venerdì 27 giugno 2014

Ci vediamo!

E non c’era, già, non c’era.
Se lo avessi saputo prima che non ci sarebbe stata, me ne sarei stato a casa, tanto pioveva! Ma invece ero sicuro che l’avrei trovata lì, che beveva un drink e fumava una Camel light o qualcos’altro di light.
Certo, mi disse l’altra volta, ci vediamo!
A me sembrava potesse essere questa sera sto ci vediamo, o almeno, che non passasse troppo tempo da quell’altra occasione dove ci vedemmo per la prima volta. Eppure una vocina mi diceva, vai! E io ci sono andato.
Attesi, senza fretta, anzi speravo già di trovarla lì al mio arrivo, che attendeva me, dato che non ero partito così presto come faccio spesso quando non ho da incontrare nessuno.
Presi il mio drink. Mi accesi un paio di Merit, senza esagerare, col cellulare in mano, internet o quelle robe lì, per prendere tempo.
Ero assorto a bere, fumare e smanettare sul touch screen, ma non me ne fregava un cazzo, perché non vedevo l’ora che lei da un momento all’altro si materializzasse.
Passò mezzora e non era successo nulla, anche se non era ancora tardi ma neanche presto. Non ricordavo quando accadde l’altra volta che ore fossero. Mi sembrava più tardi di adesso, ma non ne ero sicuro, non ero sicuro di niente, e smanettavo, e il drink era finito e ordinai una birra: più leggera, dissetante e meno impegnativa. Sbuffavo! Salutavo distrattamente gente che arrivava e ci parlai poco, per l’eventualità assai probabile del suo imminente arrivo. C’era il rischio contingente del cagacazzo che mi poteva parlare del più e del meno, con atteggiamento logorroico, di chi non molla su nessun concetto, senza che gli avessi mai dato corda, anche se lui la poteva tirare, per le lunghe, la corda.
E se lei malauguratamente fosse passata in quel momento e mi avesse guardato, e magari avesse alzato le spalle, e avesse deciso di andarsene, dato che io non ero libero di svincolarmi, perché questo era solo all’articolo 3 della costituzione, che a me non me ne fregava un cazzo? Non me lo sarei mai perdonato! Così parlai poco e chiusi ogni conversazione subito, per non dovermi trovare impreparato nell’eventualità della sua venuta improvvisa e per certi versi imprevista, che poi imprevista non era, dato che l’altra volta, non tanto tempo fa, mi disse con convinzione, ci vediamo! Ah, bella e quando cazzo arrivi?
E non le chiesi il numero di telefono, l’altra volta, porca puttana! giusto per capire se per lei, questa sera, poteva essere la sera del ci vediamo! Ma tanto non l’avrei chiamata perché la vidi solo una volta e non era carino chiedere subito il numero di telefono, per cosa poi? Mandarle un messaggio? Troppo vigliacco il messaggio, meglio la telefonata a questo punto, anche se sarebbe stato troppo invadente e prevedibile, solo per soddisfare la mia necessità di non uscire, nell’eventualità che se lei avesse avuto un impegno e non sarebbe potuta venire, io mi evitavo un viaggio inutile. Certo che mi sarei risparmiato la strada, il bere, fumare, ma soprattutto sto cazzo di smanettare.
Era passata un’ora, cazzo. Erano passate due ore, merda. E niente, il tempo era volato, i pochi rimasti si alzarono e se ne andarono, i tavolini e le sedie vennero riposte contro il muro e chiuse con una catena e un lucchetto, particolari di poco conto, dettagli che però osservai attentamente, dato che mi ero rotto il cazzo di smanettare, bere e fumare. Le luci si spensero, la pioggia riprese a cadere, e mi accorsi di aver finito le sigarette e la pazienza, quando, all’improvviso, nel buio totale, in un’ora ormai tarda, mi resi conto, con assoluta lucidità, di aver sbagliato locale.

