mercoledì 26 agosto 2015

Metamorfosi

Destandosi da sogni inquieti, una mattina, il venditore di incipit si trovò tramutato in una panchina. Riposava sulla schiena, dura come una corazza, e aveva quattro gambe, anch’esse dure, conficcate in terra.
Cosa m’è avvenuto? Pensò.
Per quanto fosse immobile, il contesto intorno era reale, quindi, non era immerso in un’onirica immagine, anzi, percepiva l’aria e il suono delle foglie. La sua struttura non era più la stessa: di legno era la pelle e di ferro le ossa, perciò, utile solo per far sedere ogni cosa che passa. Era bloccato e tratteneva il fiato: non voleva essere scoperto in quello stato.
Se mi vedessero… chissà cosa penserebbero…
Su di lui passarono le unghie affilate di un gatto e non fece una smorfia. Un attimo dopo due piccioni fecero la cacca, e volarono via, quando un lettore distratto, giunto in quel momento, pulì la base col fazzoletto. Un’ora dopo arrivarono due amanti in un abbraccio stretto, e si riempirono di baci, fino a sera, sostituiti da un barbone ubriaco, che si addormentò sdraiato, nel profumo di un amore appena passato.
Non è che mi diventa anche lui una panchina?
Infatti, erano due, il giorno dopo.
- Cosa m’è avvenuto?
- Non lo so, caro amico, anche io mi sono ritrovato così il giorno passato.
- Se mi vedessero in questo stato…
- Anche io l’ho pensato.
- Io non sono nato per far sedere su di me alcuno!!
- Già, pure io non sono qua per farmi prendere per il culo.


venerdì 21 agosto 2015

Elisabeth

Era una ragazza distratta, o forse era il mondo intorno a credere che fosse così. Fin da bambina piccola tutti i famigliari, i conoscenti, le suore e le insegnanti non facevano altro che ripeterle le stesse cose:
- Elisabeth ma non ti accorgi cosa stai facendo? Ma non ti accorgi cosa è successo? Ma non ti accorgi cosa ti ho detto?
Ogni santo giorno “non ti accorgi” veniva ripetuto fino alla nausea. Nessuno però sapeva che Beth aveva il bellissimo vizio di guardare da un’altra parte, come quel giorno che ci fu un incidente a un incrocio, e lei si girò verso il cielo, dove un gabbiano bianco volava solitario in pieno inverno. Quel giorno morì un uomo, non prima che il mondo tentasse di rianimarlo. Beth aveva questo istinto: voltava la testa nella direzione opposta. Qualcuno pensò fosse scema, e lo pensa ancora adesso. Sta di fatto che lei era molto bella, bella da morirle dietro. Gli uomini stramazzavano a terra, avrebbero fatto qualunque cosa pur di averla. Il problema era che lei non veniva capita, quindi, tutti rinunciavano liquidando la questione pensando fosse stupida. Era diventata una sorta di leggenda e nascevano scommesse quotidiane su chi fosse in grado di farsela. Ma lei guardava altrove e nessuno lo aveva mai compreso.
- Stavi fissando me? – disse un uomo che le si avvicinò.
- No, scusa, stavo scrutando la differenza dei colori che ci sono intorno, e mi sono soffermata…
- Mi stai prendendo per il culo?
Si finiva sempre con questa frase. Ogni uomo che si sentiva come scaricato chiudeva così la conversazione. Anche le ragazze la lasciarono sola etichettandola come una “gatta morta”.
- E quel ragno che tesse la tela? – le sussurrò all’orecchio un uomo in una stazione dei treni.
- Lo vedi anche tu?
- Ho seguito il tuo sguardo.
- Sei in partenza?
- No, sono l’addetto alle pulizie.
- Toglierai quella ragnatela?
- Uno che pulisce conosce tutti gli angoli sporchi del mondo.
- Ma quella è un’opera d’arte!
Ai loro piedi una formica trasportava una briciola con fatica.
- Vedi, c’è chi si accontenta delle briciole e chi ne fa una ricchezza.
- Perché i tuoi occhi sono altrove?
- Perché guardate tutti sempre nella stessa direzione?


