martedì 29 aprile 2014

A mano a mano

Arrivò pian piano alla panchina. Zitta zitta, a poco a poco si avvicinò. Era giusto giusto accanto a me. Sotto sotto sapeva ben bene che era il momento. Era lì lì per darmi un bacio e quasi quasi lo fece, più o meno…
- Com’è?
- Così così!
 



http://youtu.be/E4tz68hyT8s

giovedì 24 aprile 2014

Nuvola


C’era sta cosa bianca in cielo. Stava lì, sola, nel sereno. Il sole la scrutava con distacco, sperando che non gli coprisse la faccia come succede spesso. Ma lei era unica, e ferma. A muoversi, ci pensava la terra. Io ero appoggiato sul davanzale della finestra ad attendere che potesse cambiare forma. Qualche filamento si mosse come le onde dei capelli della Venere del Botticelli. Stavo per chiudere la finestra proprio mentre lei scopriva il volto, e me la ritrovai a pochi metri dalla faccia come un fiore che si è appena aperto.
- Scusa, mi fai entrare?
Rimasi attonito alla sua richiesta. In casa mia non era mai entrata una nuvola.
- Non saprei! – risposi senza troppa convinzione, - a parte il sole e la luna, non mai ricevuto altre persone.
Arrivò a un centimetro dal mio naso.
- Vorresti dire che non ti fidi, messere?
- Certo che no, ma ho la casa in disordine e non aspettavo nuvole.
- Male, sappi che le nuvole vanno e vengono come disse un cantautore.
Pensai a quante volte tenni le finestre chiuse e le porte blindate. Quindi, decisi di farla entrare.
- Prego!
Lei con gentilezza chiese permesso e si sedette sull’unico divano vicino all’ingresso.
- Bevi qualcosa? – chiesi.
- Acqua, grazie!
Bevve un bicchiere tutto di un fiato e ne chiese un altro.
- Che stavi facendo? – mi domandò sempre con garbo.
- Volevo scrivere una storia breve.
- Scrivi la mia!
- Bene.
Allora presi carta bianca e penna e le chiesi:
- Come ti chiami?
- Nuvola lontana.
- E come mai questo nome?
- È la prima immagine che mi è passata.
Quando finii di scrivere la storia, lei, se n’era già andata.

Superman


- Tu non ci crederai…
- Cosa?
- Ero in bici. Stavo andando alla velocità della luce quando una farfalla mi ha fiorato il viso e un gatto mi ha attraversato la strada di colpo. Ho schivato a malapena la panchina e sono finito nel muro…
- E poi?
- Niente… poi sono uscito dalla finestra!

martedì 22 aprile 2014

Isola


Non avevo sentore di quanto avessi camminato, perché di solito non ho l’abitudine di contare i miei passi. Avevo attraversato foreste e fiumi assieme a giorni e notti. I miei piedi erano gonfi con grossi calli e le scarpe avevano le suole consumate. Mi fermai lì, nello spazio di un prato eterno. Il sole sorrideva alto e le nuvole non piangevano. C’era un silenzio profondo e anche il mio respiro non intendeva disturbare la quiete intorno. Nessun pensiero era presente e il vento era come uno scolaro assente all’appello. Quanto tempo era passato? Quanta vita avevo trascorso? Ricordavo il giorno che ero partito ma avevo dimenticato il percorso. Sapevo che dovevo farlo ma non sapevo cosa mi stava aspettando. Sentii due mani delicate che mi toccarono le spalle e un soffio caldo sulla nuca. Un profumo dolce di macedonia entrò nelle mie narici, e pensai di aver dato frutto finalmente alla mia vita. Una voce femminile mi chiese di chiudere gli occhi, e io lo feci con naturalezza, senza pensare a un ordine costituito. Le mie labbra furono bagnate dalle sue, e tremarono intimorite, da quel morbido cotone di marzapane impregnato dal succo di mandorle appena raccolte. Quando aprii gli occhi lei non c’era ma il gusto per fortuna era rimasto. Mi misi a correre verso il nulla e mi trovai improvvisamente tra le sue braccia. Ci rotolammo sull’erba senza che riuscissi a scorgere il suo volto. Aveva una pelle bianca e i suoi indumenti erano solamente i suoi capelli lungi di un colore chiaroscuro. Ero abbandonato su di lei, arreso alla sua natura. Quando spostò la sua lunga frangia e mi donò il suo viso, rimasi a contemplarla a bocca aperta. Lei era la mia vita, la mia unica bellezza.
- Chi sei? – chiesi ingenuamente.
- La tua isola segreta.

