mercoledì 25 maggio 2016

Amore a prima vista


Era un uomo con occhiali da sole a specchio quello che si muoveva strano nel parco. Sembrava un pioppo spostato dal vento, con le braccia che assomigliavano a rami appesi come lenzuola lasciate ad asciugare al sole in un pomeriggio di luglio. Si lubrificava le ossa con quella ginnastica lenta inconsueta, dove, pur restando con i piedi per terra, scivolava. Quando prendeva fiato il suo petto era una vela in direzione opposta alla schiena. Durò quasi un’ora e poi si sedette sulla panchina. Non lontano da lì, c’era lei attenta che l’osservava. Camminava sulle punte come una ballerina, ed era scalza a piedi nudi sulla rugiada, perché le scarpe le teneva in mano come le cariatidi tengono sollevate le nuvole. Deglutiva per l’emozione perché la tensione saliva, dalla pancia al collo, con un fremito alla schiena. Il cuore dettava i suoi passi irregolari perché era in fibrillazione e si mordeva il labbro per l’agitazione. Si avvicinò e si sedette come si posa una foglia. Lui si accorse di lei ma non volse la testa, bastava respirarla, e poi come poteva vederla. Lei si piegò e si chiuse come una conchiglia e appoggiò la testa sulle ginocchia. A quel punto lui si girò e la divise in due tra le lenti che specchiavano lei e la sua gemella. L’impulso fu immediato perché lo baciò senza fiato. Nessuno seppe quanto durò, c’è chi disse un minuto chi all’infinito.
Caddero gli occhiali dall’impeto e lei lo guardò negli occhi trovando solo bianco. Non aveva pupille e non batteva le palpebre. Raccolse gli occhiali e glieli mise, appoggiò la testa sulle sue spalle e gli chiese:
- Tu credi all’amore a prima vista?
- Ciecamente.








lunedì 23 maggio 2016

Qualche volta nevica a maggio

Rannicchiato nel profondo come un piccolo ramoscello, sono incastrato nella terra compatta che mi avvolge in uno stretto abbraccio. Sento il gelo in alto mentre sotto scorre un caldo ruscello.
Chiuso in un seme acerbo, nel buio intorno, attendo qualcosa che mi possa spingere ad aprirmi verso l’esterno: sono stati mesi duri, sono stati mesi d’inverno.
La terra si fa lieve, filtra una goccia d’acqua che mi disseta e mi resuscita. Apro le braccia, il labirinto di cemento diventa pastafrolla. Mi stiro, e involucri di me si staccano, il guscio protettivo diventa un pesante mantello da cui mi libero. Allungo la testa in un piccolo cunicolo, verso un sospirato spiraglio. Sbuco fuori lentamente, l’aria mi soffia sul capo e raggi di luce aprono i miei petali donando la mia corolla al cielo. Tante braccia una vicina all’altra si appoggiano leggere sostenendosi vicendevolmente. Spuntano antenne di ricezione e piccoli insetti si posano a nutrirsi nel calice. Non ho avuto il tempo di essere figlio che mi sento già madre.
M’innalzo ancora per distendere il gambo e ondeggio spostato dal soffio del vento. La luce è molto accesa, ed emano il mio odore: un profumo che si libra nell’aria. Sono felice senza sapere cosa sia la gioia. La luce improvvisamente scompare coperta da nuvole scure: cadono fiocchi di neve. Spalanco il mio unico occhio come un ciclope. Ho paura di esser uscito troppo in anticipo, sto per morire di freddo. Penso di ritornare da dove sono venuto a rannicchiarmi nel luogo sottostante. Non ho più tempo, mi sono spogliato, i miei vestiti li ho lasciati andare. Le mie radici succhiano linfa per scaldare la mia anima, questo sangue che scorre dentro di me m’infonde fiducia. Mi guardo attorno, il verde che spunta tra il bianco è il mio popolo: mi lascio andare, sono un imperatore.
I fiocchi rallentano, sono più fini, un raggio di sole si fa largo tra le nuvole e mi colpisce al cuore.
Qualche volta nevica a maggio... e resta un fiore.



venerdì 20 maggio 2016

La Vale e Debby

Una pianta di ulivo in mezzo. Sei al solito posto. C’è sta pianta di ulivo dentro questo grosso vaso tra i tavoli che sembra un salice ridente. Ci sono due femmine. Poi ci sono gli altri, i soliti noti. Le femmine in questione sono Debby e la Vale. La Vale è una laica socialista radicale, vorrebbe più libertà per ogni genere di cose proibite, Debby ha un cane, femmina anche lei, di nome “Nana”, che ti ricorda una vecchia canzone di Kylie Minogue. Debby corre, corre in salita. Per lei i traguardi stanno in cima. La Vale ha la sciatalgia al chilometro otto, in pianura. Sono socievoli. La Vale ha il suo carisma, Debby si tocca i capelli. Quindi, tu bevi qualcosa di forte, un misto tra l’alcolico e il ginger, roba dolciastra che assomiglia alla birra. Inizi a parlare di una storia già detta, entri in una sorta di improvvisazione esagerata da far addormentare un bruco che soffre d’insonnia. Sei a metà percorso e tutti si alzano, solo “Nana” vorrebbe conoscere la fine della storia. Salutano con gratificanti sbadigli e se ne vanno tutti, le femmine, gli altri e la cagna. Tu continui imperterrito il racconto con l’ulivo che si chiede quando la pianti con questa storia. Mi giro intorno e mi gratto la testa.
- Io vado.
- Dove?
- A correre!
- A quest’ora di notte?
- Mi devo allenare.