martedì 18 agosto 2015

L'esistenza


La senti sulla testa che scende nello stomaco fino alle gambe che tremano. Cosa sia non lo so. Arriva senza avvertire e ti trapassa come una spada. Succede ogni giorno. È qualcosa di invisibile, non avvertibile, è una lama. Questa cosa si ripete da quando hai incominciato a nascere. È un codice indecifrabile, un segreto, una formula magica. A volte è una fitta dolorosa, altre volte è decisiva. Ti si contrae la muscolatura. La chimica interna viene stravolta. Un misto di sensazioni sprigionano movimenti: gambe che ondulano, testa che si scuote, respirazione intensa. Ti senti come una farfalla infilata da uno spillo e messa in una bacheca. Sarà questa forza gravitazionale, quest’obbligo dettato dal cielo: ognuno ha il suo angelo. Può salvarti la vita e impedirti di viverla. Una mano sulla spalla o un braccio intorno alla gola. Non puoi farci nulla. Il tuo corpo è un veicolo col pilota automatico. Miliardi di relè si accendono, spie interne si collegano. Tutto si ripete, lo stesso conflitto. Un confine. Qui c’è il bene, e lì un bene diverso. Ti conviene tenere i piedi sulla linea e fare l’equilibrista.
- Questa è l’esistenza – disse un agente dell’intelligence.
- Piacere.
- Piacere. Lei invece?
- Il cameriere.

sabato 15 agosto 2015

Che si fottano

Ehi, amico mio, parlo con te. Non proviamo più brividi, capisci? Siamo tutti su sto lettino anestetizzati pronti per la chirurgia: ci tolgono un pezzo della nostra anima col bisturi. È un’ipnosi generale, credimi, siamo tanti prestigiatori. L’altro giorno ho visto una sventola di ragazza, sono andato in apnea meglio di Maiorca. Eppure quando è passata, e ho ripreso a respirare, la sventola l’ho presa sulla faccia. Svegliati, amico mio, riprendi la via, in questo mondo funzionano solo gli elettrodomestici, giusto il tempo della garanzia. Ieri si è rotta la caldaia un’altra volta e ho deciso di non lavarmi più neanche con l’acqua fredda. Ma sì, fanculo, che si fottano! Capisci che stiamo per essere invasi, ma non dagli extracomunitari ma dai luoghi comuni. Siamo poveracci, per non dire miserabili. Ce l’hai un’opinione? Tienitela, io ho smesso di pensarci. Ho solo voglia di puzzare come dice Jodorowsky:” se puzzi è facile che trovi moglie e ci fai pure dei figli!”. Amico mio, se non conosci più l’odore dell’uomo è solo colpa dei cosmetici. Adesso vado a dormire, ragazzo, perché fa freddo anche se è ferragosto, ma ricordati che i brividi sono finiti nel cesso, e che l’unica cosa che ci dovrebbe dare una benché minima soddisfazione, è tirare l’acqua, quando fuori c’è gente che ha ancora voglia di fare sesso. Ma sì, fanculo, che si fottano!

giovedì 13 agosto 2015

Jack and Lady


Jack e Lady sono seduti sulla collina. La notte li avvolge come un lenzuolo di canapa. Stanno con la testa tra le nuvole per vedere se si muove qualcosa. Jack vuole solo una cosa. Lady vuole cambiare il mondo. Jack lo sa.
Solo che è il mondo a cambiare te, Lady!
Jack ha il testosterone alle stelle. Lady aspetta che gliene cada una sulla fronte. Jack vuole solo una cosa e la vuole da Lady.
Dai Lady, siamo uomini, macchine da guerra, dobbiamo sparare, non lo capisci?
In realtà Lady pensa che gli uomini siano donne travestite. Jack pensa che le donne ti fanno ammalare di labirintite.
Cade una stella.
- Ehi, Jack guarda…
Jack esprime l’unico desiderio, mentre Lady deve sceglierne uno, di un elenco infinito. Lady è indecisa e quindi ne attende almeno altre cento. Jack vuole solo quello. Jack sa di essere un animale, di voler possedere, di starci dentro. Lady lo capisce, Lady sa tutto sugli uomini, una volta che sono vuoti vorrebbero fuggire, per poi tornare pieni. Sono distributori di benzina, se non li usi prendono fuoco. Il cielo impazzisce proprio mentre Jack allunga una mano sul cuore di Lady, le prende il seno e lo stringe. Lady lo lascia fare senza togliere lo sguardo dallo spettacolo pirotecnico naturale. Jack si accorge che lei non fa una piega e toglie la mano.
- Jack!
- Dimmi Lady!
- Perché ti piaccio?
Jack ci pensa. Non se lo era mai chiesto. Per il suo corpo rotondo? Per averne possesso? Perché è pieno? Perché è un uomo? In realtà non lo sa, sa solo che vuole una cosa, e la vorrebbe da tutte le ragazze del mondo.
- Jack!
- Dimmi Lady!
- Allora… Jack, l’amore non è un gioco, nessuno deve vincere.
Lady si sdraia, si toglie l’indumento intimo più sacro e apre le gambe.
Jack come in una partita a poker si trova con un full di assi in mano, sperando che lei non stia bleffando. In quell’istante comprende che le stelle cadenti non sono solo stupide meteore, e che salvare il mondo in fondo è un modo per salvare se stessi, e che una ragazza come Lady non è una qualunque. Jack passa la mano, e fa un gesto con la testa a Lady chiedendole di andare, non prima di aver raccolto quel fazzoletto ricamato appena tolto.
- Queste, però, le prendo io! – disse Jack come se avesse vinto il piatto.
Sono passate tre settimane, Jack e Lady mangiano pesce in una trattoria sul mare.
- Jack!
- Dimmi Lady!
- Guarda sotto il tavolo.
Lui si china e Lady gli apre il mondo come se lo dovesse salvare.
- Sono venti giorni che vado in giro senza, che vuoi fare?
Lady è fatta così, è un interruttore.

