domenica 30 marzo 2014

Non è stato tempo perso


Non è stato tempo perso.
Lo scopo era quello di restare fermo, di non muovermi, di non prendere alcuna decisione. Osservare l’incidente di percorso. Ecco, osservare. Qualcosa mi diceva di stare su questa metaforica panchina a sviluppare i sensi, senza senso: una specie di montagna che si lascia nevicare addosso.
Poi, pochi giorni fa, seduto a bocca aperta sulla sedia del dentista, a farmi trapanare un dente, mi è arrivata una voce tra le cellule accese come lucciole in maggio sui campi di grano, che mormorava nella mia coscienza così:
- Finalmente sono io.
Non so cosa volesse dire e non so in realtà chi sia io veramente, ma sapevo quello che non volevo più essere: che non vuol dire niente. La verità è quella cosa che riguarda solo te e molto spesso è una cazzata immane. Quando ti trovi naufrago su un’isola deserta e ti tocca farcela, e il dente duole, e ti abbandoni tra le mani esperte di un altro a bocca aperta come un pesce che ha abboccato; quando nel momento che riesci a sopravvivere: la voglia di ricerca ti porta a ripartire, a farti chiudere il dente, a costruirti una zattera, perché ti sembra di vedere in lontananza un’altra riva di un’altra isola da conquistare. La paura subentra quando sei lì in mezzo al mare e non vedi più dietro l’isola che hai lasciato, e non vedi ancora davanti l’isola nuova. È proprio lì che capisci il senso della vita mentre ti stai letteralmente cagando addosso: il desiderio di scoperta e l’amor proprio. Nessuno ti garantisce il meglio nella tua esistenza, neanche Dio, e per fortuna lascia a te ogni libero arbitrio.
Non sono arrivato da nessuna parte ma ne è valsa la pena partire alla ricerca del desiderio individuale: il mio e non quello di qualcun altro.
Non è stato tempo perso.
Ora ho la zattera, il mare e finalmente io.
Uno diverso.


venerdì 28 marzo 2014

Un corpo vuoto


Immaginai una forma piena nel vuoto del suo corpo. La sua posa invisibile e sospesa mi costringeva ad osservarla con attenzione spasmodica. Solo il mio respiro voleva rompere il silenzio di quella lettura.
Cosa vedevo o cosa non sapevo guardare?
Ebbi paura! Restai distante per non scoprire che qualcosa c’era.
Aspetta qualcuno o è solamente lì, ferma, a fingere la sua esistenza limpida?
Feci un passo e la mia suola schiacciò la ghiaia che tolse il fiato in gola per via di un vento di tramontana. Mi salirono i brividi alla schiena ed ebbi ancora la forza di mandare giù l’ultima saliva.
Poi, volai verso di lei come volano le lenzuola.
- Cosa leggi?
- La tua vita!

giovedì 27 marzo 2014

Sereno

- Qual è il tuo scopo nella vita?
- Essere sereno!
- Cioè, tu vorresti una vita senza pioggia?
 


domenica 23 marzo 2014

Rondini


I miei occhi erano fissi nel cielo a scrutare due rondini che svolazzavano come piccoli aquiloni. Non diedi parole ai miei pensieri, non diedi parole alle cose; immaginai di essere appena nato: in assenza di ricordi, di giudizi e di educazione. Spalancai gli occhi lasciandomi andare all’innocenza come se fossi stato tra le braccia di mia madre. Mi accorsi che era possibile tornare all’origine: con un cervello nuovo, un cuore nuovo e uno sguardo incolpevole. Il mio corpo fletteva ed era morbido, e le rondini erano belle. Mi venne voglia di infilare il pollice in bocca, di far andare su e giù le braccia, e perché no anche le gambe. Credo che se avessi provato a camminare sarei caduto. Sentii la mano di mia madre sulla pancia e quella di mio padre sulla testa, e ridevo, col pollice in bocca e le rondini in cielo. Mi addormentai e mi vidi dormire. I miei occhi chiusi erano gentili, la mia mandibola era abbandonata in assenza di tensione e la mia testa delicata scivolava fin dove il collo glielo consentiva. Ero in braccio alla terra e non feci alcuna forzatura.
- Mi scusi!
Aprii gli occhi e vidi dei lunghi capelli come braccia tese verso di me, e in mezzo un viso, e di lato il sole: anche lui con le sue braccia di luce.
- Mi scusi!
Avevo il pollice in bocca e lo ritrassi per l’imbarazzo. Mi alzai in piedi e caddi per terra. Lei mise le mani sulla bocca e spalancò gli occhi. Non sapeva se ridere o piangere. Si inginocchiò e i suoi capelli mi abbracciarono.
I miei occhi erano fissi nel cielo a scrutare due rondini che svolazzavano come piccoli aquiloni…
ed erano i tuoi occhi.

