lunedì 28 dicembre 2015

Capodanno

Sono giornate asciutte di polveri sottili,
le montagne nude
assomigliano a nubili sdraiate
che attendono le nubi per essere maritate.
Sono giornate annebbiate 
aspettando che nevichi sui tetti,
nei cortili,
ma soprattutto nei conti correnti.
Alle porte il nuovo anno:
un venditore fasullo
che ti suona il campanello,
di buoni propositi,
di decisioni improbabili.
La gente per strada ha la faccia speranzosa,
malgrado la tosse eccessivamente catarrosa,
ti ferma e ti chiede sempre la stessa cosa,
perché stan male se non lo fanno:
"Ragazzo spensierato, che fai a Capodanno?"
Tu li guardi negli occhi come il gatto col topo
"Io a Capodanno se mi gira, scopo!"

martedì 22 dicembre 2015

Come si scopa un cortile

Come si scopa un cortile.
La prima cosa importante da fare è la scelta della scopa. Può essere larga, lunga, doppia, ma quella che è funzionale al cortile è la scopa saggina: quella con le quattro cuciture orizzontali che fissano più saldamente i mazzi e con il manico in legno coi controcazzi. La sua altezza non deve essere inferiore a 130 cm. Una volta scelta la scopa si prende la paletta e il sacco dell’immondizia, quella indifferenziata. Innanzitutto non si parte dal centro. Chi parte da lì non ha capito un cazzo, perché si troverebbe a pensare di scopare mentre in realtà sta spazzando. È essenziale capirlo subito se non si vuole solo alzare la polvere. Infatti, un’alta percentuale di presunti scopatori di cortili lo fanno male perché ci girano intorno. Ragion per cui, si deve iniziare dal cancello o dall’ingresso principale – qualcuno preferisce partire dall’ingresso secondario – fate un po’ voi come vi pare. È essenziale usare bene la scopa! Credetemi, va usata in concomitanza con la respirazione; non è importante la forza tanto meno l’oscillazione, la scopa va presa con cura e fatta andare con armonia. Quindi è indispensabile una buona postura, gambe leggermente piegate, braccia e mani che si muovono come se stessero a suonare un’arpa. La polvere va accompagnata come una pallina da golf quando è vicina alla buca, usando lievemente lo spostamento della spalla. Si può ascoltare la musica, se si vuole, ma non c’è musica migliore del fruscio costante della scopa sul cortile. Bisogna andarci piano perché chi va veloce gli tocca poi ricominciare da capo. Non fumate durante, magari dopo. Tutto il materiale va spinto come guerrieri pronti a combattere, tu sei il loro condottiero. Molto efficace l’attenzione che ci metti soprattutto nelle zone laterali, è lì che butta l’occhio l’ospite che varca il cancello quando ti viene a trovare. Quando arrivi in fondo, ovvero dove c’è il muro, ti fermi e vai agl’angoli estremi e avvicini il tutto in un luogo che chiamerai: “mucchio”. Prima di raccoglierlo, sarebbe opportuno fare un giro ulteriore con la paletta per raccogliere quello che ti è sfuggito, ma soprattutto alzare la testa e osservare con attenzione tutte le ragnatele negli angoli di porte o androni, perché ci sono sempre ragni che ti rompono i coglioni. Dopo aver raccolto il mucchio e messo nell’apposito sacchetto, ti fai una camminata intorno per sentire sulle tue suole quella sensazione di pulito, quel rumore sordo che prima era più marcato dato che calpestavi di tutto. Quando hai finito ti guardi intorno, ti metti la scopa sulle spalle, raccogli il sacco e torni in casa manco fossi babbo natale o meglio ancora la befana.

lunedì 21 dicembre 2015

Dimmi qualcosa di carino

- Dimmi qualcosa di carino...
- Hai una bella faccia da vicino. È raro. Davvero!! Da lontano sei graziosa, da vicino sei un'altra cosa.
C'è un gran bisogno di belle facce da vicino stropicciate dal tempo,
dai sorrisi infantili portati appresso dal vento, dalle rabbie adolescenziali,
dalle smorfie dubbiose che generano sulla fronte insenature orizzontali.
E che dire delle due curvature tra il naso e le gote!?
Una campana che suona le note,
quelle conosciute.
E per finire, le striature laterali molto marcate, per ricordarmi le volte che hai dormito sonni profondi solo per non sognare troppo ad occhi aperti.
C'è un gran bisogno di belle facce da vicino, da tirare con i palmi,
da spostare i capelli,
come tende al mattino
che aprono i miei occhi verso un viale di olmi.
- È raro... Davvero!!
- Sei caro...
- Hai una bella faccia da vicino.
- Dimmi qualcosa di carino...
 
