martedì 24 novembre 2015

Urbi e Torbi

Umberto e Tony erano due pistoleri del nuovo millennio. Si facevano chiamare Urbi e Torbi.
Un vecchietto un giorno disse a loro:
- Si dice Urbi et Orbi!
- Noi ci vediamo benissimo, vecchio! - risposero all'unisono.
Sembravano due tipi tranquilli, ma in realtà nascondevano da qualche parte due Colt 45, che sommate, facevano 90 come la paura. Con quegli aggeggi sparavano ai 4 venti: al libeccio, alla bora, allo scirocco e alla tramontana. Agli altri non sparavano mai.
- Non hanno il coraggio di soffiare quando ci siamo noi! – disse Urbi in una sua recente conversazione.
Li trovavi nei saloon a bere: uno al bancone e l’altro a guardargli le spalle. Non bevevano mai assieme: troppo rischioso. Fatto sta, che queste pistole, non si erano mai viste. Urbi era la mano destra più veloce della valle del manubrio, e Torbi la mano sinistra di Zio (Ovvero, Zio fa)
Un giorno parlando con Torby, lui mi disse:
- Senti, mezzasega, tu non immagini neanche quello che potremmo fare…
- E cosa potreste fare? – chiesi tremolante.
- Lascia stare, smidollato!
- Ma voi non avete mai sparato?
- Ma ti rendi conto che se avessimo già sparato ci sarebbe stato un macello.
- Beh, certo…
- Tu vorresti un macello?
- No di certo!
- Vedi!?
Nel frattempo si dettero il cambio. Urbi venne da me e Torbi andò a coprirgli le spalle a debita distanza.
- Ascolta, rammollito, lo sai benissimo che in una storia, se spunta una pistola, quella deve sparare.
- No, non lo sapevo. Chi lo ha detto?
- Checov!
- Chi è Checov?
- Un pistolero degli Urali.
- Dove sono gli Urali?
- Ehi, lattante, hai rotto con le domande!
Torbi si avvicinò a Urbi e gli disse qualcosa sottovoce.
- Noi andiamo, pivello, c’è una tramontana in arrivo. Copriti.
- Perché?
- Perché potrebbero volare pallottole.
Ebbi un sussulto.
Mentre si allontanarono dissero qualcosa sul Padre, sul Figlio e sullo Spirito Santo.
Amen.


sabato 21 novembre 2015

Marta

Marta è sarta.
Marta prende tutto alla lettera.
Lei cuce i buchi delle calze usando le uova.
Marta si taglia i capelli da sola.
Li taglia quadrati come dei cerchi.
La trovi allo ZAC, un locale dove si fa la musica con le forbici.
Marta usa un po’ di lacca.
Marta è russa e un polacca.
I suoi occhi sono due bottoni marrone chiaro.
Si è fidanzata con un iraniano.
Un giorno lui le disse:
- Io sono lo Scià!
E lei lo lasciò.
Beve crema di whisky perché le ricorda la seta.
Marta non ride con la bocca lo fa con la cistifellea.
Se parli troppo con lei, ci devi dare un taglio, se no ti cuce la bocca.
Marta è brava a fare corpetti da togliere il fiato.
Marta non sa fare il bucato.
Marta è nobile come un lungo vestito.
Se proprio volete colpire Marta, sorprendetela da dietro con le mani negli occhi.
- Chi sono? – le ho chiesto con la voce goffa.
- Ehi ragazzo, ce l’hai la stoffa?


giovedì 19 novembre 2015

Allez les filles, au travail - En mémoire de V. S.

- Come posso andare avanti?
Una domanda alla sua coscienza in attesa di una risposta fuori dal tempo.
Che cosa la sconvolse? Che cosa turbò il suo muscolo invisibile?
Un enorme brivido sulla pelle l’avvolse, non ci fu il tempo di decidere.
Ogni pensiero venne cancellato: la musica, i sogni nella borsetta, un uomo accanto. Si voltò velocemente e andò nella direzione sbagliata, quella giusta era già occupata. La sua corsa fu goffa e il suo cuore si spostò nella gola, non ebbe il tempo di sputarlo dalla bocca. Mostrò la schiena per consegnare ai suoi occhi una speranza. Aveva sempre sostenuto che nella vita non sarebbe mai stata vigliacca, quindi, attese invano il coraggio per sostenerla. Scappò dai rumori secchi, quelle delle noci quando le schiacci. Sentì conficcarsi nella schiena pezzi di gusci, e pensò all’autunno quando i colori sono umidi e i boschi si spogliano per mostrarsi nudi. Era la stagione della caccia agli uccelli; lei cadde prima con la faccia e poi con tutti i capelli. Fece un lungo respiro per sentire i punti dolenti, erano tanti, e sorrise pensando di unirli. Si lasciò andare come una matita quando la punta si spezza.
L’ultima cosa che vide fu una bambina che disegnava se stessa.


