lunedì 27 ottobre 2014

Ho scoperto chi sono

Ho scoperto chi sono.
Dunque. Ero seduto sul divano di casa e me lo sono chiesto, chi sono? Poi mi sono guardato intorno e ho letto ogni oggetto, di getto, tanto all’etto. Ogni cosa era al suo posto, in disordine, un caos perfetto. C’è solo da spostare le cose, mi son detto. Solo alcune, non tutte. Poi sono salito sul tavolo e poi sono sceso, ho camminato a quattro zampe, e son saltato sul letto.
Ho scoperto chi sono.
Un po’ mi sono cagato addosso. Non è normale sapere chi sono, sei figlio di Dio, qualcuno lo ha detto, ma non ero io. Poi ho chiuso le finestre e le persiane, creando il buio, e poi di nuovo la luce. La sedia, il ferro da stiro, il muro, la pallina gialla, la mia voce. Ho cantato una melodia, ho ballato col gatto, ho mangiato il kiwi e ho ascoltato il mio corpo.
Ho scoperto chi sono.
Ho riso di gusto. Ma sei proprio tu, dai, non sei un altro. Sei scaltro! Il cuore a mitraglia, il fiatone addosso, il sudore alle tempie, la spugna sta a galla, la musica a palla.
Ho scoperto chi sono, cazzo!
Davanti allo specchio. Ho tirato fuori la lingua, ho fatto una smorfia, un dito nel naso e ho chiuso un occhio.
Son perfetto in difetto.
- E quindi, chi sei?
- Non te l’ho ancora detto?

http://youtu.be/kt0AwAxj0v0

giovedì 23 ottobre 2014

Le primule in ottobre

- Lo facciamo?
- Cosa?
- Te lo già detto!
- Non ne voglio sapere!
- Lo dovremmo fare!
- Ma siamo alla fine d’ottobre!
- Ma non vedi che sole!
- Ma l’inverno è alle porte!
- Ti ho fatto un maglione!
- Che cosa hai detto?
- Con l’uncinetto!
- Sei folle!
- Senti, io sboccio!
- No, non farlo!
E il fiore si è aperto, e anche quell’altro.
- Ce la faremo?
- Con quel gambo!
- Davvero?
- Mi vibra tutta la corolla!
- Sei la solita sgualdrinella!
Questa è la storia di due primule sbocciate in ottobre
Che fecero l’impresa di aprirsi in anticipo al sole
E dato che non voglio essere romantico in eccesso
Quei due, in autunno, non hanno aspettato a fare del sesso.
 

Licenziamento

Quello che scrivo vale solo per me, non fatelo a casa.
Esattamente, quattro anni fa, fui lasciato a casa dal lavoro. Stetti male per un po', poi entrai in una biblioteca, e cominciai a stare meglio, sono diventato anche intelligente, conosco pure il congiuntivo presente. (Lo giuro su Cicerone, che Dio lo abbia in gloria)
Da quel giorno a oggi ne sono successe di cose: vendo incipit, allevo gatti sperduti e faccio teatro...
ooooh che bello essere stato licenziato...

mercoledì 22 ottobre 2014

Dove nasce il vento?


- Dove nasce il vento?
- Io non lo so dove nasce il vento.
C’erano i soliti rumori all’esterno, quei rumori delle cose che si muovono. C’erano quelle che volevano farsi sentire di più e quelle più timide che si sentivano appena. Foglie, polvere, tettoie, lamiere, rami che si spezzavano: dialogavano tra loro una lingua incomprensibile. Noi eravamo dentro a oscillare, dato che solo le finestre sbattevano assieme alle porte, e qualcosa cadde a terra e si ruppe. Bastò un soffio più forte. Rimanemmo fermi quasi spaventati dal rumore assordante che fece vibrare anche il quadro sulla parete. Volevamo ascoltare il silenzio che c’era tra un soffio e l’altro, quella quiete piena di stelle, dato che il cielo era stato spazzolato. Quel lucido pensiero, quella novità improvvisa che solo uno spazio silente può donare. Avevo sete perché attraversai un deserto. Avevo bisogno di bere e tu mi hai baciato.
- Quindi, dove nasce il vento? – mi hai ancora chiesto.
Ti ho preso i capelli e li ho tenuti sollevati con le mani. Mi sono avvicinato, ti ho soffiato dietro le orecchie e ti ho sussurrato, annusando il tuo aroma:
- Il vento nasce dalla tua chioma.