sabato 22 marzo 2014

La lumaca


Ho mangiato una lumaca. Non perché volessi mangiarla, ma l’ho mangiata. Cioè, a dire il vero l’ho ingoiata: intera. Ecco, ora mi chiederete perché? Niente, è che avevo preso dell’insalata amara dell’orto, l’avevo lavata bene, così bene che non restava nulla della terra, ma restava la lumaca. Ora mi immagino lei, che passa tra la trachea e l’esofago, a farsi un giro, lenta con la sua bava che è anche la mia, dato che ingoio la saliva. Lei no, credo che non salga, inteso come saliva, che è qualcosa di imperfetto, inteso come verbo o come forza di gravità, vabbè sta roba qua. Allora, scende e va nello stomaco tra acidi cloridrici e polpa di erba frastagliata cresciuta al sole e in certi momenti di pioggia. Niente, immagino che lei abbia una corazza e che se ne fotta, nel senso che l’acido le faccia una sega, cioè, che non le faccia nulla per via della corazza. Gironzola e raccoglie quello che non serve, anzi se lo mangia. Si ciba delle mie viscere, dei miei scarti, dei miei cattivi pensieri che sono per lei vitali, in uno scambio di favori reciproci. Dopo qualche ora che si è ringalluzzita e con la pancia piena, a differenza della mia che è tornata vuota, si prende la briga di entrare in autostrada che sono le mie budella. Si mette nella condizione di guidare uno slittino per fare una discesa libera, a prendersi l’aria sulla faccia che non ha l’odore della primavera ma quello della merda. Schivando stronzi fermi ai box per una sorta di stitichezza, data da una pigrizia o da un blocco di resistenza, lei fa il dito medio a tutti, ad ogni passaggio o meglio ad ogni curva. Comprende che, finalmente, è in dirittura di arrivo, avendo stabilito il record mondiale di velocità nell’intestino, lei che per tutta la vita si era sempre sentita una lumaca. Si accorge subito, dopo un gran volo, di trovarsi nel cesso e non sul podio a prendere la medaglia, tra stronzi che galleggiano in attesa dello scroscio dell’acqua. Un attimo e si ritrova nella fogna, e all’improvviso in un fiume, e dopo qualche giorno nel mare, a farsi ingoiare da un pesce che viene ingoiato da un pescecane.
Questa è la storia della lumaca nell'insalata che non fa altro che essere ingoiata e cagata, tra stronzi che galleggiano, a restare viva e vegeta. 