domenica 15 novembre 2015

Cosimina

- Come ti chiami?
- Cosimina.
- Scusa?
Me lo feci ripetere 7 volte. Non so se era perché parlasse velocemente o ero io che avevo il mio solito problema di dislessia, sta di fatto che, nella mia mente complessa, avevo capito Casamia. Aveva uno sguardo diverso, intenso, spalancato. Nei suoi occhi c’era qualcosa che roteava tra le pupille come una spirale, e tra i capelli sembrava spuntassero due piccole antenne. Non presi la premura di verificare per non essere scortese. L’unica cosa che compresi, nel suo modo di dire, era che le piaceva il reggae, tutto il resto lo persi velocemente. Quando se ne andò rimasi ipnotizzato, come se mi avesse carpito molte informazioni dal mio subconscio. Decisi di seguirla di nascosto come un bravo investigatore privato, affittando di fretta e furia, a buon prezzo, un impermeabile beige e un capello nero, in un negozio del centro. Vagava per la città. Mi mimetizzai tra i passanti tenendo un giornale in mano, facendo finta di leggerlo. Funzionava alla grande, dato che non si accorse di nulla. Quando arrivò in una stradina di campagna, la vidi alzare una botola e introdursi al suo interno. Viveva nel sottosuolo. Aspettai un giorno intero mangiando hamburger e bevendo coca-cola, ma soprattutto fumando sigarette come si addice a un buon investigatore. Per essere la mia prima volta non me la cavavo mica male. La mattina seguente lei uscì dalla tana. Diede uno sguardo in giro come farebbe una marmotta, e non mi vide: ero appostato come un gufo su di un ramo di una quercia. Quando la vidi lontana, aprii la botola e mi intrufolai dentro. Era un bunker della seconda guerra mondiale arredato con dei mobili dell’Ikea. Capii subito che non era umana perché i mobili erano montati a cazzo senza una logica svedese. Infatti Cosamina, o qualcosa del genere, era un’aliena, almeno questa era la mia conclusione. Quel posto era il suo quartier generale. Scrutando qua e là, vidi un foglio vicino a una specie di macchina del tempo, con su scritto qualcosa che avrebbe cambiato le sorti del mondo:
CARI AMICI DEL PIANETA ZR567TR (all’inizio pensai alla targa della macchina, ma la mia finiva con FG, per fortuna), STO PER RIVELARE IL SEGRETO UNIVERSALE AGLI UMANI, IL SEGRETO CHE CAMBIERA’ RADICALMENTE LE LORO SORTI. IL SEGRETO, CHE VOI BEN CONOSCETE, E’…
- Che ci fai qui? – disse Casomina o qualcosa del genere.
Era arrivata sul più bello, proprio nel momento sbagliato. Bastava che fosse arrivata un minuto dopo e io avrei scoperto il segreto.
- Scusami, ti ho seguita e…
- Silenzio!
Stetti muto.
- Ora i casi sono due: o ti elimino - io già pensavo al secondo – o ti tolgo la memoria.
Propesi per la seconda ipotesi.
- Come ti chiami?
- Cosimina.
- Scusa?
Me lo feci ripetere 7 volte.

mercoledì 11 novembre 2015

E fino a qui

Lei e lui.
E fino a qui…
Passeggiavano per mano stringendo la sera. La luna si era presentata silenziosa come un portachiavi tra le dita, e il vento, agitando i rami, aveva spazzolato il cielo lasciando un suono leggero di chiavi, quelle che aprono orizzonti. Sullo sfondo, dove il fiume diventava un punto, colori simili a bucce di arance e di limoni, trasportati dal corso d’acqua, rivestivano il letto di lenzuola rosse messe con cura dal sole che andava a dormire.
E fino a qui…
Lui la prese in braccio come una sposa, e corse verso la riva. Lei rideva timorosa.
- Adesso ti butto! – le disse credendosi un pittore astratto.
- Ti prego, non farlo!
- Volevo solo dipingere…
Un tizio fece una foto.
E fino a qui…
Andarono a cena. Lei asciutta, lui con le punte delle scarpe piene d’acqua. Mangiarono sushi con le mani, in un locale di gente con gli occhi diversi dai loro. Leccandosi le dita dal riso facevano l’amore senza svestirsi. Il riso stava dappertutto, nei piatti, negli occhi della gente e nelle loro bocche.  
- Stiamo bene…
- Sì, dai…
E fino a qui… poche parole.
C’è una cosa, qualcosa che non vi ho detto. Tutta questa storia, lei e lui, l’avevano solo immaginata. E tutto questo mentre si andavano incontro come una storia già vista.
E fino a qui...