lunedì 10 agosto 2015

Fare cose

Continuava a fare cose volendone fare altre. Aveva passato molti anni a fare cose che non voleva fare pensando fosse meglio farne altre. E se lo diceva nella mente cercando una risposta da quella voce interiore che gli ripeteva:
- Fai, fai, non ti curare delle altre cose.
Ma lui continuava a fare cose volendone fare altre. E quando pensava a quelle altre si sentiva felice. Mannaggia quanto era felice, ma non poteva farle dato che doveva fare quelle cose lì. Un giorno, furono le cose a fare al posto suo. Le cose si erano invertite. Lui non faceva più un cazzo e le cose andavano avanti da sole. Quindi, si accorse che le cose erano cambiate, cioè, erano sempre le stesse cose ma lui non le faceva più.
- Allora che vogliamo fare? – disse una cosa che non aveva mai fatto.
- Vorrei fare quella cosa, e anche quell’altra…
- Piano, una cosa alla volta.
E fu così che iniziò a fare cose nuove smettendo di pensare alle cose che faceva prima.
- Siamo sicuri che sia la cosa giusta? – chiese lui.
- Ma cosa cazzo ne so, io! – rispose qualcosa che non si sapeva bene cosa.


domenica 9 agosto 2015

Fermata dell'autobus

Scesero dai rispettivi autobus. Lei sulla corsia opposta a quella di lui. Tra loro c’era solo una strada e le strisce pedonali. A quell’ora non c’erano molte automobili. Lei era nella fase dove la giovinezza le stava ancora sulle guance e sui seni. I suoi capelli chiari erano corti e il suo profilo ricordava attrici francesi. Lui non si faceva la barba da settimane e i suoi capelli lunghi volevano evidenziare una vita passata fatta di eccessi. Il suo corpo robusto tendeva a gonfiare leggermente, per questo indossava una larga camicia di lino nera per nascondere la pancia, e se stesso dalla gente. Rimasero a guardarsi senza attraversare. La strada era vuota come la città che era partita per il mare. Il passo lo fece lui per primo e lei di conseguenza fece il suo. Quando arrivarono uno di fronte all’altra, lei prese l’iniziativa:
- Che cosa sta succedendo?
- Che cosa vuole che succeda?
- Che cosa sta dicendo?
- Che cosa vuole che dica?
Andarono avanti così a farsi domande in mezzo alla strada. Per quanto fossero assurdi i motivi, sia lei che lui continuarono questa conversazione fatta di punti interrogativi.
- Che cosa dobbiamo fare?
- Che cosa vuole che faccia?
- Perché si comporta così?
- Perché mi fa un sacco di domande?
- Perché non ha il coraggio di rispondere?
- Perché non risponde alla mie?
Erano talmente assorti e quasi ipnotizzati che non si accorsero di due autobus fermi ad attenderli a pochi centimetri da loro. Infatti i conducenti si misero a suonare il clacson per svegliarli. A quel punto si mossero e andarono nella direzione opposta da dove erano venuti, quindi, salirono rispettivamente sugli automezzi. Si videro dal finestrino e fecero un piccolo accenno di saluto con la mano. Partirono.
Si rincontrarono dieci anni dopo nella stessa cornice, lui leggermente invecchiato e più gonfio, lei leggermente sciupata e meno attrice.
- Ce l’ha una risposta adesso? – chiese lei decisa
- Mi rifà la domanda? – domandò lui con garbo.
- Che sta succedendo?
- Gli autobus oggi sono in ritardo.





sabato 8 agosto 2015

Mezzaluna

Oh, mezzaluna,
vorrei infilarti nella mia bocca,
per sentire il gusto aspro,
per masticare la buccia.
Oh, mezzaluna
vorrei spremerti come un limone
e spruzzare stelle cadenti,
per esprimere desideri
da afferrare con i denti.
Oh, mezzaluna
vorrei dondolarmi, guarda un po',
e dormire sonni leggeri
perché tu stasera, cazzo,
non sia diversa da ieri.
Oh, mezzaluna, mezzaluna fertile
se la terra fosse cielo
e le nuvole concime
nascerebbero fiori capovolti.

