E
boh! Scoprire, a un quarto d’ora dalla fine, che oggi è la giornata della
felicità. Così, all’improvviso. È che non ero preparato a cotanta magnificenza.
E adesso che faccio? Mi tocca aspettare il prossimo anno? No, perché la
felicità mica la impari a scuola o all’oratorio, sta cosa è effimera, non la
tocchi e non si può misurare in una scala di valori. La felicità è quella cosa
che dura poco, passa veloce e manco te ne accorgi. Invece il dolore o la
tristezza, quella ci stai dentro alla grande. Eh già, ma c’è chi sta peggio, e
vabbé allora ti accontenti, perché funziona così. La sofferenza è reale e
necessaria così fai esperienza, tiri fuori il meglio dalla situazione
difficile. Eh già, bisogna soffrire se no mica te la danno la vita eterna! Lascia
perdere i tuoi sogni non ci sarà mai nessuno disposto ad accettare le tue
scelte diverse dalla consuetudine, d’altronde se nasci povero non costruisci
castelli in aria. Eppure in questa stupenda giornata della felicità che sta per
chiudersi, mi viene in mente una scena di molti anni fa, quando lavoravo – sì,
perché c’ho avuto anche un lavoro, così tanto per passare il tempo – nella catena
di montaggio. Io stavo su sta portiera di una Cadillac a montare alzacristalli,
solo perché ero uno specialista nella regolazione dei vetri, ero bravo, sapete,
sapevo far chiudere bene un vetro, c’avevo il talento di farlo incastrare bene
alla gomma della capote senza che pizzicasse. Ero così bravo con i vetri da
risultare trasparente anche a me stesso. Minchia se ero bravo! Comunque, sta di
fatto, che mentre lavoravo, io cantavo. Niente, cantavo, così: quelle canzoni
lì, quelle di Battisti o Dalla, quelle che sanno tutti, quelle che si cantavano
sul pullman quando si andava in gita a scuola. Beh, c’era sto capofficina che
era sempre incazzato, non sorrideva mai, e ogni volta che attraversava la linea
di montaggio, vedeva me che cantavo, e credo gli desse fastidio. Quel giorno si
avvicinò, mentre io cantavo “il mio canto libero” – quello che inizia con “in
un mondo che…” - e mi chiese seriamente:
-
Dellea, perdoni la mia domanda – mi dava del lei – ma perché canta?
Eh
già, io lo sapevo che un giorno sarebbe arrivato a chiedermelo, dato che lì si
faceva un lavoro di merda. Mi presi una decina di secondi per riflettere. C’avevo
sto motorino ad aria in mano pensando di avere una pistola pronta a sparare. Guardai
prima la pistola e poi guardai lui, con un sorrisetto da stronzetto e gli
risposi così:
-
Per avvitare meglio la vita.
Non
so come mi uscii sta frase. Lui se ne andò senza capire nulla ed anche io, a
distanza di anni, non c’ho ancora capito un cazzo.

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