Peso

- Senti, mi devo togliere un peso...
- E me lo vuoi dare a me!
 


sabato 19 aprile 2014

Capisci?


- Capisci?… è quella roba lì… stare lì… senza tante parole, senza inutili “ti amo”… lì… ad essere indumenti reciproci… pigiami pigiati… accanto, sopra, sotto… sì, ok! Il sesso è importante… si fa… è necessario ma superfluo… serve solo per quella roba lì… stare lì… a passare la giornata dopo la notte… a sfiorarsi, a graffiarsi, a mordersi, a mangiarsi… lì… senza lasciare briciole sul cuscino o sul lenzuolo… e poi nutrirsi con quello che resta nel frigorifero… con quella bottiglia di vino già aperta… a bere dalla bottiglia… a mangiare con le mani… a ridere a bocca aperta col cibo in bocca… così… senza aprire persiane o finestre sulla strada… a dormire in coma… capisci?
- Sì…
- Bene…
- Già…
- Boh… io vado…
- Si è fatto tardi…
- Ciao…
- Ciao…


Death is not the end


Un vecchio signore incontrò un’Anima. Una notte, ritornando a casa ubriaco e, secondo il suo costume, solo, l’aveva scorta accoccolata sui gradini della chiesa e dapprima l’aveva creduta un mendicante. Si avvicinò, preso dall’ebbrezza dell’evento inatteso e dai fumi dell’alcool, e la vide doppia. Non sapeva se fosse uno scherzo dei suoi occhi o una nuova realtà, dato che la sua conoscenza passata e tramandata da altri gli aveva trasmesso una verità assoluta: che l’Anima fosse solo una. Assomigliava alla fiamma di una candela, che si sdoppiava ogni volta che lui si sforzava a fissarla. Dentro di essa c’era la sua immagine riflessa ed ebbe un presagio nefasto, credendo per un attimo, che quello potesse essere l’inferno. Eppure emanava calore, che non aveva niente a che fare col dolore, una ventata di amore incondizionato, lo stesso che aveva ricevuto da sua madre quando era ancora bambino.
- Chi sei o chi siete? - chiese il vecchio sedendosi sulle scale.
L’anima non rispose.
- Sto per morire?
Questa domanda aleggiò nell’aria e rimase anch’essa senza risposta.
Lui a questo punto si sdraiò sui gradini e si lasciò andare come solo gli ubriachi sanno fare. Nubi all’orizzonte stavano arrivando minacciose, pronte per scatenare un temporale. Pensò che Dio stava per venirlo a prendere, per portarlo lontano dalla sua disperazione.
- Questo pianeta non mi appartiene, sono solo, e nessuno è in grado di potermi aiutare, tanto vale morire - disse ancora alla fiamma che ogni tanto diventava doppia.
- Perché due? - chiese ancora senza alcuna risposta.
Il vecchio si addormentò sperando di non doversi più risvegliare. Nel sonno, ebbe una visione di cani bastardi intorno a lui, e un lupo feroce gli ringhiò sulla faccia e tentò di sbranarlo.
Si svegliò di soprassalto e un lampo tagliò il cielo in due, lo stesso numero delle fiamme.
- Ma il cielo è uno solo come l’anima, come me, in questo mondo cane! - urlò all’universo.
Si alzò stralunato e non vide più nulla: né l’anima, né la fiamma, né il cielo. Vide un gruppo di cani docili che dormivano con lui sulle scale, e si sorprese. Aveva ancora i postumi della sbronza e fece fatica a rialzarsi, quando un cane gli si avvicinò e gli leccò la faccia. Provò a toglierselo da addosso ma il cane insistette e lo fece sorridere. Il vecchio avvertì solletico su tutto il corpo e il sorriso diventò una fragorosa risata. Gli prese la testa e gliela accarezzò.
- Amico mio, piano - disse al cane - Chi sei o chi siete?
Il cane non rispose.
- Io ho paura di vivere, mia cara bestiola - gli sussurrò con voce tremante, - ho paura della felicità, ho paura della fortuna, ho paura dell’amore, capisci? Io non voglio guarire, se guarisco che faccio? Il cane girò il muso verso gli altri e abbaiò una sola volta. Loro si alzarono ubbidienti e si sdraiarono accanto al vecchio come trapunte invernali appoggiate sul letto.
- Ma che fate? - chiese ridendo - Siete pazzi!
Tutto quel calore animale gli arrivò nel profondo delle sue ossa, in ogni sottile cartilagine del corpo, e si sentì sollevato.
Infatti si sdoppiò. C’era lui sui gradini e lui appeso a un metro da terra. Non era un fascio di luce o energia: era materia. La conferma gliela diede la sua curiosità nel toccare con l’indice quel corpo e nel constatare che era tutto vero e non solo frutto della sua immaginazione. Si guardarono entrambi. I loro palmi si unirono in una preghiera, e rimasero a fissarsi per molto tempo mentre i cani dormivano intorno.
- Chi di noi due deve morire?
- Tu.


