Aveva
un bisogno assoluto di un filtro magico, qualcosa che poteva rendere i suoi
pensieri più neutri possibili. Sapeva che non esisteva nella realtà, benché ci
sperasse. Non sopportava l’idea di dover avere pregiudizi, anche se era
inevitabile. Voleva a tutti i costi trovare leggero il peso della coscienza. Un
giorno si diresse al parco e si sedette su di una panchina. Vide molte persone
che passavano e provò una sorta di fastidio. Avvertì nel suo corpo un disagio
inaspettato fatto di emozioni contrastanti. Se aveva un barlume di felicità, un
secondo dopo se ne vergognava, pensando che era una sensazione troppo grande
per esistere, e gli venne addosso, come un fiume in piena, un’eccessiva
vulnerabilità. Chiuse gli occhi e provò a immaginarsi nel grembo di sua madre. Se
ne stava lì rannicchiato nella placenta, nella posizione fetale. Non faceva
nulla se non stirarsi ogni tanto le gambe e le braccia. Era immerso in quell’acqua
calda e non respirava. Già, lì dentro non si respirava, e gli sembrava strano
dato che non era un pesce. Come poteva essere vivo senza respirare? – si chiese.
Non conosceva nulla se non le vibrazioni di sua madre. Era nel niente di
niente, in nessuna logica. Non soffriva di claustrofobia, non aveva
intolleranze alimentari, non sapeva che due più due faceva quattro, e non
sapeva che si muore una volta nati. La forza di gravità e la sua natura
decisero di farlo uscire da un tunnel che poteva anche essere una lunga
galleria. Quando uscì, il primo boccone fu l’aria e si mise a piangere. Si
accorse che l’aria era il primo cibo che aveva ingoiato e che da quel momento
non avrebbe mai più smesso. Aprì gli occhi di colpo e prese a respirare affannosamente,
dato che, con ogni probabilità, era andato in apnea. Cominciò a fare lunghi
respiri, quasi preso dal panico e sentì l’affanno nel plesso solare.
- Si
sente bene? – chiese una ragazza che passò di lì.- Sì. Ha mica una sigaretta?
- Certo. La vuole col filtro?