domenica 8 novembre 2015

Novembre


Avevi i raggi del sole nei capelli. Come fiamme laterali, accendevi le punte e mi riscaldavi le tempie. Per sentire meglio il calore avevo chiuso gli occhi, intorno a uno spazio considerevole.
- La terra si muove! – ti dissi.
Tu ti mettesti a ridere alimentando il fuoco. La mia faccia era un asteroide incredulo che si era fermato a osservare la luce, una piccola eclissi, un momento di fermo immagine. Volevo solo togliere qualche raggio al mondo circostante, ne avevo bisogno. Dentro il mio stomaco si era acceso un fiammifero solo per rosicchiare il buio. Io ero dentro a digerire qualcosa di storto, un reflusso quotidiano, quelle cose che ti porti dietro, i soliti cubetti di ghiaccio.
- Comincia a far freddo!
- È novembre!
Frasi ovvie dette sul tappeto volante.
- Dove mi porti?
- Dove nascono le meteore.


Nora

Quando uscii dal locale guardai l'ora: erano le 23. Mi misi a chiacchierare con amici. Lei arrivò all'improvviso: precisa, puntuale come il tempo. Parlammo del più e del meno, nel senso che parlai solo io. Aveva una bellezza africana anche se era più bianca di una colomba. Il suo sorriso svolazzava, infatti, la sua bocca era aperta come le ali di un'aquila reale quando si libra nell'aria. Le piaceva ridere e questo lo faceva sovente, anche con sua madre, così ci disse. (Nessuno di noi si prese la briga di chieder conferma).
Poi, salutò volendo prendermi una mano tra le sue, come quelli che hanno appena vinto una finale.
- Come ti chiami? - le chiesi al suono della mezzanotte.
- Nora!
Erano passati esattamente 60 minuti.




domenica 1 novembre 2015

Non eri previsto

- Non eri previsto.
Era giunto come un oroscopo inatteso. Una risposta a una domanda che lei si era posta tempo addietro: una lettera aperta non ancora letta.
- Avrò tempo per farlo…
Ma il tempo non le aveva dato quello che lei aveva rimandato.
Infatti, quel giorno, il suo segno diceva che non ci sarebbero stati incontri, ma solo tensioni, problemi. Tutto verteva sul fatto che i pianeti erano disallineati e la luna era contraria. Già alla mattina si era alzata con l’umore a terra: una bassa marea, una giornata asciutta. Il fine settimana un monologo già visto: venerdì sera: apericena, sabato sera: cinema. Usciva con le amiche e rideva. Erano sempre in quattro per la necessità di avere il tavolo occupato. Si divertivano con quegli sguardi smarriti sulle consumazioni e sui bicchieri mezzi vuoti.
- Non eri previsto.
Gli disse questo, quel lunedì di metà pomeriggio. Era ferma al semaforo rosso. La radio passò un bel pezzo e lei alzò il volume. Diede un’occhiata a se stessa tramite lo specchietto e vide le sue rughe sulla fronte. A quel punto scattò il verde. Lei lasciò la frizione troppo velocemente e il motore si spense. Provò a girare la chiave, ma niente. Dietro una coda interminabile. Tutti si misero a suonare il clacson e a lei venne una crisi di panico. Un eccesso di iperventilazione le fece perdere i sensi nel momento in cui scese dall’auto per chiedere aiuto. Andò giù a terra come un sacco di calce e non vide più nulla se non il buio.
La sua realtà fu cambiata in quell’istante. Solo voci, grida, rumore di scarpe. Quante storie in quei movimenti. E il suo cuore fermo e gli occhi chiusi. Il suo peso era aumentato di sproposito e le spuntò un sorriso bianco come il suo viso.
- Non eri previsto – disse lei a quell’immenso.
Quando aprì gli occhi si trovò tra le braccia di un uomo vestito come un imbianchino.
- Tutto bene? – le disse spaventato.
- Dove sono?
- A un incrocio.
- Sono viva?
- Ti ho fatto un massaggio.
- Sei un medico? – chiese vedendolo vestito di bianco con sprazzi di colori sull’indumento.
- Un imbianchino.
- No, non eri previsto.
- Scusa?
- Devo dare il bianco.