giovedì 20 marzo 2014

La giornata della felicità


E boh! Scoprire, a un quarto d’ora dalla fine, che oggi è la giornata della felicità. Così, all’improvviso. È che non ero preparato a cotanta magnificenza. E adesso che faccio? Mi tocca aspettare il prossimo anno? No, perché la felicità mica la impari a scuola o all’oratorio, sta cosa è effimera, non la tocchi e non si può misurare in una scala di valori. La felicità è quella cosa che dura poco, passa veloce e manco te ne accorgi. Invece il dolore o la tristezza, quella ci stai dentro alla grande. Eh già, ma c’è chi sta peggio, e vabbé allora ti accontenti, perché funziona così. La sofferenza è reale e necessaria così fai esperienza, tiri fuori il meglio dalla situazione difficile. Eh già, bisogna soffrire se no mica te la danno la vita eterna! Lascia perdere i tuoi sogni non ci sarà mai nessuno disposto ad accettare le tue scelte diverse dalla consuetudine, d’altronde se nasci povero non costruisci castelli in aria. Eppure in questa stupenda giornata della felicità che sta per chiudersi, mi viene in mente una scena di molti anni fa, quando lavoravo – sì, perché c’ho avuto anche un lavoro, così tanto per passare il tempo – nella catena di montaggio. Io stavo su sta portiera di una Cadillac a montare alzacristalli, solo perché ero uno specialista nella regolazione dei vetri, ero bravo, sapete, sapevo far chiudere bene un vetro, c’avevo il talento di farlo incastrare bene alla gomma della capote senza che pizzicasse. Ero così bravo con i vetri da risultare trasparente anche a me stesso. Minchia se ero bravo! Comunque, sta di fatto, che mentre lavoravo, io cantavo. Niente, cantavo, così: quelle canzoni lì, quelle di Battisti o Dalla, quelle che sanno tutti, quelle che si cantavano sul pullman quando si andava in gita a scuola. Beh, c’era sto capofficina che era sempre incazzato, non sorrideva mai, e ogni volta che attraversava la linea di montaggio, vedeva me che cantavo, e credo gli desse fastidio. Quel giorno si avvicinò, mentre io cantavo “il mio canto libero” – quello che inizia con “in un mondo che…” - e mi chiese seriamente:

- Dellea, perdoni la mia domanda – mi dava del lei – ma perché canta?

Eh già, io lo sapevo che un giorno sarebbe arrivato a chiedermelo, dato che lì si faceva un lavoro di merda. Mi presi una decina di secondi per riflettere. C’avevo sto motorino ad aria in mano pensando di avere una pistola pronta a sparare. Guardai prima la pistola e poi guardai lui, con un sorrisetto da stronzetto e gli risposi così:

- Per avvitare meglio la vita.

Non so come mi uscii sta frase. Lui se ne andò senza capire nulla ed anche io, a distanza di anni, non c’ho ancora capito un cazzo.

mercoledì 19 marzo 2014

Parole incrociate

- 1 verticale.
- Quante lettere?
- Sette!
- Stronzo!!
 


La festa del papà


Un buon padre ha una vigna, ha un orto e conosce il nome delle piante del bosco.
Un buon padre ha appetito e mangia con gusto.
Un buon padre dorme quando ha sonno.
- Vorrei fare questo!
E lui ti risponde:
- Fallo!
Un buon padre non ti educa ma ogni tanto ti rompe i coglioni.
Non ti dice la differenza tra cattivi e buoni.
Può capitare che tu debba odiarlo perché è così che deve andare.
Può capitare che tu debba amarlo perché è così che deve andare.
Un buon padre sa come appoggiare la mano sulla spalla.
Un buon padre è colui che ti rende libero e ogni tanto ti accarezza la testa.
Mio padre aveva una vigna, aveva un orto e faceva il boscaiolo sulle rive.
Presto andremo a funghi insieme.

