Era un uomo con occhiali da sole a specchio quello che si
muoveva strano nel parco. Sembrava un pioppo spostato dal vento, con le braccia
che assomigliavano a rami appesi come lenzuola lasciate ad asciugare al sole in
un pomeriggio di luglio. Si lubrificava le ossa con quella ginnastica lenta
inconsueta, dove, pur restando con i piedi per terra, scivolava. Quando prendeva
fiato il suo petto era una vela in direzione opposta alla schiena. Durò quasi
un’ora e poi si sedette sulla panchina. Non lontano da lì, c’era lei attenta
che l’osservava. Camminava sulle punte come una ballerina, ed era scalza a
piedi nudi sulla rugiada, perché le scarpe le teneva in mano come le cariatidi
tengono sollevate le nuvole. Deglutiva per l’emozione perché la tensione
saliva, dalla pancia al collo, con un fremito alla schiena. Il cuore dettava i
suoi passi irregolari perché era in fibrillazione e si mordeva il labbro per l’agitazione.
Si avvicinò e si sedette come si posa una foglia. Lui si accorse di lei ma non
volse la testa, bastava respirarla, e poi come poteva vederla. Lei si piegò e
si chiuse come una conchiglia e appoggiò la testa sulle ginocchia. A quel punto
lui si girò e la divise in due tra le lenti che specchiavano lei e la sua
gemella. L’impulso fu immediato perché lo baciò senza fiato. Nessuno seppe
quanto durò, c’è chi disse un minuto chi all’infinito.
Caddero gli occhiali dall’impeto e lei lo guardò negli occhi trovando solo bianco. Non aveva pupille e non batteva le palpebre. Raccolse gli occhiali e glieli mise, appoggiò la testa sulle sue spalle e gli chiese:
- Tu credi all’amore a prima vista?
- Ciecamente.
Caddero gli occhiali dall’impeto e lei lo guardò negli occhi trovando solo bianco. Non aveva pupille e non batteva le palpebre. Raccolse gli occhiali e glieli mise, appoggiò la testa sulle sue spalle e gli chiese:
- Tu credi all’amore a prima vista?
- Ciecamente.