giovedì 26 giugno 2014

Intrattenimento


Usava il passato come passatempo. Pensieri orizzontali e verticali a schema libero. L’enigma era trovare gli incroci tra le caselle. Si mosse intorno e non si guardò neppure, aveva solo un punto dove concentrare il suo mondo. Il corpo si mise a contorcersi lievemente e si pose a terra come un filamento di lino abbandonato sull’erba. Prese contatto col terreno e coltivò la soluzione. Risolse l’intreccio e lo cancellò dalla memoria: la sua e quella delle circostanze. Riprese forma col respiro e diede sfogo al cuore di condurre la sua recita. Era nudo malgrado fosse vivo. Gli occhi si aprirono perché forse stavano socchiusi come persiane che non si spalancano da giorni. Fece un lento balzo in avanti rotolando raggomitolato, e scavalcò il filo sottile che lo legava al principio dei suoi tempi. Corse tra le betulle bianche sbattendoci le braccia, trovando una scorciatoia aperta alla sua disputa. Tolse ogni cosa e si librò nell’aria, lasciando frammenti di atomi indivisibili a mischiarsi con le lucciole sul grano.
- Che fai? – chiese il sole notturno.
- Intrattengo!
- Cosa? – chiese una luna spenta.
- Lo scricchiolio grezzo del rischio.
- Che cazzo vuol dire? – disse una voce fuori dal coro.
- Niente, mi è uscito solo questo.
Si spensero le luci e rimasero solo gli innumerevoli occhi accesi degli spettatori assenti.



venerdì 20 giugno 2014

Mi sono appropriato del tuo amore nella notte d’inizio estate


Mi sono appropriato del tuo amore nella notte d’inizio estate. Me lo sono preso come un ladro mascherato di nero che lasciava agli occhi l’unica via d’uscita. Un labirinto dove perdersi, noi catene di anelli deboli che si staccano per cercare nuove stanze dove riposare. Ti ho lasciata libera di mentirmi perché era necessario, nessuno può contenere troppa verità, il rischio è che si resta in quella onestà difficile da sopportare, dato che il miglior aiuto avviene dietro un sottile tradimento necessario, per rinvigorire quello sguardo vitale che hanno i nostri visi quando si specchiano.
Mi sono appropriato del tuo amore solo per sentirmi vivo in questa estate fatta di raggi e ombre. Se cammino per le vie deserte di una città è solo per vedere porte e finestre chiuse, nella solitudine di un respiro di un cane che ha sete. Non ti troverò perché è molto più gratificante cercarti tra i mercati e le vie di sconosciuti che passano, dove non mi giro neanche a guardarli perché non esistono
- Mi sono appropriato del tuo amore…
- Si chiama Pietro!
E io che mi chiamo con un altro nome.

http://youtu.be/5V430M59Yn8
 

giovedì 19 giugno 2014

La pianta


Ebbene sì, sono una pianta. Sono incastonata nel cemento tra due panchine di solitarie presenze. In fondo potrei essere parte del mare e di quei rilievi lontani tra nuvole minacciose pronte a scatenarsi e a darmi un po’ di sollievo. Sono secca perché mi tengo in forma, ogni tanto il vento muove le mie braccia e potenzia i miei muscoli fino alle radici. Osservo qua e là la gente che si siede e si alza, che passa e non torna. Conosco ogni loro pensiero e m'invade quello del dolore ma anche quello frivolo della leggerezza gioiosa del bambino che corre. Ah, io me ne sto ferma qua. Vorrei spostarmi, ma desisto, molto meglio affondare i miei piedi al centro della terra, giusto per capire come si possa camminare sui carboni ardenti. Allora, volete dirvi qualcosa?
- Mi scusi?
- Dica!
- Posso dirle qualcosa?

mercoledì 18 giugno 2014

Elena


Mi sedetti accanto come faccio di solito. La panchina era fresca malgrado mancasse poco al solstizio d’estate, e lei stava in attesa di qualcosa che potesse dare un senso alla nuova stagione.
- Non pensi, che a volte, quello che fai non basta? – mi chiese senza tanti giri di parole.
- Sì, quella sensazione di non raggiungere… - risposi forse girandoci intorno.
Aveva un viso di chi è a disposizione, di chi ha sempre qualcosa da offrire, di chi correrebbe in ogni circostanza e di chi è sempre pronta per una carezza. Nei suoi occhi c’era la sua capacità di non disturbare, di non lamentarsi, di essere assente per lasciare campo aperto agli altri. Era un’ottima spalla, nel vero gergo teatrale, sapeva far emergere il talento di chi gli stava vicino e offriva con cortesia la sua energia fino a scaricarsi. La sua generosità era palpabile e io la percepii dato che in pochi minuti mi sentivo meglio. Il suo silenzio era decisamente un toccasana. Ebbi l’ardire di farle una sciocca domanda, quelle che nascono dal nulla.
- Vorresti un regalo?
- Vorrei essere sorpresa!

domenica 15 giugno 2014

Spicchio di sole


Uno spicchio di sole filtrò tra le cime buie
un raggio colpì la tua fronte come un laser
una goccia marrone appesa tra le rughe
divenne uno spruzzo d’acqua calda d’un geyser.
Volevo solo che mi stessi addosso
che mi lasciassi le tue bucce
gocce d’arancio spremuto rosso
che scendono lievi tra le tue trecce.
Mi alzai dal letto e andai a lavarmi il viso. Mi guardai allo specchio e sentii in lontananza una voce simile a un risveglio.
- Dove sei?
- A volte lo dimentico.