http://youtu.be/NwUHzq8VxfI

venerdì 18 aprile 2014

Neuroni-specchio

- Ma perchè c'è sempre qualcuno che non sopportiamo?
- Ma per quella storia dei neuroni-specchio.
- E quindi?
- Quindi, levati dai coglioni!

giovedì 17 aprile 2014

Campagna

- Vorresti sostenere questa campagna...
- Io la campagna la sostengo tutti i giorni.
 


Fonti

- Le mie fonti sono attendibili...
- Ecco... bravo... attendiamole...
 


lunedì 14 aprile 2014

Quella cosa

- Hai poi fatto quella cosa che ti sarebbe piaciuto tanto fare?
- Quale?
 



Selfie

Fra panchine.
- Che cos'è?
- Un selfie.
- Come siamo venute?
- Mosse.
 


sabato 12 aprile 2014

Pro e contro

- Comunque, ho fatto un'attenta e scrupolosa disamina sui pro e sui contro...
- E quindi?
- Niente...
 


venerdì 11 aprile 2014

giovedì 10 aprile 2014

Stare


- Come stai?
Quando me lo chiese aveva le mani occupate a correggersi i capelli. Lei era fatta così, credo. Passava parte del suo tempo prezioso ad aggiustarsi la frangia. Era come una sarta che prendeva della seta e se l’appoggiava sulla testa, e poi scivolava via, e la riprendeva, e scivolava ancora inesorabilmente. Lo faceva un’infinità di volte in modo naturale, come si farebbe con i bambini che cadono a terra perché non sanno ancora camminare. Io non potevo far finta di non guardarla perché la cura che aveva per i suoi capelli era delicata. Mi colpiva questo gesto lento accompagnato da una dolcezza d’animo. Probabilmente una disciplina antica tramandata da secoli di passaggi di consegna. Perché passava il suo tempo a raccogliere la frangia? Perché non la lasciava così, appesa? Voleva che fosse chiaro il suo viso o forse le piaceva accarezzarsi la sua folta chioma? Ebbi un sussulto quando se la tolse. Sì, perché lei si tolse i capelli. Aveva una parrucca e la vidi nuda senza un pelo sulla testa.
- Allora, come stai?
Quando me lo chiese un’altra volta, le sue mani non fecero più nulla perché erano nascoste dalla parrucca. La domanda era sempre la stessa ma la risposta era cambiata. Non so perché fosse cambiata, anche perché io non risposi neanche alla prima. Era cambiata la scena, e non perché lei fosse meno bella, anzi, erano le mani che non facevano più nulla. Mi chiesi che tipo di rapporto avevo col mondo esterno, perché quello che avevo registrato in un primo momento era radicalmente cambiato in un secondo. Non potevo non dire che c’era qualcosa di diverso malgrado avessi davanti sempre la stessa persona. Cosa cambiò in me? Cambiò lo stare, ecco cosa si era modificato. Naturalmente non risposi perché non sapevo cosa dire. Sta di fatto che lei si alzò e lasciò lì la parrucca e si allontanò di qualche passo fermandosi tra me e il sole. Si voltò e mi mostrò le mani.
- Guardami bene! – mi disse.
E lo feci con attenzione.
- Quindi, come stai?
- Sto come quelli che non sanno stare.
- Stammi bene.
E la sua testa si allontanò lasciandomi il sole sulla faccia.

