P e b si
sfiorarono un giorno. Erano sempre state lontane per un inspiegabile motivo. Tra
di loro si insinuavano solo vocali. Si passarono accanto nella calca della gente,
in una via del centro piena di negozi e di artisti di strada. Si accorsero di
qualcosa, e si fermarono a pochi centimetri l’uno dall’altra. Fecero finta di
niente, e guardarono una vetrina. Compresero subito, che a loro, avere una enne
a ridosso, non gli si addiceva, molto meglio una emme, perché dava l’impressione
di renderle più complete. La enne, se proprio doveva esserci, avrebbe dovuto,
in primis, stare a una certa distanza. Se P e b si fossero ambedue unite in
quel momento, B sarebbe diventata maiuscola. La loro vita insieme sarebbe stata
una leva, se l’abbassavi diventava p se l’alzavi diventava b, certo minuscole
nelle parole, ma non nell’unione. Avrebbero potuto accendersi e spegnersi a
loro piacimento. Bastava solo che P fosse stata generosa. C’era solo l’imbarazzo
della scelta. Si guardarono e b disse qualcosa:
- mP non se lo fece dire due volte e ribadì la stessa cosa.
- m
Nessuna delle due si prese la briga di dire n.
Quel giorno, in quella strada di città, si sentì della buona musica, e si videro due consonanti in una, senza vocali.
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