http://youtu.be/EQH6qu2pHT8

sabato 15 marzo 2014

La moglie del coniglio


Arrivò alla panchina un po’ veloce, saltellando tra un ciuffo e l’altro, perché non le piaceva arrivare un po’ lenta, per via di una allergia alla farina gialla. Era una spia del L.E.P.R.E. una agenzia segreta deviata in calcio d’angolo. Era la moglie del coniglio ma non si doveva sapere in giro, anche se io dicendolo ora, immediatamente lo sapranno tutti, tutti quelli che sono in giro, naturalmente. In realtà lei non esisteva, dato che in passato si era finto che lei fosse nata. Infatti, quando nacque insieme ad altri 31 tra conigli e conigliette, venne prelevata dall’agenzia per la sua capacità di nascondersi, fu talmente brava che non la trovarono. Anche io feci fatica a vederla perché ogni volta che la osservavo: lei spariva, oppure veniva deviata, sempre in calcio d’angolo. Era in controtendenza con la fisica quantistica, nel senso che in realtà doveva sparire quando non la guardavo, invece lei per uno scherzo della scienza e della coscienza faceva il contrario. Arrivati a questo punto, non so bene cosa ho scritto, ed ho una sensazione di dislessia e di vuoto mentale, perché, essendo scaltra e anche scalza, ha il potere di confondere le idee e di portare la mia discussione verso una discontinuità di cui non capisco il fine, sempre se ce ne sia uno. Per cui se comincerò a dire cose incomprensibili sappiate che…
- Eneb ots non ? osseccus è im asoc.
Suonò il cellulare.
- Pronto?
- Sancho… passami mio marito!
- Ciao Tesoro…
- Ma ce l’hai sempre in mezzo ai coglioni?
- Non so spiegarmelo neanche io!
- Ascolta… Credo che la spiegazione sia spostando “ni” tra  “co” e “glio”
- Tu non mi basti mai, davvero non mi basti mai…
- La CIA mi fa na sega.
- Sei la migliore…
- Senti…
- Dimmi…
- Ho eliminato quello che vende quella roba là…
- Cosa gli hai fatto?
- Gli ho invertito le parole.
- Ottimo lavoro, sapeva troppo.
- Quando ci vediamo?
E sbucò all’improvviso dietro di lei.
- SORPRESA!
E lei sparì come faceva sempre.
Suonò il cellulare.
- La smetti!
- Lo sai come sono fatta!

 

venerdì 14 marzo 2014

Un nuovo viaggio


Accadde che lei aprì lo sportello della mia auto e si sedette.
- Andiamo!
- Dove?
Si girò di scatto e si accorse che io non ero la sua amica. Aveva sbagliato vettura perché la sua era di fronte alla mia. Ebbe un attimo di incredulità misto ad allegria. Si mise a ridere per l’accaduto e non era ancora scesa. Cercò di scrutarmi nella penombra per vedere se io fossi un viso a lei conosciuto, ma non fu così, dato che allungò la sua mano destra alla maniglia nel tentativo di uscire da quella situazione. La mano rimase solo appoggiata e indecisa come se quel momento insolito potesse essere una strana opportunità. Sentii il suo respiro e quella sensazione di rimanere fermo e muto.
- Che ci faccio qui! – mi disse.
- Potrebbe essere un nuovo viaggio. – risposi senza esserne troppo convinto.
- Se tu solo sapessi… lasciamo stare…
- Stiamo… allora…
Arrivò l’amica e con un gesto le fece capire di andare.
- Dove mi porti?
- In nessun luogo.
- Sai una cosa?
- Cosa?
- Vorrei una figlia da chiamare!
- Mi sembra un ottimo motivo per iniziare.

martedì 11 marzo 2014

Bora







Uno schiocco di dita, un soffio di tempo come la bora quando alza le gonne alle ragazze e i loro capelli troppo lunghi e lisci diventano lingue di fuoco trasversali, per incendiare cuori solitari di adolescenti troppo sentimentali. Senza dimenticare lo svolazzare dei cappelli di anziani seduti nelle panchine dei parchi che dormono a testa in giù, perché la terra sta iniziando ad attirarli insieme alla saliva, nel luogo dove scorre la linfa, e le radici si aggrappano per sorreggere gli alberi, sia quelli veri che quelli genealogici. Il mare in burrasca sugli scogli per schiaffeggiare la roccia, come tuo padre quando se la prendeva con la tua faccia, e la polvere delle strade che va in gola provocando la tosse e pure negli occhi per piangere salato dato che hai ancora le guance rosse.
La vita è come un sogno, gli anni passano, i giorni si assomigliano e dimentichi la musica dei periodi. Tutta l’infanzia è come il medioevo, te la scordi, come chitarre negli armadi.
- Sai suonare?
- Solo i campanelli.


