mercoledì 22 marzo 2017

La leggenda del cane dal muso di pietra

Ero nel bosco a girovagare o a vagare in giro, e mi trovai davanti all'antica leggenda del cane dal muso di pietra. Finalmente lo avevo trovato. Avvicinai il mio viso al suo e lo abbracciai con gioia. Quanto tempo era passato.... ero felice come una pasqua, e accostai il mio orecchio vicino alla sua bocca, con tenerezza, con serenità d'animo, in attesa di una sua gentile leccata... chiusi gli occhi lentamente e lui mi sussurrò qualcosa...
credetemi, sussurrò appena, appena:
- Ehi, coglione, tirami fuori di qua!



domenica 19 marzo 2017

Terremoto

Quando è accaduto si è spento tutto: la luce, la musica, il riscaldamento.
Io stavo sotto il letto a cercare il gatto… sono stato fortunato. Aspetto.
Penso al cibo che andrà a male nel frigorifero, penso ai miei testi che nessuno ha mai letto, penso alle fotografie disposte nel cassetto. Provo a dormire rannicchiato in questo unico spazio, ma resto sveglio, perché ho paura di quello che potrebbero scoprire una volta che hanno scavato. Mi vergogno di alcune cose, che tengo custodite: in luoghi nascosti, nei fogli sparsi, dentro alle pagine dei libri, nelle scatole dei biscotti.
I miei soldi, le mie monete, i francobolli, un vecchio album delle figurine, gli appuntamenti di domani, la dichiarazione dei redditi.
Tanto non mi piaceva quel lavoro, forse è arrivato il momento di fare altro. Le decisioni migliori si prendono quando è crollato tutto.
Ecco, qualcosa si muove, mi vengono a prendere. Un’altra scossa più forte, si squarcia il pavimento, volo per alcuni metri al piano di sotto. Questa volta la botta l’ho sentita, le formiche invadono il mio corpo, il gatto mi lecca il naso. Per lui, il salto, è un gioco.
Guardo sulla mensola il pacchetto di sale grosso, che l’inquilina carina che vive qua sotto, mi ha chiesto un’ora fa suonandomi il campanello. Guardo più in là e vedo un altro pacchetto pieno. Bugiarda. Mi hai preso per il culo.
Mi fa male la testa. Butta giù la pasta. Domani facciamo i conti.
È proprio vero che in questa zona quando sorge il sole pare che tramonti. 




mercoledì 8 marzo 2017

In un pub di Dublino

In un pub di Dublino, nella zona centrale della città, una coppia di anziani siede in fondo al locale con i loro boccali di Guinness. Due coniugi uno di fianco all’altra con la bocca chiusa e le labbra sottili. Osservano l’ingresso. La gente va e viene confusa, si mischia come alfieri, torri e cavalli tra quelle piastrelle quadrate che disegnano una scacchiera imperfetta. Loro sono il re e la regina, quelli che si spostano solo quando rimangono in pochi, quando lo scacco non è ancora matto, quando un colore si impossessa dell’altro. Ogni tanto danno un sorso alla birra, un movimento curato e molto preciso. Secco. Quando deglutiscono si nota in loro una certa attenzione al gusto, un certo piacere recondito, un certo profumo di luppolo; glielo conferisce il loro movimento del collo, uno scatto veloce come quando accendi la luce. Un altro sorso e gli occhi si rimpiccioliscono, le loro guance si gonfiano nel risciacquo interno tra la schiuma e l’orzo. Tengono con fermezza il manico del boccale come il prete tiene con vigore il calice durante la cerimonia domenicale. Si puliscono la bocca, col dorso della mano, un passaggio lento in controtendenza con lo spostamento della testa, come per dire no, che non è il momento di fare il passo, in quanto una torre viaggia in verticale e un alfiere si sta spostando in diagonale, perché certa gente è così che si muove. I loro occhi s’incontrano, e mentre un pedone fa un piccolo balzo, lentamente si danno un bacio. Un bacio casto, appena accennato, un rito scaramantico, per poi tornare a fissare l’ingresso: una porta che si apre e si chiude cambiando scenario, a differenza di loro che sono come un quadro appeso al muro. L’uomo anziano aspetta che la moglie finisca la birra, si alza e va a pagare alla cassa. Torna da lei e le porge il braccio. Lei si aggrappa con fatica e si fa trasportare a piccoli passi verso l’uscita. Il re che protegge la regina, una cosa mai vista sulla scacchiera, ma quella è imperfetta, quindi, si gioca al contrario. L’alfiere e la torre litigano furiosamente, il pedone sta in mezzo. Lo scacco è matto sulla soglia dell’ingresso. Il re e la regina escono, un gradino, e inizia un altro gioco, molto più pericoloso.
- Tesoro, stasera la birra era veramente buona.
- Tu dici?
- Me l’han detto i tuoi baci.
- Sei ubriaca.
- Me lo dici ogni sera.


sabato 4 marzo 2017

3/3/33

Mio padre è nato il 3/3/33. Niente di malefico, sono i numeri del povero diavolo. Oggi compie 84 anni (48 per la questura). A due anni perse sua madre. Morì di tubercolosi. Non la conobbe. Non ha una foto. Non sa che viso avesse. Non sa niente di niente, non conosce neanche il suo odore. Fece il boscaiolo con il cuore. Amava gli alberi e ci parlava, raccoglieva i funghi e cacciava la selvaggina. È nato in provincia di Varese, in Valtravaglia, in un paese chiamato Bosco. Non c...’era posto più adatto. Lui trova i funghi, io li pesto. Mi ricordo da bambino che lui mi faceva col dito di stare zitto e di stare fermo. Io stavo in mezzo a una decina di porcini che lui raccoglieva intorno, e me li faceva annusare come si annusa al mattino il buongiorno. Io non li ho mai visti, lui li ha sempre ascoltati. Quando andò a militare si innamorò di mia madre. A Torino in via Cernaia. Lei si affacciava dal balcone e lui le parlava: William aveva già capito tutto mezzo secolo prima. Il suo superiore, un capitano, gli propose di lavorare nelle ferrovie. Erano gli anni cinquanta, era un posto statale. Lui rifiutò, perché non voleva stare lontano dal suo ambiente vitale. La vita era dura e quindi si trasferirono in Canavese, perché l’Olivetti garantiva una vita migliore. Stettero in una catapecchia a Vidracco in Valchiusella. Il bosco c’era, stava dietro alla casa, e c’era anche una vigna. Era felice, malgrado la miseria. Si faceva il bagno nella vasca di plastica e si cagava nell’orto nella latrina agricola. La nostra merda era concime per la verdura. Era così buona che veniva sempre voglia di cagarla. Poi, un giorno, si decise di andare in una casa più grande, più igienica. Il tempo passò e mio padre si ammalò, ambarabaciccicocco. Tanti traslochi ci furono e il bosco era lontano. Un giorno, un dottore, ci disse che non c’era più nulla da fare, e lui si salvò, ambarabaciccicocco. Non ve lo sto a spiegare, non mi va di creare facili illusioni, qui non ci sono magie o giochi di prestigio, e per non essere banale, ma essere ligio, se la mia intuizione non mi inganna: il bosco, per mio padre, era la sua mamma.