domenica 28 febbraio 2016

La borsa


Era partita per la Siberia. Andava a cercare una borsa. Questo disse a sua madre e a sua padre. Loro la lasciarono andare, d’altronde l’avevano messa al mondo perché andasse a cercare qualcosa.

- Torno presto! – disse senza girarsi, aprendo la porta con la valigia in mano e un colbacco nero in testa, a risaltare i capelli chiari che ornavano la sua schiena come filamenti d’oro.

“Un corpo di spalle può essere eloquente quanto l’espressione di un viso” – pensò sua madre vedendola uscire.

- Che borsa andrà a cercare? – sussurrò il padre che tratteneva con fatica l’acqua che si era creata a ridosso degli occhi, come se avessero rotto gli argini, per colpa di una crepa di una diga lontana che fino a quel momento era stata certificata come sicura.

Non ci fu risposta.

Per quella ragazza tutto avvenne così veloce che lei dal treno vide già la neve.

- Pronto, mamma…

- Pronto, ciao piccola mia, ti sento come se fossi qui… non sembra che tu sia…

- Mamma…

- Cosa?

- Ho trovato la borsa…

E cadde la linea.

“Chissà quante cose dovrà ancora cercare” – pensò sua madre posando delicatamente la cornetta come si posa un neonato nella sua culla.



martedì 23 febbraio 2016

Lo sbalordito

C’era sto tizio che girava per la città, noi lo chiamavamo “lo sbalordito”. S’intrufolava in molte discussioni, e quando sentiva qualcosa che lo interessava, apriva la sua faccia. Stava sempre in sordina tra la gente alla stazione, nei locali notturni e in piazza. Credo fosse in grado di ascoltare tutte le voci intorno, facendo dei lievi scatti con la testa, per intercettare qualcosa che lo sbalordisse. Quando la coglieva, si catapultava verso quella persona che parlava, e spalancava le sopracciglia, le rughe della fronte si ondulavano e apriva leggermente la bocca come un neonato quando si sveglia. All’inizio pensammo fosse un deficiente, poi capimmo, invece, che era il custode della verità presunta. Delle volte si divertiva a dire: “è una cazzata”, soprattutto quando si parlava di donne.
Un giorno gli chiesi:
- Perché ti sbalordisci sempre?
Lui ci pensò e alzò le spalle.
- Non vuoi dirmelo…
Alzò gli occhi al cielo, cercò un rumore con le orecchie, e poi disse:
- Ho solo una bocca.
- Scusa?
- Pensa se ne avessimo due.
- Una per mangiare e l’altra per parlare.
- No, una direbbe la verità e l’altra le bugie.
- Comunque, ne abbiamo solo una.
- Una cazzata!
Prese la birra che tenevo in mano, e se la scolò. Fece un enorme rutto, mi diede uno schiaffetto sulla guancia e una tastata nella zona sacra emettendo un suono onomatopeico.
Spalancai le sopracciglia, le rughe della fronte si ondularono e aprii leggermente la bocca come un neonato quando si sveglia.