giovedì 12 giugno 2014

Il Gran Paradiso


Andai al Gran Paradiso perché il Paradiso non mi bastava. Iniziai la salita nella selva oscura, piano piano, con giudizio, un passo alla volta. Trovai un cartello che indicava il vallone del Roc e non m’importava se mancava una kappa alla fine. Poi vidi un altro cartello che indicò anche un Gran Piano, e pensai che forse in quei luoghi si facesse della buona musica elettrica e sinfonica, o viceversa. Trovai, durante il cammino, chiazze di fiori gialli sulla pelle della montagna, sembravano dei puntini sparsi, mi guardai intorno e non vidi dermatologi pericolosi che prescrivevano pomate al cortisone. Quando arrivai in cima vidi l’inverosimile nel vallone del Roc-k. Jimi Hendrix accordava una chitarra sulle note di “Foxy lady” con una canna in bocca. Lou Reed era fermo nella posizione numero otto del Thai chi – così mi disse lui in seguito – con una canna in bocca e Wallace teneva in mano un libro di Julio Cortazar e pescava sulla rive di un torrente dove John Lennon era intento a surfare controcorrente come i salmoni, anche loro con le canne in bocca: John, Wallace e i salmoni. In lontananza, nel Gran Piano, vidi un uomo che suonava una musica soave col pianoforte e una canna in bocca. Quando Jimi mi vide esclamò:
- Ciao Straniero, come butta?
- Insomma! – risposi.
- Vuoi fare un tiro?
- No, grazie ho già problemi di deambulazione.
Jimi scosse la testa e si rivolse a Lou.
- Ehi, amico! Ma tu l’hai mai sentito “deambulazione?”
- No! Ma credo si riferisca al camminare o qualcosa del genere.
- Dovremmo scriverci una canzone con il verbo “Deambulare” che ne dici?
- Figo! Potrei rifare la canzone:”Deambulare on the wild side”
E risero come due cavalli.
Mi avvicinai a John per capire come facesse a stare sul surf controcorrente, Wallace mi spiegò che Gesù Cristo gli aveva appena dato lo stupidario per camminare sull’acqua. Quando andai dal pianista, mi avvicinai, e senza toccarlo gli dissi:
- Sei bravo!
Wallace allora mi urlò a squarciagola:
- Non ci sente, quello, amico!
Certo che per essere sordo suonava da Dio, pensai.
Da una caverna uscì Janis Joplin che gracchiò ad alta voce:
- A tavola!
Arrivava un ottimo profumo di selvaggina, e dato che ero il più vicino, entrai per primo. Vidi Janis e Whitney Houston che litigavano come due ossesse:
- Senti, fottuta ubriacona, quante volte ti ho detto di non mettere il pepe.
- Ma pensa per te, tossica del cazzo, che metti il rosmarino.
Quando arrivarono tutti, le divisero, dato che si stavano quasi per mettersi le mani addosso.
- Ma chi ce l’ha mandata questa? – chiese Janis – ha sempre fatto solo musica di merda.
Ma John con quella calma divina disse:
- Senti, a Dio piace, punto.
Rosicchiammo in silenzio tutto quel ben di Dio, quando Jimi, col cibo ancora in bocca e il calice di vino in mano, mi chiese:
- Ma chi saresti tu?
- Il venditore di incipit.
- Ah! – risposero tutti all’unisono e ripresero a mangiare e bere.
Dopo cinque minuti Lou interruppe il ruminare collettivo facendo una considerazione e poi una domanda delle sue:
- Deve essere figo, sta roba qua, no Wallace?
Wallace staccò l’ultimo pezzo di carne dall’osso e rispose senza tanti fronzoli.
- Ascolta Lou, è merda! Credimi, solo merda.
- Perché? – incalzò ancora Lou.
- Perché, perché, perché… - disse alzando gli occhi al cielo, poi rivolgendosi a me mi domandò:
- Dimmi un po’ ragazzo, sarai mica uno di quelli sfigati che scrivono storielle brevi su facebook?
- Beh, sì…
- E poi ti aspetti che un sacco di gente ti metta un “mi piace”?
- Beh, oddio, sì…
- Vedi Lou, è solo merda! Ma ti pagano?
- Beh, no…
- Senti bello, perché non te ne vai a fare in culo.
John intervenne a calmare gli animi e le anime, e chiese, giusto per cambiare discorso:
- E Beethoven?
- Se non lo andate a prendere… grandissime teste di cazzo! – gracchiò ancora Janis.
Chiesi cortesemente se potevo andare io a chiamarlo, e tutti risposero all’unisono così:
- Bravo!
Quando arrivai Ludwig suonava così bene che mi sentii sollevato da terra e nel cuore. Lo presi sottobraccio e lui non fece una piega. Gli chiesi per tre volte se lui fosse veramente Beethoven e lui mi rispose per tre volte: “Eh?”.
Me ne andai nel pomeriggio, dato che dormivano tutti. Wallace fu l’unico ad alzare un dito medio verso di me, nel dormiveglia, come un semplice saluto, e esclamò:
- Dai che magari ti chiedo l’amicizia su facebook e ti metto anche io “mi piace” sulla tua merda.
- Sarebbe un onore!
- Ma va a cagare va!
Uscii lentamente per non disturbare e scesi dall’altra parte della vallata. Arrivai in un paesino di case in pietra e vidi il cartello con su scritto “Macondo”. Questa città mi ricordava qualcosa, soprattutto perché non c’era il cimitero. Mi scambiarono per uno zingaro e quando mi chiesero cosa facessi, io risposi come al solito:” venditore di incipit”. Dopo alcuni minuti arrivò di corsa un tizio che poteva sembrare il capo villaggio, con accanto una donna che poteva sembrare sua moglie. Si presentarono come José Arcadio Buendia e Ursula. Lui era al settimo cielo. Voleva conoscere a tutti i costi il significato di “incipit” ed era disposto a spendere l’impossibile per averne grandi quantità. La moglie era diffidente e mi chiese:
- Mi scusi, cosa sono gli incipit?
- Inizi!
Il marito esplose di gioia.
- Vedi che siamo ignoranti come le capre. Laggiù c’è un mondo che va avanti…
Ursula mi offrì un bicchiere d’acqua e mi chiese ancora:
- Quanto ci hai impiegato ad arrivare fin qui?
- Cent’anni, più o meno…
- Ah, ecco! Ne hai fatta di strada ragazzo!
Infatti ero salito molto in alto.
- Ma scusi… - chiesi io.
- Dica…
- Ma non ci sono panchine da queste parti?
- Cosa sono le panchine?
Arrivò José gridando dalla cucina:
- Panchine, panchine,  panchine, dobbiamo farle! Cosa sono?
Mi accorsi solo in quel momento che nel Gran Paradiso, a Macondo, mancavano le panchine e decidemmo di farle.
Quando ne facemmo una decina, José ebbe l’ardire di chiedere:
- A cosa servono?
- A sedersi!
- Figo!



