante quel passaggio veloce, perché lei sta immediatamente pensando questa considerazione:
- Che coglione! (pensatela a denti stretti, mi raccomando)(Ah, 9 volte su 10 non vi chiama… va beh la percentuale è più bassa, ok)
Io volevo parlare di donne e mi metto a parlare di biglietti da visita, mah… Chissà dove voglio andare a parare… diciamo così…
Se vuoi veramente quella donna sarebbe meglio che te la vai a prendere!!!
Messa così sembra semplice, ma è lei che ti da la chiave di lettura anziché un cazzo di volgare biglietto da visita.
E quale sarebbe questa chiave? Va beh, adesso ci penso… Ok, ve lo confido!
Quando fa una cosa molto semplice, bella, involontaria e spontanea: “quando ti tocca la mano”, non per stringerla come un saluto, quando te la sfiora e ci rimane per qualche secondo, quei cazzo di secondi che superano il tempo, come una vibrazione epidermica che ti trasmette solo immagini che riguardano te e lei e nessun altro, un libro aperto di parole nuove, di pagine da annusare, del rumore della carta che è la sua pelle, dell’immensa biblioteca che è il suo corpo.
- Sai, credo di aver capito le donne!
- Allora devi ricominciare da capo!
(Il venditore di incipit)
Verità
Ci sono due tipi di verità, tanto per dire una cazzata: c’è la mia e quella degli altri. Quello che è interessante constatare è la distanza, quella linea immaginaria orizzontale che unisce i due punti di vista. Pur addentrandomi in questa cazzata colossale, c’è una terza verità sottile: quella mediatrice. Lei mischia tutto in una scodella e monta la maionese, lo so che è un’immagine idiota, ma a me piace perché metterei la maionese in ogni cibo per il disgusto di Vincent Vega e di Jules Winnfield in Pulp Fiction che per loro è solo merda gialla. Il problema vero è che lei, la maionese, giusto per farla diventare protagonista di questa mia sega mentale, toglie il gusto e se ne appropria, diventa l’unica cosa che senti nel palato per poi ingoiarla. Dato che rischi grosso, pensando che possa essere merda gialla, ritorni al punto di partenza, quello del tuo punto di vista. Ho fatto un bel giro e non ho detto un cazzo, infatti è così, e a questo punto scomodo il malcapitato Pasolini, dato che fa figo citarlo ogni tanto, che disse che la verità è quella cosa che senti dentro ma quando la nomini non c’è più.
- In verità vi dico…
- Cosa?
- Non ricordo più chi la disse.
- In verità vi dico…
- Cosa?
- Non ricordo più chi la disse.
Iscriviti a:
Post (Atom)