http://youtu.be/QhMt9V1rKdo

sabato 18 ottobre 2014

Sum ergo cogito

Io non penso. Oddio, diciamo che il pensiero cartesiano “cogito ergo sum” non mi appartiene, mi appartiene l’esatto contrario. Ci sono tecniche per alleggerire i pensieri, e una di queste, è ascoltare il respiro. Ieri sera ero in un locale e, guardandomi intorno, ho visto una ragazza carina, come ce ne sono tante. Mi piacevano i suoi modi, mi piaceva com’era vestita, mi piaceva il suo viso. C’erano già molte cose che mi piacevano di lei. Assomigliava a Rosanna Arquette nella ...versione del film "Cercasi Susan disperatamente". Ha catturato la mia attenzione e ho cominciato a pensare a cosa avrei potuto dirle per conoscerla. Bene, ho pensato troppo e ho perso l’immediatezza. Quindi, non ho fatto alcun passo, come spesso succede, e me ne sono stato lì a rimuginare con i miei pensieri. Poi, però, mi sono messo ad ascoltare il mio respiro e qualcosa è successo. Quando mi sono alzato si è alzata anche lei, nello stesso istante, come se una forza invisibile ci avesse dato un pizzicotto nel sedere, e ci siamo incrociati. Ci siamo guardati con intensità, con attenzione e con cura. È durato pochissimo, ma tutto quello che i miei occhi hanno visto in quello spazio-tempo non si può descrivere a parole. Tutto questo perché non ho pensato, ho solo fatto attenzione.
 

giovedì 16 ottobre 2014

Stronzate


Ogni volta che guardi un bel film o leggi un buon libro, e scopri attimi sinceri o parole che sfondano i tuoi muri interiori, pensi a quante volte, in un solo giorno, saresti in grado di toccare livelli così intensi. Non li conti perché sono davvero pochi. Eppure ti emozioni per quello che vedi o leggi, ti fai trasportare dagli eventi, e forse ti senti anche bene, solo per un cazzo di film, e non sai come sia possibile che tu non abbia la capacità di sentirti così davanti ai tuoi vecchi, ai tuoi amici, ai tuoi figli, ovvero alle persone che ami. Magari dedichi giustamente del tempo a fare delle cose per renderti migliore: corsi di ogni genere per aumentare la tua consapevolezza, serate in palestra o che ne so, meditazione, dicendoti che lo fai come terapia. (Ogni cosa che esce dall’ordinario chissà perché diventa terapeutico).
Ti fai quelle cazzo di full immersion di ogni sorta di coinvolgimento emotivo, per recuperare una parte di te che si avvicini quanto meno a quando avevi sensazioni infantili, e non ti importava di sporcarti rotolandoti a terra. Sta di fatto che finita l’ora di yoga, danza, teatro o di qualsivoglia corso new age, ecco che si ritorna come prima. Ti sei preso un tempo di alienazione dal mondo, ti sei sentito rinato assieme a sconosciuti, e ne avete parlato (che bello!!! Vi siete detti), e tutti sono contenti, con un bel sorriso a trecento denti, entusiasti dell’esperienza. Poi, la porta si chiude e tu sei a casa, con tutta quella gente nella testa, tutta quella energia cosmica, ma che dico “universale”, e vai a dormire, e quella notte dormi bene, cazzo se dormi bene, dormi da dio. Quindi, hai fatto la tua dose di coscienza, hai staccato, come si usa in gergo dire, e ti sei fatto la tua terapia, proprio come quando vedi un film o leggi un libro, e ti ci infili dentro, e ti fai trasportare, e stai in tutt’altra dimensione, e te lo scopi (Credetemi, ci sono libri che si “scopano” nel vero senso della parola). Tutto questo per dire che non so bene cosa cazzo avrei di così importante da dire, solo che quando capita l’occasione, quando potresti dire qualche parola col cuore, quando potresti fare un semplice gesto, ti manca il coraggio, e diventi banale, solo perché quel gesto ti rende vulnerabile, e pensi che non te lo puoi permettere.
Stasera ho visto un bel film e ho capito una cosa, ho capito che dovevo scrivere questo, tanto per rompervi il cazzo, con un bel sottofondo musicale, e per attendere chissà quale approvazione, solo per sentirsi migliore, per celebrare se stessi, come di uno che ha qualcosa da dire. Stronzate.