giovedì 18 febbraio 2016

Desolado springs


Desolado Springs era una cittadina tra il Nordakota, lo Iuta e lo Aio, lì in mezzo più o meno. Era famosa per un particolare molto importante: lo sbatacchiamento delle porte. In quel luogo c’era il miglior sbatacchiamento che si potesse sentire. Infatti, il vento soffiava in tutte le direzioni: in entrata e in uscita. Non c’era anima viva, o forse c’era pochissima gente. Un giorno arrivarono tre banditi col viso coperto. Parcheggiarono i loro cavalli davanti al Salun e si diressero verso la Bank. Quando arrivarono la porta sbatacchiava come il suo solito, quindi, non ebbero neanche la premura di darle un calcio per sfondarla. Quando entrarono urlarono:
- Mani in alto, questa è una rapina!
Ma non c’era nessuno, solo un ragno che penzolava dal soffitto sul filo della ragnatela.
- Guardate, fa bangi giampi! – disse uno di loro.
- Giampi è morto! – disse un altro dopo avergli sparato.
Uscirono e presero la via del Salun. Quando entrarono videro un vecchietto al bancone.
- Cosa bevete, ragazzi! – con la classica voce da vecchietto del Far Uest.
- Dacci tre uisky puro malto torbato del Tennessì.
Il vecchio eseguì con l’unico uisky che aveva.
- Uhm, è proprio lui, fa fare tanta plin plin.
- Chi siete e da dove venite? – chiese il vecchio con la classica voce da vecchietto del Far Uest.
- Io sono Liuk catena di montaggio dall'Uaioming, lui è Dave il libraio dall'Uinsconsin e lui è Bill fancazzo dalle Auai.
- E cosa vi ha portato qui a Desolado Springs.
- Vecchio, siamo tre banditi che rapinano Bank.
Il vecchio si mise a ridere di crepa cuore.
- Ragazzi, la Bank a Desolado non esiste, è uno scherzo che fanno sempre lo sceriffo e il vice sceriffo per mettere in galera qualcuno, per ravvivare un po’ l’ambiente. Hanno messo il cartello “Bank” tanto per dare un tocco alla città.
- In sto posto di merda c’è uno sceriffo e un vice sceriffo? – chiese Liuk.
In quel frangente entrarono nel Salun proprio loro.
- È proprio così, Gringo. Noi siamo Urbi e Torbi, sceriffo e vice sceriffo.
- Si dice Urbi et Orbi! – precisò Dave il libraio che si vedeva che era uno che la sapeva lunga.
- Noi ci vediamo bene, Gringo! – incalzarono all’unisono i rappresentanti della legge.
Non ci fu neanche il tempo delle presentazioni che dalle scale del Salun scese lei: Linda. Uno splendore di femmina che Mae Uest a confronto era solo una semplice pollastrella. Aveva una valigia in mano e sembrava in partenza.
- Io me ne vado. Sono stufa di questo posto, di voi e di quell’indiano che si addormenta sempre sul mio ventre.
Come finì di dirlo, ecco che entrò l’indiano: Ghiro in letargo, l’addetto di vedetta, quello che in teoria dovrebbe avvertire la popolazione di eventuali arrivi di forestieri poco raccomandabili. Si avvicinò a Torbi e fece una premonizione:
- Tra dieci minuti arriverà una bufera da nord, un tornado da est, un ciclone da ovest e una leggerissima brezza marina da sud.
Urbi e Torbi ebbero un sussulto. Erano famosi per saper sparare ai 4 venti e non erano pronti a una situazione del genere, soprattutto a loro infastidiva molto la brezza. Il vecchio aprì una botola.
- Andiamo tutti sotto in cantina al riparo!
Quella sera, mentre fuori scoppiava un putiferio, tutti si divertirono bevendo uisky puro malto torbato del Tennessì e si conobbero. Liuk catena di montaggio raccontò che prima di fare il pistolero lavorava per una ditta che faceva manovelle per alzacristalli di locomotive a vapore, Dave il libraio aveva aperto, con coraggio, una libreria nel Gran Cagnon, zona con il più alto tasso di analfabetismo dell’Uest, facendo leva sul fatto che lì era comunque un posto tranquillo e silenzioso per la lettura, e Bill fancazzo, beh, il nome diceva già tutto. Comunque, Bill una cosa la sapeva fare, suonava molto bene la fisarmonica. Dave raccontò storie antiche di un gringo dal nome Socrate che bevve la cicuta al posto del uisky puro malto torbato del Tennessì. Aggiunse soprattutto che la cicuta non ti fa fare plin plin. A un certo punto Linda ruppe gli indugi, si stava divertendo, e disse a tutti gli uomini che potevano approfittare di lei, dato che era pur sempre una mignotta, chiedendo esplicitamente a Ghiro di provare almeno per una volta a stare sveglio. Lui annuì non molto convinto.
La mattina seguente si svegliarono tutti molto soddisfatti e aprirono la botola. Quello che videro fuori fu impressionante: non c’era più niente. Era stata spazzata via la città. Solo deserto, polvere e desolazione.
- Crisi… - esclamò l’indiano sbadigliando.
- Cioè? – chiese Torbi.
- Il nome di questi 4 venti messi insieme, l’ho letto ieri nell’ultimo notiziario dei segnali di fumo.
Il sole di mezzogiorno era alto, caldo e fastidioso. Tutti si grattarono la testa, il culo e le palle. Proprio tutti. E sputarono, perché nell’Uest si sputa sempre la mattina. Quindi, si misero uno vicino all’altro, tirarono fuori il coso e fecero a gara a chi pisciava più lungo.
Vinse Linda.