lunedì 9 giugno 2014

Solitary man


Camminava per la strada delle panchine e delle puttane. C’era un caldo secco che si attaccava alla pelle e le sue espadrillas erano quasi consumate dall’asfalto ruvido. Nel cielo lampi in lontananza che segavano la notte, luci che volevano semplicemente prendere a pugni il buio. Aveva una sorta di lenzuolo di canapa addosso e un’altra canapa in mano. Andava per la sua strada. Un lampeggiante dietro di lui fece in modo di accompagnare i fulmini verso il bordo della strada.
- Mi scusi, dove va a quest’ora?
Erano le tre del mattino.
- Sto facendo il giro del mondo.
- Uno che fa il giro del mondo dovrebbe avere uno sponsor.
Non aveva previsto questa illuminante considerazione.
- Mi può favorire i documenti?
- Non li ho mai avuti.
- Avrà un nome…
- No!
- Una casa?
- No!
- Quindi, lei se ne va bello bello in giro vestito così, senza nulla.
- Sì!
- Non va mica bene?
- E cosa ci sarebbe di sbagliato?
- Non è normale.
- Ah, strana sta cosa…
- Perché?
- Perché quando ho attraversato il deserto non c’era gente come voi che mi faceva queste domande!

 

Sedie

- Ma tu li hai mai capiti, sti qua?
- Perché?
- Ci portano qui e si siedono là!
 


sabato 7 giugno 2014

Nulla


La presi tra le braccia e la portai da me. Erano passati secoli da quando non portavo a me una calda, profumata, limpida e morbida straniera. Era un cuscino da una lunga chioma come un veliero in viaggio verso una terra promessa. Con una delicatezza che non conoscevo la feci librare nell’aria addormentata. Non avvertivo alcun peso nella mia rotazione leggera cullata dall’impercettibile rullio del sangue che scorreva. Ogni battito era una musica rombante di indigeni nella danza della pioggia. Niente dava l’impressione di un combattimento tra soldati in guerra, solo schiaffi docili che assomigliavano a innumerevoli carezze. La posai sull’erba e la baciai al confine delle labbra. Lei si svegliò e anche l’aria. Aveva gli occhi di una civetta e il sorriso di una farfalla.
- Che succede?
- Nulla!