http://youtu.be/B8qg_0P9L6c

mercoledì 15 ottobre 2014

Su questa terra


Sei miliardi o forse più. Individui che calcano la terra. Attratti. Cercare negli spazi. Marciapiedi affollati. Accorgersi. Guardarsi intorno e chiedersi. Basterebbe un contatto, uno sfiorarsi.
- Non abbassare lo sguardo.
Fermarti.
- È molto che aspetti?
E non rispondi. I tuoi capelli ondeggiano, la tua gonna pure. Il vento e la gente intorno.
Non ti ho dato alcun appuntamento. Non ti ho dato un orario. Non ti ho chiesto di venire. Non era previsto. Questo assurdo pianeta. Stare in questo luogo. Esattamente qui. Fermi. Parlo.
- Hai un motivo?
E ti metti a fischiettarlo. E poi a rumoreggiare. Escono piccole parole. Incomplete. Sottovoce.
Tra me e te. Una distanza vera. Un campo. Una grossa sfera.
- Sarebbe bello entrare…
Lo facciamo. Siamo. Più vicini. Il vento ci sposta. Diventiamo sempre più piccoli. Una bolla di sapone e scoppia. In minuscole bollicine invisibili. Miliardi di particelle. E siamo in ognuna di quelle. Nessuno ci vede più. Nessuno se ne accorge. Solo io e te. Spariti.
- Cosa bevi?
- Quello che prendi tu va bene!

http://youtu.be/sFmnLwRENlI

mercoledì 8 ottobre 2014

Responsabilità

Davvero vogliamo riprenderci la vita di merda che facevamo prima? Davvero rivogliamo le catene di montaggio, le miniere, i forni di stampaggio? Davvero vogliamo riappropriarci di quelle prigioni e occuparle? Possibile che non abbiamo altre visioni migliori? Sembriamo tanti carcerati usciti a respirare un periodo d’aria e di trasformazione, che non siamo ancora in grado di vivere il cambiamento epocale che è in atto, come una grande opportunità individuale. Siamo un paese che dovrebbe innanzitutto puntare sulla logistica, sull’artigianato, sulla cultura e sul cibo, invece vogliamo continuare ad assemblare, a riempire parcheggi e a correre per timbrare la fottuta cartolina. Abbiamo così tanta ricchezza che possiamo essere veramente lo stivale che sorregge l’Europa e che la fa camminare, invece siamo un’ancora che sta nel profondo del Mediterraneo, e tiene ferma la barca, per restarci sopra fino a quando non affonda. Siamo solo in grado di galleggiare. Finché penseremo che riproporre fallimenti passati sia la soluzione, resteremo sempre un popolo di incompiuti. Finché seguiremo la competizione capitalistica, l’uguaglianza comunista, o peggio, la carità cristiana o di qualsiasi altra religione, che ci hanno solo insegnato cosa non dovremmo fare, saremo sempre immersi nella paura. Beh, io ho smesso di farmi rappresentare da qualcuno, di pregare, di partecipare, "io scelgo di assumermi", sì, io mi assumo... la piena responsabilità di me stesso. 

martedì 7 ottobre 2014

Lupa


Quando hai inarcato la schiena, hai provato a sciogliere le catene della tua colonna vertebrale. Gli anelli si sono messi a saltare, e un drago ha percorso le tue vertebre. Come una lupa hai alzato il collo verso la luna e col muso l’hai annusata. Eri ferita da chi ti aveva dato la caccia, e hai ringhiato alla notte con le bave alla bocca. Quando hai raggiunto l’apice e la tua nuca ha toccato la schiena, ti sei trovata in piena estensione, e ti sei liberata. Il tuo pelo lucido si è fatto nero e ti sei mimetizzata col buio. I tuoi ululati di guerra si sono estesi e si sono sentiti in tutta la valle. Assomigliavi al dito che indica la luna, che io non ho visto, dato che ero pervaso dalla stoltezza, di guardare te, come unica indicazione di bellezza. Ti sei accorta di me, ti sei girata di scatto e hai respirato la paura. Io sono rimasto a fissarti come un cane che si era perso, e mi sono seduto a terra. Ti ho aspettato rispettando i tuoi occhi pieni di rabbia e mi sono abbandonato sul fianco per mostrarti la pancia. Allora ho capito quanto fossi indifeso e vulnerabile, e quanto tu avresti potuto, con un morso, uccidermi. Ho scavato una buca, ho chiuso gli occhi e sono scomparso tra le foglie. Sei venuta a prendermi con diffidenza e mi sei girata intorno come i vortici di un tornado. Volevi distruggere tutto: alberi, vigneti, case solitarie. Invece ti sei fermata sulla soglia del mio corpo, e ti sei quietata.
- Non perdermi di vista!
Mi hai detto proprio così.
- Non perdermi di vista!
Me lo ricordo ancora adesso che non smetto di tenerti gli occhi addosso.