domenica 9 marzo 2014

Manet


Cosa avrei dovuto pensare? ad uno spettro, ad un fantasma arrivato da chissà dove? Eppure questo lenzuolo che mi era seduto accanto, con due buchi a ridosso degli occhi, assomigliava ad una lampada accesa in una giornata di sole. Credevo di essere in quelle case antiche dove ogni oggetto viene ricoperto da un lenzuolo, coprendone le forme, per non comprendere cosa ci sia sotto, con la scusa che non ci vada sopra la polvere. Ho pensato subito, che al suo interno, ci fosse una donna nuda, col potere di scaraventarmi in un famoso dipinto di Manet, solo per quell’idea morbosa d’uomo che vuole avere tutto pronto da una donna. Certo un’immagine malsana di una società che si basa su una retorica, e perché no, sulla satira di basso livello maschilista, restando in quel pendolo tra il sentimento e il cinico gusto fisico del possesso. In realtà quando presi il lenzuolo e lo lanciai in aria, sperando apparisse un’opera d’arte, mi accorsi che non c’era niente, neanche qualcosa che potesse dare l’idea di una forma che aveva il compito di tenermi sospeso. Per mia sorpresa, scomparse anche il lenzuolo, perché non toccò mai terra e si librò in volo. Sentii la classica risata di spirito che a me non fece alcuna paura, anzi, ridetti pure io, di sana pianta, da far invidia anche ad una quercia. Quindi tutto questo per dire cosa? Niente. Se incontrerete un lenzuolo con due buchi a ridosso degli occhi seduto su una panchina… continua…

- Continua cosa?
- A vivere in leggerezza!

 

venerdì 7 marzo 2014

giovedì 6 marzo 2014

Il coniglio


Quando sentii parlare di Lui era una mattina di Marzo. Pendeva dalle labbra della talpa, una fotoreporter da quattro soldi che usciva ogni tanto dalla tana. I suoi racconti mi catturarono perché era molto brava a fornire informazioni a riguardo, molto meno nel vederli per la sua presunta cecità. Infatti come fotografa valeva poco, dato che aveva sempre immagini poco chiare: cieli storti, prati obliqui e panorami capovolti. Ricordo come fosse ieri quando mi portò tre foto di Zorro tutte nere.
- Vedi, questa è Zorro da bambino, qui Zorro il giorno del diploma e questa Zorro il giorno del suo matrimonio…
- Già…
- Sai, penso che sotto quella maschera, in fondo in fondo, si nasconda un uomo.
Sapeva bene riconoscere la gente perché a lei non piaceva fare i buchi nell’erba dato che non credeva a quelli nell’acqua.
Quando chiesi di Lui, lei mi diede un reportage perfetto.
Pegaso disse di Lui:
- Non so cosa si fuma il ragazzo.
Gulliver replicò:
- I miei viaggi a confronto sono passeggiate.
Hansel e Gretel ribadirono:
- È stato come un padre per noi.
Don Chisciotte ebbe solo queste parole:
- Chiedete a Sancho.
Ma Sancho non c’era e neanche Dulcinea.
Il mago di Oz scosse la testa.
- Mai visto niente di simile in vita mia.
E la bella addormentata nel bosco riferì gioiosamente.
- Bacia da Dio.
- È vero quello che si dice che sia precoce? – chiese ancora la talpa.
- Stronzate!
Anche Sting confermò.
Ulisse lo vide tra Scilla e Cariddi a surfare sulle onde urlando di continuo la seguente frase:
- Non sei nessuno!
Cnosso disse testuali parole:
- Non ho mai visto nessuno attraversare il mio labirinto come lui, sembrava andasse più veloce della luce.
La luce rispose:
- Era in favore di vento.
Il vento disse:
- Cazzate!
Mentre il Minotauro era ancora basito dall’accaduto:
- Non mi capacito!
E Arianna diede una versione diplomatica:
- Scusa, ma ho perso il filo del discorso.
Solo Alice lo conosceva bene. Alice che guardava i gatti e i gatti morivano nel sole, frase attribuita ad un cantautore che nessuno aveva il coraggio di contestare, a parte i gatti che nei pomeriggi d’estate quando la incontravano si esprimevano sempre così:
- Cazzo c’hai da guardare!
Dunque Alice sapeva una cosa molto importante decisamente angosciante: a lui spaventava la polenta, che era come la kriptonite per Superman. Sì, perché questo eroe aveva anche lui il suo tallone di Achille: la polenta. Un concentrato giallo, dove a volte si infiltrava qualcosa di bianco filante, dove tra l’ilarità della gente si sentiva sempre a disagio:
- Ma come ti sei conciata? – era la domanda frequente.
Comunque, il bello arrivò appena la talpa se ne andò, esattamente un minuto dopo. Lui si sedette accanto a me come si siedono i gatti, con la differenza sostanziale delle grandi orecchie che usava per prendere in giro Cappuccetto rosso, la sua spacciatrice di funghi allucinogeni, con la parodia del lupo cattivo:
- È per sentirti meglio.
Io ero leggermente turbato sapendolo lì a fianco, era la prima volta che un personaggio così rinomato fosse al mio cospetto sulla ormai famosa panchina del piccolo parco:
- Come butta! – mi chiese.
- Va a giorni…
- A seconda?
- Qualcosa del genere…
- Ascolta!
- Dimmi!
- Posso farti una domanda?
- Certo!
- Conosci De Gregori?
- Per sentito dire.
- Ma chi è Lilli Marléne?
- Credo sia un cane randagio che mangia una mela al giorno…
- Per togliere il medico di torno?
- Qualcosa del genere…
- Grazie.
- Prego!
- Si è fatto tardi, ora vado! Sancho, esci dall’albero che andiamo!
- Ma sarebbe…?
- Sì, ultimamente ce l’ho sempre in mezzo ai coglioni!
- Ma scusa?
- Dimmi!
- Ma tu chi saresti?
- Il coniglio, idiota!
- Già, e chi se no!
E lo vidi zampettare verso l’orizzonte con l’unico in grado a stargli dietro.