 

sabato 19 dicembre 2015

Santa Lucia

Mi sovviene all’improvviso un ricordo guardando i santi sul calendario, non che abbia la necessità incombente di fare auguri di buon onomastico a qualcuno, ma solo per ricordarmi di pagare le spese condominiali, purtroppo. Quindi, il mio sguardo si è posato al 13 dicembre, ovvero Santa Lucia. Il suo nome mi riporta indietro di 40 anni circa, quando ero nel periodo preadolescenziale ed ero magro come un chiodo. C’era sta tizia di nome Lucia, di un anno più vecchia di me, che viveva nel mio stresso palazzo e giocavamo sempre a pallone nel cortile sterrato. Il nostro gioco preferito era “porta a porta”: due garage, uno di fronte all’altro, a una distanza di una ventina di metri. Uno tirava e l’altra parava, e viceversa. In poche parole vinceva chi segnava prima una decina di goal. Lucia era una forza della natura, aveva muscoli solidi nelle gambe e due tette giganti che potevano anche prenderti a schiaffi, tirava delle “Punciunate” (questo è il termine che si usa in Piemonte per chi tira di punta) così potenti che il pallone prendeva strane traiettorie impossibili da parare. Un giorno la palla di gomma mi arrivò in faccia e mi fece fare un volo all’indietro come un birillo da bowling, spostandomi qualche vertebra cervicale e facendomi saltare l’ultimo dente da latte. (Tralascio di raccontarvi quelle innumerevoli volte che mi arrivò nei coglioni). Un giorno le citofonai per chiederle di giocare, lei mi rispose che c’era troppo vento e che era preoccupata per me perché pesavo più o meno come una foglia di castagno. Mi disse gracchiando:
- Vai a farti una sega che è meglio.
Sta di fatto che la partita più bella la facemmo un pomeriggio di agosto. Eravamo 9-9 e andammo ai vantaggi. Fu una partita interminabile, lei sudava come una foca in delirio mentre io barcollavo come un burattino di legno. La palla finì in strada, io corsi in piena adrenalina a raccoglierla velocemente. Un pullman inchiodò a venti centimetri dal mio naso, persi conoscenza e le mie innumerevoli ossa caddero a terra come i bastoncini dello Shangai. Lei bussò alla porta del pullman, si fece aprire, salì e strinse la mano all’autista, poi scese. Mi raccolse delicatamente come un angelo e mi disse:
- Sempre puntuale la Satti.
Ora so che Santa Lucia non c’è più da qualche anno, qualcosa se l’è portata in cielo, ricordo con molta tenerezza una sua considerazione di me:
- Metti su qualche chilo, ragazzo.
A proposito, la partita finì 32-30 per lei, con una sua “Punciunata” che finì all’incrocio dei pali. Dovevate vederla, era felice come una Pasqua, con le braccia verso il cielo ad esultare e a prendermi per il culo facendomi il gesto dell'ombrello.

giovedì 17 dicembre 2015

La strada senza sbocco

C’era buio in quella strada di pietra.
Era in salita come la vita.
Lei rideva con le mani vicino alla bocca.
Lui stava più sotto nella curva.
L’edera si muoveva.
Una piccola lampadina accesa.
Poca roba.
Che dire ancora?
C’era scritto: “strada senza sbocco”.
Sul muro.
Un presagio.
Andiamo?
Adesso ti bacio.
Passarono mille anni da allora.
La strada era in discesa.
L’edera era ferma.
La lampadina spenta.
Andai fino in fondo.
Non era vero.
La strada proseguiva verso un sentiero.