Le bisbigliatrici


Quando mi sedetti accanto a loro ebbi la sensazione che a loro, non importava un fico secco che io mi fossi seduto. Parlavano sottovoce e sussurravano parole e frasi che per me erano inconcepibili. Quando tentai di avvicinarmi con l’orecchio per sentire meglio, l’unica onda sonora che usciva dalle loro bocche era simile al sibilo di un pallone che si sgonfia lentamente o quel suono veloce di vetture di formula 1 che senti solo quando guardi un Gran Premio alla televisione. Devo essere sincero, seppur nel loro linguaggio onomatopeico, queste due ragazze non stavano assolutamente parlando male di qualcuno, lo si poteva capire dalla loro postura, da un certo sorriso graziato e da occhi spalancati sull’attenzione. Erano regolari, c’era una sorta di par condicio tra loro, non avevano quel vizio maleducato di interrompere il discorso di un altro che ha la maggior parte della gente. Una, leggermente più rigida, teneva sempre le mani giunte chiuse tra le ginocchia e dava l’impressione che si stesse stirando i muscoli delle braccia, l’altra, molto più abbandonata anima e corpo alla forza di gravità, invece, teneva le mani sulle ginocchia e fissava in lontananza quasi in cerca di risposte a nessuna domanda. Non si scomposero mai, e tra i sibili e suoni veloci, secondo me, potevano passare dal parlare tranquillamente di Baudelaire e del suo rifiuto dei moduli parnassiani della poesia al montaggio preciso e dettagliato di un mobile dell’Ikea, senza riderci troppo sopra e senza sfoderare un faccia troppo seria. Sta di fatto che, le bisbigliatrici – nome che mi sono permesso di attribuire a loro – vivevano in un luogo a me sconosciuto malgrado mi fossero accanto. Per attirare l’attenzione feci finta di tenere un giornale in mano e, come un mimo da quattro soldi, leggevo le notizie bisbigliandole tra me e me. Dovevate vedermi con le braccia tese in avanti a reggere l’aria, con la testa che si spostava da sinistra a destra,  assomigliavo a quei matti di Collegno interpretati in passato da Totò e Macario. Comunque, riuscii nel mio intento, interruppero il Gran Premio come se fossero al pit stop e si misero a leggere anche loro. A un certo momento feci finta di girare pagina e loro all’unisono, sorprendendomi, mi dissero:
- Aspetta, aspetta…
Deglutii un po’ di saliva e chiusi l’invisibile giornale quasi turbato. Feci finta di arrotolarlo e di buttarlo via, poi dissi con decisione alle bisbigliatrici, che forse mi stavano prendendo per i fondelli, le seguenti parole, che erano più di sfida che di convinzione:
- Care ragazze, mi spiace per voi, ma il giornale era quello di ieri.
Loro, sempre all’unisono, sorrisero con grazia e mi risposero con cortesia:
- Oh oh oh non si preoccupi, non siamo ancora arrivate a bisbigliare del giorno d’oggi.

martedì 3 giugno 2014

Fermata


Un manifesto sorride perché loro sorridono sempre. Un telefono sul muro per sole chiamate non squilla. Una donna con due borse riflette su quello che ha racimolato. Due amanti si scambiano carezze e si parlano sulla fronte, formando inconsapevolmente un cuore seduto. Un uomo si nasconde sotto un giaccone perché non vuole rivelare la sua faccia neanche al cestino che gli sta accanto. Due pilastri sorretti da una catena si tengono per mano, e un’altra catena tiene legato il bordo della foto perché non cada. Qualcosa tiene uniti tutti. Qualcosa li tiene fermi ognuno al proprio posto: un mezzo. Presto giungerà, dato che è già arrivato il suo vento e il suo rumore. Tra pochi minuti non ci sarà più nessuno, resteranno solo le cose appoggiate al muro.
Suona il telefono. Tutti rimangono a guardarlo. Si alza uno sconosciuto che era dietro al pilastro e risponde incredulo.
- Pronto!
Probabilmente una voce dall’altra parte della cornetta dice qualcosa.
La persona si rivolge a tutti e chiede:
- Qualcuno vuole parlare con Dio?


http://youtu.be/YkADj0TPrJA