lunedì 6 ottobre 2014

sabato 4 ottobre 2014

Pelle

Lei aveva la cravatta nera, una camicia grigia, le gambe magre e il culo a mandolino. Aveva i capelli color biondo con le sfumature scure. Trottava tra i tavoli del locale a servire brandy. Lui stava appollaiato in un angolo a fissare ulivi dentro enormi vasi. Lei si prese una pausa e si sedette al suo tavolo. Fecero alcune parole di circostanza, poi fumarono una sigaretta in due. Lui le disse che per lei sarebbe stato la neve in inverno, la pioggia in primavera, il sole d'estate e le foglie in autunno. Lei rispose di non esagerare perché si rischiava di essere banale. Lui non disse niente, anche se sapeva che le parole semplici funzionano solo se si trovano i tempi giusti. Era una questioni di tempi, e lui le prese la mano, e lei lo lasciò fare. Si toccarono il dorso col pollice e scoprirono che era per entrambi ruvido.
- Ci metti qualcosa sulla tua pelle? - lei chiese.
- Sì! - lui rispose.
- Cosa? - chiese ancora incuriosita.
- Io sulla pelle metto pelle.
La sigaretta finì come finiscono le stelle.
 

venerdì 3 ottobre 2014

P e b


P e b si sfiorarono un giorno. Erano sempre state lontane per un inspiegabile motivo. Tra di loro si insinuavano solo vocali. Si passarono accanto nella calca della gente, in una via del centro piena di negozi e di artisti di strada. Si accorsero di qualcosa, e si fermarono a pochi centimetri l’uno dall’altra. Fecero finta di niente, e guardarono una vetrina. Compresero subito, che a loro, avere una enne a ridosso, non gli si addiceva, molto meglio una emme, perché dava l’impressione di renderle più complete. La enne, se proprio doveva esserci, avrebbe dovuto, in primis, stare a una certa distanza. Se P e b si fossero ambedue unite in quel momento, B sarebbe diventata maiuscola. La loro vita insieme sarebbe stata una leva, se l’abbassavi diventava p se l’alzavi diventava b, certo minuscole nelle parole, ma non nell’unione. Avrebbero potuto accendersi e spegnersi a loro piacimento. Bastava solo che P fosse stata generosa. C’era solo l’imbarazzo della scelta. Si guardarono e b disse qualcosa:
- m
P non se lo fece dire due volte e ribadì la stessa cosa.
- m
Nessuna delle due si prese la briga di dire n.
Quel giorno, in quella strada di città, si sentì della buona musica, e si videro due consonanti in una, senza vocali.


giovedì 2 ottobre 2014

La macchina del tempo


Mi sono appena costruito la macchina del tempo. Una macchina singolare. Una macchina che va dove cazzo gli pare. Ho preso il tavolino, l’ho girato a gambe in su, e sono partito.
Il primo luogo, dove mi ha appena portato, è un burrone. Mi son messo a guardare. È profondo e non si vede la fine. Ora provo a chiedere alla macchina una spiegazione.
- Dove mi hai portato?
- Dove mi pare, bello!
D’altronde è stata costruita per quello.
Il secondo luogo, un altro burrone. Mi son messo a guardare. È profondo e non si vede la fine. Ora provo a chiedere alla macchina una spiegazione.
- Perché mi hai portato in un altro burrone?
- Perché faccio come mi pare, bello!
Conferma la sua validità di macchina costruita per quello.
Il terzo luogo, provate a indovinare?
- La finisci?
- Ma ti pare?
Ho bisogno di capire. Quindi esorto la macchina a ripartire.
Quarto luogo. L’oblio.
- Dove mi hai portato?
- Me lo sono dimenticato.
Ho girato il tavolino e sono ritornato.
Questa è la storia della macchina del tempo. Una macchina singolare. Una macchina che va un po’dove cazzo gli pare. Ho preso il tavolino, l’ho girato a gambe in su, e sono nato.
Che assurdità attribuire il burrone all’utero di mia madre.