martedì 8 aprile 2014

La grande invasione


Parlo con uno che mi assomiglia. Parlo sempre con lui sulle panchine. A volte leggiamo qualcosa giusto per soddisfare il cuore. Ci sono delle piccole differenze fra noi, roba di poco conto, piccoli particolari fisici e di indumenti: lui ha le maniche e si pettina al mattino – oddio, forse, mi viene da pensare, - io no, ed è l’unica eccezione. Sullo sfondo grattacieli a far sorgere qualcosa di nuovo, come questa città che non ha nessuna intenzione di invecchiare. Braccia di cemento verso l’alto in cerca di Dio o qualcos’altro, e ne mancano due: mozzate da qualcuno perché grattavano troppo il cielo al mattino. Siamo qui a parlare del più e del meno, o qualcosa del genere o cazzate varie. Stiamo organizzando qualcosa senza sapere bene cosa, e ci piace farlo qui, perché è qui che volano le idee.
- È buffo sai?
- Cosa?
- Non ricordo il tuo nome.
- Vattelapesca.
E non possiamo che ridere alla città che abbiamo di fronte e alla sua gente migliore. Non vogliamo raccontare mai niente a nessuno perché, se lo facciamo, finisce che poi sentiamo la mancanza di tutti.
- Senti…
- Dimmi…
- Si può sapere dove cazzo vanno ste anatre?
- Alla grande invasione.


Tanto

- Tanto è inutile!
- Se tanto mi dà tanto...
 


domenica 6 aprile 2014

la regina del vento del sud


Lei arrivò dopo un lungo viaggio. Aveva una borsa di indumenti e una valigia di libri. I suoi occhi erano castagne d'autunno in una mattina di primavera e i suoi capelli profumavano di frutti gustosi di terre lontane. Fece un lungo sospiro quando si sedette accanto: un soffio d'aria di un altro luogo che non era questo. Sembrava che avesse tenuto il fiato durante il suo viaggio per distribuire vento in questo momento. Voleva essere sicura che si mischiasse con l’ambiente intorno. Era come quegl’animali che tracciano il territorio e trasmettono il loro arrivo. Una regina che si siede su un trono lasciato vuoto.  Ecco che cos’era: la regina del vento del sud. Mi ricordo come se fosse ora, anche se può sembrare adesso, che mi disse testuali parole, se testuali possa rendere l’idea, sempre se le idee possano essere testuali:
- La ringrazio messere, lei ha sempre parole delicate per me!
Le mie parole furono così delicate che non le dissi.

Possibile


E niente, arrivò sto qua con un basco in testa girato al contrario come quel rivoluzionario che non ricordavo il nome. Comunque, sta di fatto, che questo si sedette come si siedono gli eroi dopo una battaglia vinta. Uno stile imperioso e sicuro di chi sa il fatto suo, soprattutto perché stava sulle sue e non su quelle degli altri, particolare non di poco conto di questi tempi. Il suo sguardo era rivolto verso di me con quella sicurezza e decisione che solo chi lo capisce può intendere: due occhi che potevano rivoltare il mondo. Non ebbi dubbi. Era lui: l’uomo del tutto è possibile. Come fosse possibile che lui fosse qui non me ne capacitavo. Possibile che accadesse quello che sembrava impossibile fino a poco tempo fa? Quante possibilità c’erano che lui scegliesse me? Pochissime, anzi quasi nulle. Eppure sto qua stava qui e forse voleva dirmi qualcosa che fosse possibilmente possibile.
- Mi stavi aspettando?
- Possibile!
- Che si fa?
- Possibile che tu non lo sappia?
- Se tutto è possibile perché dovrei saperlo!