martedì 4 agosto 2015

L'ultimo indiano

Era l’ultimo indiano guerriero sulla faccia della terra. Cavalcava come un condottiero e teneva in mano una lancia. Come una vedetta esplorava tutto il Gran Canyon ovvero la madre terra rossa. Aveva una fascia nera e una piuma di avvoltoio in testa. Non aveva alcuna sella e neanche le scarpe, aveva solo qualche straccio che gli copriva il ventre. Era l’unico su questa terra a cogliere il silenzio. Per lui il silenzio aveva molte facce: era l’acqua dentro il cactus, era l’assenza di vento, era un fiore tra le rocce. Conosceva la storia dell’uomo da miliardi di anni. Gli era stata tramandata dagli avi, un passaparola che non aveva alcun bisogno di libri. La memoria era la sua enciclopedia. Conosceva i periodi aridi e i passaggi dei bisonti. Quello che non sapeva era che il mondo produceva solo rumore di cose metalliche e di elettrodomestici. Per lui l’elettricità era il fulmine nel cielo, e il rumore, il rimbombo di un tuono. Era l’ultimo indiano pronto per combattere battaglie senza nemici all’orizzonte. E poi lui non era indiano, perché gli indiani stanno dall’altra parte del mondo. Scese da cavallo, mise l’orecchio nella madre terra e provò ad ascoltare. Rimase qualche minuto come quelli che ascoltano il ventre di una moglie che aspetta un bambino, per sentire se qualcosa si muove, senza ricorrere a stupide ecografie.
- Tepee tomahawk wampun tashunka.
Disse proprio così.
- Tepee tomahawk wampun tashunka.
Cosa cazzo volesse dire lo sapeva solo lui. Girò il cavallo e si dileguò verso il calar del sole. Se uno lo avesse visto cavalcare avrebbe detto che nessuno al mondo sarebbe stato più bravo di lui ad alzare la polvere. Infatti nessuno udì mai quelle parole, solo il silenzio conosceva il suo cuore.
- Ehi, pellerossa! Cosa hai detto? – chiese il silenzio.
- Ho elencato le uniche cose che ho.
- Perché lo hai fatto?
- Per ricordarmele ogni giorno.





domenica 2 agosto 2015

Distrazione

Quando aprì gli occhi si trovo nudo disteso su un pavimento freddo. Non ricordava più chi fosse, da dove venisse e il motivo per il quale si trovasse in quel posto. Era come se fosse venuto alla luce una seconda volta. Ma lì la luce era poca, e non c’era nulla, se non un pavimento e un cellulare a terra. La prima cosa che fece fu farsi innumerevoli domande: Chi sono? Che ci faccio qui? Dove sono? La seconda quella di alzarsi in piedi. Probabilmente qualcuno lo aveva scaraventato lì togliendogli la memoria. Ebbe una leggera paura anche perché intorno c’era solo la nebbia.
Quindi, prese l’unica cosa che c’era: il cellulare. Vide sul display un messaggio: “Chiami immediatamente”. E lo fece.
- Lei sa perché si trova qui?
- No!
- Si trova nella frazione di secondo della distrazione.
Come finì la frase gli arrivarono migliaia di immagini di tutte le volte che c’era mancato un pelo, di tutte le volte che aveva avuto un colpo di fortuna, di tutte le volte che aveva perso l’occasione.
- Ha visto?
- Ce ne sono state molte!
- Senta, risponda a questa domanda senza pensarci troppo.
- Perché?
- Perché lei potrebbe trovarsi a pilotare un aereo oppure fermo al semaforo.
C’era da dire che lui preferisse di gran lunga la seconda ipotesi.
- Cos’è la distrazione?
- Un sollievo.
E si ritrovò in macchina davanti a un semaforo rosso. Fuori pioveva a dirotto. Sentì aprire la portiera, e una ragazza completamente inzuppata d’acqua, entrò, e si sedette sul sedile accanto.
- Ciao! Ti va se ascoltiamo De Gregori?
Non attese la risposta e prese un CD dalla borsa.
- C’è un temporale… - disse ancora.
Scattò il verde, la musica partì e un colpo di fulmine mandò in frantumi il semaforo. Lei dopo lo spavento iniziò a ridere.
- Adesso non sappiamo più se restare fermi o andare.
Lui che non si accorse di nulla, partì velocemente, così veloce da decollare.