domenica 15 maggio 2016

Una coppia di anziani in un pub di Dublino

Un pub di Dublino, nella zona centrale della città. Una coppia di anziani siedono in fondo al locale con i loro boccali di Guinness. Due coniugi uno di fianco all’altro con la bocca chiusa. Osservano l’ingresso e la gente che va e che viene confusa. Ogni tanto danno un sorso alla birra, un movimento curato e molto preciso. Quando deglutiscono si nota in loro una certa attenzione al gusto, glielo conferisce il loro movimento del collo, uno scatto veloce come quando accendi la luce. Tengono con fermezza il manico del boccale come il prete quando tiene il calice durante la messa. Dopo si puliscono la bocca, col dorso della mano, un passaggio lento in controtendenza con lo spostamento della testa. In quel momento i loro occhi s’incontrano e lentamente si danno un bacio. Un bacio vecchio, casto, appena accennato, per tornare a fissare l’ingresso, una porta che si apre e si chiude cambiando scenario, a differenza di loro che sono come un quadro appeso al muro. L’uomo anziano aspetta che la moglie finisca la birra, poi si alza e va a pagare alla cassa. Torna da lei e le porge il braccio, lei si aggrappa con fatica e si fa trasportare a piccoli passi verso l’uscita.
L’amore è ingenuo. Non c’è nulla di meraviglioso, nulla da dover enunciare con grandi parole, nessuna esplosione vitale, solo un atteggiamento, una libertà nel silenzio, la semplicità di gustarsi le cose.
- Tesoro, stasera la birra era veramente buona.
- Tu dici?
- Me l’han detto i tuoi baci.
- Smettila, sei ubriaca.
- Me lo dici ogni sera.


mercoledì 11 maggio 2016

Dovevi vederlo

- Dovevi vederlo! Aveva una faccia così, quella faccia che hanno tutti. Aveva uno sguardo preciso, quel tipo di sguardo. Poi, dovevi vederlo, aveva delle sensazioni, quelle sensazioni lì, e delle movenze tipiche di quelle movenze là. Dovevi vederlo! Aveva anche delle percezioni, quelle percezioni che solo lui sapeva, e aveva un tono di voce ben definito, Dio, che tono di voce!!! E aveva... Dovevi vederlo!
- Scusa, di chi stai parlando?
- Tra me e me.
- E chi sarebbe sto qua tra te e te?
- Lascia stare. Non lo conosci.



giovedì 5 maggio 2016

La legge di mercato

Davvero! Io ho cercato di capirla la legge di mercato.
Allora…
Un giorno la borsa va su e il frigo è vuoto.
Il giorno dopo la borsa va giù e il frigo è vuoto.
I bancari vanno su e il conto corrente sta a zero.
I bancari vanno giù e il conto corrente sta a zero.
Fai il 730.
- Quanto recupero?
- 100 euro.
- Buono. Quanto mi costa il 730?
- 100 euro.
E mentre le borse vanno su e giù, non ti arriva nello stesso mese l’assicurazione dell’auto, il tagliando dell’auto, il bollo dell’auto, la revisione dell’auto e la multa sul parabrezza dell’auto, che se ci aggiungi una “i”, lì in mezzo, non ti diventa “AIUTO”, quindi, perché non ci sta l’assicurazione dell’aiuto, il tagliando dell’aiuto, il bollo dell’aiuto, la revisione dell’aiuto e la multa sul parabrezza dell’aiuto.
No, perché a uno viene voglia di andare a “Piazza affari” a piedi - perché intanto sia l’auto che l’aiuto non ci stanno più - e urlare:
- O la borsa o la vita!
E quello con la cravatta ti risponde, aggiungendo un “H” - che ti diventa il verbo:
- Ho la borsa, ho la vita.
Vabbé sta borsa tienitela ma almeno ridateci la vita.

Come quella volta che

Come quella volta che non avevi le parole e bastava poco, davvero poco.
Come quella volta che faceva caldo veramente.
Come quella volta che ti sono venuto a prendere e il sedile era vuoto.
Come quella volta che ricordo vagamente.
Stava in un ufficio militare. Tu stavi alla finestra. Pulivi i vetri in punta dei piedi sulla sedia. Potevi cadere, e lui te lo disse uscendo di corsa quando vide un’incertezza. Era solo il primo piano. Non ti preoccupare lo faccio sovente, gli risposi, e lui capì che spesso non eri in grado di decidere. Vi parlaste per settimane: lui con la testa per aria e tu a lavare lo stesso vetro ogni giorno. Era chiaro. Quando si innamorò di te, ti disse che se ne andava. Il suo dovere era finito. A quel tempo darsi un bacio era proibito. Ti diede un indirizzo fasullo. Tu scrissi lo stesso. Quella lettera giunse qualche mese dopo perché sul suo nome non aveva mai mentito, non per tutto il resto.
Come quella volta che eri felice di essere con poco, davvero poco.
Come quella volta che ci trasferimmo in una casa più grande.
Come quella volta che trascorremmo tutta la vita insieme.
Come quella volta che ricordo vagamente.
- Hai dato da mangiare alle galline?
- Ho preso le uova.
- Credo di aspettare…
- Ancora?
- Questo non era previsto.
- Faremo come sempre abbiamo fatto.
Come quella volta che avete fatto la frittata.
Come quella volta che hai partorito.
Come quella volta che l'ha preso per la caviglia.
Come quella volta che ricordo vagamente.
Come quella volta che sono diventato figlio per sbaglio.