martedì 1 aprile 2014

Strawberry fields forever


Quando arrivai all’ingresso diedi l’invito ed entrai nel castello. Era una festa, e io avevo il volto coperto da una maschera bianca senza alcuna espressione se non di sgomento, e quando mi vidi allo specchio, ebbi un leggero sussulto, pensando che lì sotto ci fossi io e non un altro. Avevo un mantello nero col cappuccio, per essere alla vista di tutti, ancora più inquieto. Una musica soave aleggiava nell’aria. Canti ortodossi che rallentavano i passi. Il soffitto era alto e la sala era un grande cerchio, con pile di cemento ai lati per sorreggere un piano superiore, dove altre maschere si appoggiavano al balcone. Nessuno parlava malgrado le teste si muovessero per guardarsi intorno. Per quanto fossi stato attento, mi accorsi solo dopo un po’ di tempo, che tutti avevano la stessa maschera bianca identica alla mia e lo stesso mantello nero col cappuccio sulla testa. Sembrava che fossi in una stanza immersa di specchi che riflettevano la mia immagine funesta. Ad un certo momento iniziai a fare una lenta danza circolare e tutti fecero lo stesso. Imitavano ogni mio passo e mi sentii parte di loro e loro di me stesso. Chiusi gli occhi e mi misi ad ondeggiare piegando le gambe e facendo andare le braccia come un pendolo irregolare. Ebbi la sensazione di alzarmi da terra e pensai di lievitare. Girai come un vortice e librai nell’aria, e rimasi sospeso. Non ebbi il coraggio di aprire gli occhi per non cadere e li tenni chiusi fino a quando una mano morbida e profumata mi tolse la maschera dal viso. Mi trovai disteso sull’erba col sole negli occhi e una mano sulla mia faccia. La leccai senza motivo per scoprire il gusto, e sapeva di fragola. Tra le dita intravidi un viso di ragazza coi capelli neri legati e una lunga coda che le accarezzava una spalla. I suoi occhi marroni erano molto aperti e la sua bocca si mosse per dirmi qualcosa che non riuscivo a sentire. Tolse la mano e appoggiò la testa sul mio petto e si lasciò addormentare. Il cielo era azzurro e il prato era immerso di fragole infinite. Dove mi trovavo? Se quello fosse stato il paradiso, nulla avrebbe potuto farmi tornare indietro. Lei si svegliò e mi prese la mano. Ci alzammo in piedi e mi sussurrò in un orecchio:
- Ti piace?
- Non lo so.
Era una risposta sbagliata dato che stavo bene, ma mi vennero quelle parole.
- Vuoi fare l’amore con me?
- Non lo so.
Anche questa era una risposta sbagliata dato che lei era decisamente desiderabile e bella.
- Chiudi gli occhi!
E lo feci.
- Tu conosci il mistero dell’universo?
- No.
- Il segreto te lo rivelo adesso, sei pronto?
Feci sì con la testa e mi baciò.
Quando aprii gli occhi, mi accorsi che la festa era finita e che la mia maschera era sempre la stessa.
Mi incamminai verso l’uscita, e una maschera identica alla mia, si avvicinò al mio orecchio, e mi sussurrò con la medesima voce della ragazza di prima, la stessa domanda:
- Allora, lo conosci il mistero dell’universo?
Guardai tra le fessure della maschera i suoi occhi marroni, e la riconobbi.
- Non lo so, ti ho detto!
- Il segreto dell’universo è adesso.

http://youtu.be/J3jrWVp2L7U