domenica 30 aprile 2017

Basta



Catturato da un'inspiegabile frenesia, decise di uscire dal confortevole rifugio, per addentrarsi verso spaziosi viali alberati, alla ricerca di incontri controversi, per darsi un tono nuovo ai fulmini a ciel sereno. Quando vide ciò che pensava di vedere, seduta su quella panchina colorata, decise di intraprendere quella destinazione e di provare a far emergere tutto ciò che di utile potesse esprimere. Appena tentò di pronunciare qualcosa che fosse digeribile, lei lo stoppò con un "basta!" inconfutabile. Lui la prese male ed ebbe un fremito di fastidio dai tendini di Achille fino alla fontanella: luogo dove si abbeverano le fantasie più estreme. Prese fiato e ripropose un altro tentativo di approccio, dovuto dal caso ma non troppo, provocato dalla causale insistenza a provocare qualcosa che desse seguito alla sua esistenza. Ma lei ribadì il suo "basta!" prima ancora che lui potesse esprimere qualcosa. Colto impreparato da questa tendenza di chiusura, decise di aprire uno spiraglio, buttandosi a capofitto verso la naturale intenzione di voler dire ciò per cui era venuto, ovvero, dare un senso all'incontro per il quale aveva istintivamente desiderato quando aveva varcato la soglia del confortevole rifugio. E si appellò all'unica cosa che poteva aggrapparsi, quella semplice attitudine che si nutre della verità più limpida.
- Sono qua per te.
Lei indossò i suoi fatidici occhi di pioggia, il suo viso rutilante d'estate, i suoi capelli sciolti sulle spalle, e rispose come sempre, aggiungendo qualcosa appena percettibile, ma che fosse decisamente determinante:
- Basta poco per sentirsi importante.




Stravedo


Stravedo per i miei passi umidi sui viali deserti e silenziosi, per il mio cip ciap risuonante, schizzando gocce intorno, creando nuove pozzanghere sulle quali si specchierebbero le nuvole per farsi belle prima di uscire.
Stravedo per le panchine vuote, per l'erba verde, per il buon umore, per la mia solitaria abitudine di prendere vie traverse, per le mie innumerevoli e rovinose cadute, ogni volta che ho provato a involarmi lontano con le mie ali pesanti.
Ho provato a scuotere le mie piume, ad allargarle come fanno le aquile, ma resto a terra perché so come si parte, e so stare a galla.
Stravedo per le mie pinne, sono un uccello che sa nuotare, agli altri lascio il cielo, preferisco il mio buffo cammino dondolante e incerto al planare eccessivo di chi pensa che volare sia l'unico modo di sentirsi libero.




domenica 23 aprile 2017

La fanciulla


Il brusio di un sigaro acceso si prende la scena nel frastuono della città.
Brucia incandescente a ogni tiro, di una bocca protesa a disporsi come un bacio ardente di una fanciulla che ha smesso di succhiare liquirizia.
Intorno passeggiano coppie surreali uscite dal fumo soffiato con impeto dolcemente aspirato.
Una tazzina vuota con teiera riposa sul tavolino all'aperto, sperando di rimanere a lungo in quella attesa calda di essere riempita.
Il disordine preciso coglie le prime luci della sera, le ombre entrano in gioco e si allungano lentamente fino a toccarsi, a confondersi, ad accavallarsi.
La solitaria presenza non vuole distinguersi, vuole assolutamente mischiarsi.
Il sigaro rimane in bilico sul tavolo a consumarsi.
La fanciulla non paga il servizio, scappa dietro l'angolo, felice di averla fatta franca, tra il via vai del tempo che scorre tra gli incroci e i locali disposti a concedere credito ai fuggitivi.
Qualcun altro pagherà l'innocente furto, di una bevanda lasciata in deposito assieme al bruciore di qualcosa acceso che tende a non spegnersi neanche quando il cameriere libera il tavolo.