La
presi tra le braccia e la portai da me. Erano passati secoli da quando non
portavo a me una calda, profumata, limpida e morbida straniera. Era un cuscino
da una lunga chioma come un veliero in viaggio verso una terra promessa. Con
una delicatezza che non conoscevo la feci librare nell’aria addormentata. Non avvertivo
alcun peso nella mia rotazione leggera cullata dall’impercettibile rullio del
sangue che scorreva. Ogni battito era una musica rombante di indigeni nella
danza della pioggia. Niente dava l’impressione di un combattimento tra soldati
in guerra, solo schiaffi docili che assomigliavano a innumerevoli carezze. La posai
sull’erba e la baciai al confine delle labbra. Lei si svegliò e anche l’aria.
Aveva gli occhi di una civetta e il sorriso di una farfalla.
-
Che succede?- Nulla!
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