sabato 30 maggio 2015

Pioggia di manna

- La vedi? – chiese la mia anima.
Qualcosa aveva spaccato l’oscurità del cielo. Un’astronave scesa per annunciare un lieto evento o una nuvola a cui erano spuntate le gambe dopo una folata di vento.
Io e la mia anima andavamo in quella direzione.
Quella realtà, che appariva ai miei occhi, avrebbe dovuto manifestarsi il giorno prima con doppia razione.
Che ci faceva di sabato la pioggia di manna? 
La mia anima si animò come un bambino intrappolato in un cuore di mamma.
Voleva uscire e andare a giocare con quelle tende luminose. Voleva uscire per andare a sudare. Dovevo frenare il suo impeto, ma lui si mise a battere sul petto, fino quasi a esplodere.
- Corriamo là! – urlò dentro di me fino a farmi saltare le orecchie.
- Cosa andiamo a fare? – gli risposi come un genitore severo in un pomeriggio di pioggia.
- Andiamo a farci una doccia!


giovedì 21 maggio 2015

Altrove

Era un venditrice di perle e beveva sambuca come si prende il caffè alla domenica mattina. Qualcuno disse, invece, che faceva vasi in terracotta per bere il the nei pomeriggi di pioggia. Al posto delle pupille aveva i timpani. Io parlavo e i suoi occhi si aprivano come finestre di castelli abbandonati. Sapeva dove stava mentre io stavo altrove. Era così attenta che a volte il suo collo si allungava, e il suo corpo disegnava una linea retta. Uscimmo dal locale e mi chiese una sigaretta.
- Da quant'è che fumi? - le chiesi.
- Ho iniziato ora! - mi rispose.
Niente. Sapeva dove stava mentre io stavo altrove.

sabato 16 maggio 2015

Sylvie e Lia

Sylvie arrivava da destra mentre Lia arrivava dall’altra. Camminavano imperturbabili sulla ghiaia di una strada persa. Masticarono il tragitto con passi lievi e ben misurati come si mastica il ghiaccio tra i denti stretti. Avevano gli occhiali da sole e i capelli raccolti chissà dove. Avevano qualcosa da fare, qualcosa di importante, che solo loro erano in grado di sapere. Avevano indumenti neri con giacche lunghe, uscite sicuramente dalla notte precedente. Sylvie diede inizio alle danze. Aveva un corpo sinuoso e magro, e si muoveva di traverso, formando un arco in un baleno. Infatti riconobbi i colori del rosso fino all’indaco. Era un pennello. Le si sciolsero i capelli che erano sincronizzati dal movimento delle mani, e vidi il giallo, il verde, il blu e il domani. Lia era più bassa e formosa. La sua indole era tenace e aggressiva. Infatti prese i colori spruzzati da Sylvie e ci fece corsi d’acqua, campi di grano in giugno e innumerevoli gelsi. Erano complementari. Io ero nascosto tra le siepi e guardavo il volteggiare dei loro corpi che sembravano lampi rallentati. Poi andarono verso una panchina, e salirono sopra, come quelle che salgono sul podio. Rimasero immobili, una di fronte all’altra, come gentili cariatidi a sorreggere il cielo.
- Che ne dici di sparire! – disse Lia estraendo una pistola.
- Spariamo! – Esclamò Sylvie con la stessa arma in mano.
Si girarono di scatto verso di me, e fecero fuoco. 

Baldassarre il cigno

Era sicuramente uscito da un quadro del Modigliani. Era bianco col cuore nero. Si era impossessato di un territorio fatto di acqua, erba e altipiani. Era anarchico e solitario, ma soprattutto sincero. Aveva perso anni fa la sua compagna, dalla quale aveva sognato di farci un sacco di ballerine per Tchaikovsky; invece si ritrovò, come un vecchio attore di teatro, nella storia di Anton Checov, a fare l’indovino. Non sapeva volare, ma predisse la sua morte come quell’eroe acheo. Il suo tallone di Achille era il collo: quella lunga curvatura che assomigliava a un cuore spezzato.
Quel giorno, disse le uniche parole comprensibili dall’uomo:
- Qua!
E lì fu affogato.
Sembra che il tizio fosse un esperto di buchi nell’acqua. Sembra che il tizio fosse un disgraziato.
Aveva il becco arancione ed era un cigno. Si chiamava Baldassarre e viveva sul lago. Voleva solo stare lontano dalla gente e diventare leggenda come quel drago.
Ma sì, quel mostro che sta in Scozia, e che sbuca ogni tanto, come sbuca il coniglio dal cilindro di un mago.
Anni fa, lo vidi in mezzo alla strada, e non mi fece passare.
Si formò una coda fatta di animali di metallo.
Ricordo che allungasti il collo, che apristi le ali come un vigile urbano, e in cignese mi dicesti col tuo modo di fare:
- Cazzo vuoi, umano! Circolare!

lunedì 11 maggio 2015

Little star

- Deve essere un buon segno!
- Cosa?
- Quella stella!
C’era solo lei in tutto quel cielo nero. Chissà dov’era la luna.
- Non pensi sia troppo vicina?...
- Credo si sia persa.
Non si muoveva. Si apriva e poi si chiudeva.
- Sembra che abbia le dita!
Una piccola mano accesa. Stava lì in lontananza tra la foschia.
- Perché guardiamo sta cosa?
- Perché siamo amici.
- È sufficiente?
- È abbastanza!


Tic

Aveva un tic. Apriva le narici del naso e sbatteva tre volte gli occhi. Era davanti a me e mi faceva due occhiolini: non uno, ben due. Li faceva bene. Non potei far altro che innamorarmi all'istante. Più lo faceva e più mi innamoravo. Rimasi a osservarla così tanto che tornai a casa con il suo tic sulla mia faccia.