domenica 30 marzo 2014

Non è stato tempo perso


Non è stato tempo perso.
Lo scopo era quello di restare fermo, di non muovermi, di non prendere alcuna decisione. Osservare l’incidente di percorso. Ecco, osservare. Qualcosa mi diceva di stare su questa metaforica panchina a sviluppare i sensi, senza senso: una specie di montagna che si lascia nevicare addosso.
Poi, pochi giorni fa, seduto a bocca aperta sulla sedia del dentista, a farmi trapanare un dente, mi è arrivata una voce tra le cellule accese come lucciole in maggio sui campi di grano, che mormorava nella mia coscienza così:
- Finalmente sono io.
Non so cosa volesse dire e non so in realtà chi sia io veramente, ma sapevo quello che non volevo più essere: che non vuol dire niente. La verità è quella cosa che riguarda solo te e molto spesso è una cazzata immane. Quando ti trovi naufrago su un’isola deserta e ti tocca farcela, e il dente duole, e ti abbandoni tra le mani esperte di un altro a bocca aperta come un pesce che ha abboccato; quando nel momento che riesci a sopravvivere: la voglia di ricerca ti porta a ripartire, a farti chiudere il dente, a costruirti una zattera, perché ti sembra di vedere in lontananza un’altra riva di un’altra isola da conquistare. La paura subentra quando sei lì in mezzo al mare e non vedi più dietro l’isola che hai lasciato, e non vedi ancora davanti l’isola nuova. È proprio lì che capisci il senso della vita mentre ti stai letteralmente cagando addosso: il desiderio di scoperta e l’amor proprio. Nessuno ti garantisce il meglio nella tua esistenza, neanche Dio, e per fortuna lascia a te ogni libero arbitrio.
Non sono arrivato da nessuna parte ma ne è valsa la pena partire alla ricerca del desiderio individuale: il mio e non quello di qualcun altro.
Non è stato tempo perso.
Ora ho la zattera, il mare e finalmente io.
Uno diverso.


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