giovedì 11 febbraio 2016

La pelle sulle spalle


La pelle sulle spalle. Una giacca senza maniche, una tuta sgualcita di un astronauta in partenza. Alcune mattine la metto distrattamente al contrario dando sfogo alle etichette, alle nervature, ai fili appesi come indicazioni per vie d’uscita. Fili che se li tiri troppo accorciano il volume, lasciando buchi che poi dovrei ricucire.

La pelle sulle spalle. Un mantello rosso da supereroe in un periodo dove non ci sono più cabine telefoniche. Oggi non si può più mantenere una doppia vita con il cellulare. Queste cose me le permetto casomai a carnevale.

La pelle sulle spalle come quando tiro su la maglia per coprire la faccia, restando nudo davanti a tutti con le mani in alto, per arrendermi dopo che ho combattuto una guerra già persa. Un profugo, un rifugiato che gira su se stesso convinto di andare in qualche luogo. Non ho fatto niente, sono solo un fuggiasco.

La pelle sulle spalle: briciole di pane, neve da spazzare, c’è grattugiato il mio nome, il mio codice fiscale, il mio curriculum vitae. Con i pollici versi lo indico come un calciatore al pubblico dopo aver segnato in una porta senza rete. Questo sono dentro, la pelle è solo un involucro che cambio quando striscio come un rettile. Pieno di veleno, vorrei mordere chi mi pesta la coda, vorrei uccidere chi mi si avvicina, vorrei deporre le uova e schiudermi dentro per rinforzare la mia corazza da cavaliere senza infamia e senza lode.

La pelle sulle spalle non è un peso, è il mio angelo custode.



lunedì 8 febbraio 2016

Tema

Come uno scolaro impreparato mi misi a copiare un tema della mia vicina di banco. Lei scriveva di un amico che se n’era andato, io lo cambiai con il ritratto del mare calmo. Scriveva velocemente con la testa appoggiata al braccio, sembrava che dormisse con la penna in mano, era un sismografo che scarabocchiava un terremoto lontano. Scrisse di pianti e io di nubifragi, di speranze perdute e io di navi. A quel tempo le giornate erano lunghissime, stare una mattina sui banchi era come stare sulla spiaggia a prendere il sole. Allungavo il collo per sbirciare, lei faceva finta di nulla, sapeva che a me piaceva copiare. Che c’era di male se avevo bisogno delle sue parole per imparare a trovare le mie. Che c’era di male se lei era veloce nel mettere nero su bianco quando io non sapevo come mettere due parole in croce. Solo copiare per me era l’unico modo per saper comprendere la differenza tra il dire e il fare o tra il bene e il male. Alla fine del tema il suo amico se n’era andato altrove mentre il mare era rimasto uguale. La campanella suonò. Lei prese un bel voto mentre io presi molto di meno, perché scrissi solo che il mare andava avanti e indietro.
- Troppo poco! – disse il maestro.
- Non so scrivere altro.
Quando andai al mio posto, lei fece una smorfia.
- Perché non hai copiato? – mi sussurrò quasi di nascosto.
Alzai le spalle e sedetti al mio posto.
- Sei proprio un cretino!
Tre giorni dopo, lei ricevette una lettera dal postino.