martedì 15 dicembre 2015

L'estate sta finendo

Eravamo sul treno di ritorno da una vacanza in Toscana andata a puttane. Dovevamo starci due settimane. Invece, dopo due giorni, avevamo già esaurito le nostre speranze di continuare. Il primo giorno, Vincent e Daniel rischiarono di annegare con il loro stupido materassino gonfiabile. Non sapevano nuotare. Quel giorno le onde erano alte come Vincent, che superava di gran lunga i due metri… e i cento chili. Quando vennero ribaltati, Vincent acchiappò Daniel e lo fece diventare il suo nuovo materassino. Andarono a fondo. Il bagnino, che era lì vicino con il suo pattino, si buttò in acqua e lottò contro quella specie di Moby Dick di Vincent che teneva stretto Daniel tra le braccia. Il bagnino vinse la battaglia usando una tecnica efficace: guardò Vincent negli occhi e gli disse di NO con la testa, un NO molto convincente. Si salvarono tutti, ma Vincent, lasciato Daniel o quel che restava di lui, decise di andare a sbattere contro uno scoglio e di abbracciarlo. Si tagliò in ogni parte del corpo. Insanguinato, attraversò la spiaggia tra l’incredulità della gente. Quel cetaceo, trafitto da innumerevoli fiocine, andò verso la strada e fermò un’ambulanza che girava a cazzo:
- State cercando me… - urlò prendendo a pugni il parabrezza.
Nel chiosco nel frattempo suonava: “L’estate sta finendo”.
La sera arrivò un temporale spaventoso che ci ribaltò la tenda portandosela probabilmente in Corsica: nel luogo ideale dove nascono i camping. Spendemmo tutti i soldi per taxi e multe varie, perché Daniel si divertiva ad attraversare i binari della stazione ogni volta che un treno stava per arrivare. Si sentiva come Gesù Cristo, quindi, quella scossa di adrenalina del giorno prima, lo aveva talmente interdetto che un mese dopo si iscrisse a un corso di parapendio, lui che soffriva anche di una grave forma di vertigini che lo faceva vomitare già a quattro metri di altezza.
Su quel treno, io e Vincent conoscemmo Fernanda. Un’argentina di origini italiane che sarebbe scesa a Novi Ligure. Era simpatica e carina, e Vincent ci perse quasi la testa: l’unica cosa sana che gli era rimasta, dato che era tutto fasciato come una mummia. Quando lei gli chiese cosa si fosse fatto, lui rispose:
- Solo qualche graffio...
In realtà, su quel corpo si poteva fare un corso completo di cucito.
- Ho salvato sei bambini da una morte sicura! – disse dandomi una gomitata nello sterno.
- Davvero? – lei chiese a me con gli occhi di una che aveva appena visto Rambo.
- Sì, erano proprio sei – risposi col fiato corto.
Quando Fernanda arrivò a destinazione ci diede il suo indirizzo di Buenos Aires, dicendoci di scriverle perché ci aveva trovato simpatici.
Io non le ho mai scritto, anzi, non credo neanche di avere più quell’indirizzo.
L’altro giorno, dopo trent'anni, ho incontrato Vincent e le sue cicatrici. Era con sua moglie e ben sei bambini.
- Ciao Vincent, che fine ha fatto Daniel?
- L’ultima volta che l’ho visto, due anni fa, partiva per il Perù, voleva a tutti costi provare i funghi allucinogeni degli sciamani.
- È tornato?
- Non lo so, era sulla sedia a rotelle quando è partito.
L’ho guardato stupito.
- Non mi presenti tua moglie.
- Ah, sì, certo. Lei è Fernanda.

venerdì 11 dicembre 2015

Le origini di "Liberi tutti"

Adesso vi racconto brevemente come è nato “Liberi tutti”.
Circa nove anni fa stavo con una tipa, ed ero follemente innamorato di lei – succede.
Questa storia aveva avuto un inizio magico, quegli inizi che un po’ tutti vorrebbero, basato su coincidenze, sincronicità, déjà vu, che se solo le raccontassi qua non ci credereste.
Ma non è questo il punto di cui voglio parlare, ma sul perché io un giorno decisi di scrivere un libro – come la maggior parte degli italiani che non hanno un cazzo da fare.
La relazione era agli sgoccioli, quindi, bastava veramente poco perché finisse, e quel poco fu un tizio che la corteggiò regalandole un libro di un famoso scrittore – regalate libri alle donne mi verrebbe da consigliare.
Sta di fatto che lei lo lesse, e ci lasciammo.
Il giorno dopo scrissi “Liberi tutti”.
Ci impiegai venti giorni.
Poi glielo spedì.
Ora ho molta tenerezza per quel ragazzo non ancora quarantenne che scriveva come un adolescente.
Quel libro era una rivalsa, un modo per dirle che...
“Senti, bella! Lui ti avrà anche conquistato, facendo il figo, con un libro scritto da uno scrittore conosciuto, ma io, bella, ti lascio andare con un libro scritto da me che scrivo alla cazzo di cane”.
Sì, forse era una cazzata, ma allora la pensavo così, e mi piaceva pensarla così.
Il giorno dopo entrai in una biblioteca, un luogo a me sconosciuto, e conobbi Cicerone.
Vi saluto brava gente.

mercoledì 9 dicembre 2015

La vera storia del "non scrittore"