martedì 4 marzo 2014

Coniugare

- Tu mi odii?
- Ti sto ascoltando...
- Con due i...
- Ah! Ho un problema a coniugare.
- Hai un problema coniugale.
 

domenica 2 marzo 2014

La regina Mab


Quando si smarrisce l’amore è come perdere l’olfatto, una perenne necessità di soffiare il naso distratto.
Non senti più il tuo odore e quello degli altri è neutro. Dentro il tuo cuore un pirata rude affonda navi mercantili che scorrono nei fiumi delle vene alla ricerca delle Indie americane, territori mai esistiti ma non per questo meno fertili. La sola rotta che conosci è la tua falsa verità, armatura della tua persona sull’autenticità. Amare è una corsa distratta ad essere più intelligenti e più sensibili, conoscendo già che è quel “più” a renderci finti e prevedibili. Prima dormi e poi sei troppo sveglio di un’attenzione spasmodica per evitare un furto, se solo potessi sapere cosa volesse dire Mercuzio?
Ma la notte, svegliato dalla Regina Mab, affamato dal solito buco nello stomaco, apri il frigorifero e ci trovi solo un mandarino, un cazzo di frutto arancione, fermo lì, tra una vano e l’altro. Lo prendi e lo lanci in aria come se dovessi preparati per un servizio. Lo sbucci lentamente e piccole goccioline ti si spiaccicano in faccia e il tuo cervello calcolatore le conta. Scoppiano sui pori della pelle del viso che è ruvida come la buccia che hai appena strappato. Senti l’odore e ridi come un cretino per quel cazzo di mandarino che ti ha ridato il gusto malgrado sia ancora aspro. Stacchi gli spicchi come petali di una margherita e giochi col destino, per vedere come possa andare a finire una semplice cantilena per una donna mai conosciuta.
SOCRATE:  L’amore di chi è dunque amore?
DIOTIMA:  Di generare e partorire in seno alla bellezza.
SOCRATE:  E sia.
DIOTIMA:  È.
SOCRATE:  Ma perché di generare?
DIOTIMA:  Perché la generazione è quello che ci può essere di non generato e d’immortale in un mortale. Or l’immortalità si ama necessariamente, secondo che s’è convenuto, da poi che il bene si ama di possederlo; sempre dunque si ama necessariamente di generare; e però ne segue che l’Amore è anco Amore di generazione, ossia d’immortalità.

sabato 1 marzo 2014