Andava in giro dicendo di essere un buon “non-scrittore”.
Affermava che fosse in grado di far vedere una buona storia senza le parole.
- C’è sempre un gran bisogno di buone storie senza le parole! – così si esprimeva.
Per lui il rischio più grande era di scrivere una storia sbagliata, per poi vergognarsene. Aveva il timore dello choc del riconoscimento, o peggio, della critica.
- Io non riesco a scrivere tutto!
Questo era il suo limite. Non riusciva a catturare ogni cosa che le passava per la mente. Per lui le storie erano farfalle zigzaganti difficili da prendere, e solo una o due, tra centinaia, si posavano sul dorso delle sue mani, a raccontargli qualcosa che fosse simile al colore.
Già, ma quale? Il rosso? Il giallo? Il blu? Tutti insieme? Le solite cose!
A lui non piacevano gli aggettivi li riteneva ridondanti, e per di più non sopportava descrivere gli ambienti, tanto meno i dialoghi troppo lunghi, casomai era tentato ai linguaggi onomatopeici, ma non sapeva come scriverli.
- In una storia potresti scivolare – esclamava con forza – a volte è un tentativo di asciugare un pavimento con uno straccio bagnato senza mai strizzarlo, uno sforzo inutile. Meglio tenere aperta la porta e lasciar fare al sole – queste erano le sue parole.
La sua accuratezza nel non scrivere era maniacale. Poteva stare delle ore con le mani appoggiate sulla macchina da scrivere, e le dita sospese verso lettere che non sarebbero mai state battute, le quali non avrebbero riempito alcun foglio bianco perché non c’era neanche quello.
- Potrei rovinare la mia Olivetti lettera 22.
Infatti, per lui, solo dopo la Zeta che iniziavano le storie: la ventiduesima lettera, quella che le raccoglie tutte.
- Le parole sono solo lettere in disordine.
Diciamoci la verità, io questo “non scrittore” non l’ho mai capito, e come me anche altre persone. Sta di fatto che gira per le città del mondo raccontando sempre la stessa storia che non ha mai scritto, una buona storia, così lui la definisce.
- Ma dove vorresti andare?
- L’eccellenza è muoversi senza andare da nessuna parte.


mercoledì 2 dicembre 2015

Le mille e una notte

Prese i suoi capelli, con quelle sue piccole mani, e li lanciò in avanti verso di lui. Fece questo gesto inconsapevole come se stesse rovesciando un secchio d’acqua. Gli arrivò solo un vento asciutto sulla faccia, un vento che asciugava le parole non dette. Poi, partì un tango, un tentativo di leggere un corpo che gli stava appiccicato addosso. Era il tempo del dopo, perché prima si amarono in un letto doppio, diviso solo da un canale come quello di Corinto. Si infilavano a turno come navi che cambiano mari velocemente, senza avere la necessità di circumnavigare continenti. Si erano trovati facilmente come randagi, ed è bastato loro annusarsi. Lui ruvido come la sua pelle, lei sempre piena di speranze. Si sa che le donne sopportano meglio gli abbandoni, sono serrature che non si arrugginiscono come le chiavi lasciate appese sui muri. Fecero colazione affamati e divorarono dolci confezionati. C’era stato un momento nella notte che restarono zitti, o meglio ancora, spenti. Non c’erano forzature, vigili del fuoco che buttano giù porte, incendi dolosi. In quei corpi solo caminetti dove si sentono gli scoppiettii dei legni. Scintille che ti fanno chiudere gli occhi e ti scaldano le guance. Erano rossi, incandescenti, arabe fenici. Tostati come semi si sesamo da mettere sulla crosta del pane. Quando lei decise di andare, lui la vide al posto della porta, la mano di lei nella sua, una maniglia.
- Puoi aprirla quando vuoi – disse ormai diretta verso l’atrio.
Lui la guardò come la lampada di Aladino.
- Ci volevi proprio!


martedì 1 dicembre 2015

LIBERI TUTTI


Se dovessi pensare a cosa scrivere per promuovere il mio racconto, direi solo che: "ho il cuore in gola adesso". Lo scrissi otto anni fa per un'urgenza, quindi, troverete una storia immediata. Trovando difficoltà su come pormi, prendo spunto dall'oroscopo di Rob Brezsny, che mi ha detto di essere, in questa settimana, un dilettante di successo. Infatti è il libro di un principiante, è solo un libro di un principiante... e questo è l'incipit.
p.s. andate nelle librerie e ordinatelo, oppure acquistatelo direttamente alla casa editrice.
Grazie!
(Il venditore di incipit)