lunedì 29 dicembre 2014

Guerra e pace

Guerra e pace si trovarono a bere vodka in un famoso locale di Tula.
- Che fai stasera? - chiese pace.
- Niente, non esercito più. - rispose guerra.

Capodanno


Mancava poco alla mezzanotte. Quella mezzanotte. Quella che viene solo una volta all’anno.
Lei era seduta con scarpette color blu notte e un vestito lungo pieno di stelle. Aveva una mezzaluna tra i capelli e lo sguardo rivolto alle mani appoggiate sulle gambe. L’avevo osservata per una mezzora e non aveva mai alzato la testa. La musica era lenta in quel luogo di grandi finestre e di alti soffitti. I lampadari ritti, assomigliavano a gocce d’acqua appese come lacrime ferme sulle gote. C’erano dipinti di cacciagione, e le sedie, imbottite con schienali in legno di querce, stavano in cerchio, come si stava da bambini quando ci si teneva per mano, e girava il mondo, e girava la terra, e tutti giù per terra. Al centro, innumerevoli coppie di ballerini danzavano strani passi, con rotazioni armoniose, e i piedi, come serpenti, strusciavano polpacci. Andai verso di lei come quando si cammina sui ghiacci e le scivolai dinnanzi sfiorandole i ginocchi.
- Balliamo?
Cambiò la posizione del suo sguardo, passò dalle sue mani ai miei occhi, e si toccò le labbra. Era in fase di studio, come un matematico davanti a un teorema senza le ipotesi.
- Sono un po’ rigida.
- Guido io.
- Bene. Non ho la patente…
La sua ironia mi fece scappare un sorriso che spalancò una finestra all’improvviso. Spostò le tende e l’attenzione. Un inserviente si affrettò a chiuderla, dato che il vento impetuoso aveva tutta l’intenzione di far piangere il lampadario. Le presi la mano e l’accompagnai dolcemente verso il vortice umano, fatto di incastri di gambe e di trottole. Stemmo molto vicini con le labbra e con le guance. Sembravamo due frutti: io la pesca e lei l’albicocca. Io respiravo dal naso mentre lei lo faceva con la bocca. Ebbi un piacere eccessivo tra le gambe mentre lei lo provava dietro le orecchie. Saltarono i nostri piedi insieme ai tappi di spumante.
- Giro.
- Gira.
E girammo.
- Casco.
- Casca.
E cascammo.
Così facemmo un danno al capo perché perdemmo la testa.


http://youtu.be/tX6H3RFpFnk

mercoledì 24 dicembre 2014

Lettera a Babbo Natale


- Niente, vado a casa.
- A quest’ora?
- Vado a scrivere la lettera a Babbo Natale.
- Ma sei un adulto!
Caro Babbo Natale, e perché no, Gesù bambino, così, per non far torto a nessuno. Dovrei avere richieste da fare come la lista della spesa, ma non mi sorge nulla di importante da chiedere, nel senso che non vorrei togliere a qualcun altro il trenino elettrico o il trattore di plastica. Certo, sto scherzando, ma anche chiedere quelle cose che si chiedono sempre per vivere meglio, lasciano il tempo che trovano. Non voglio dire che avere gioie e successi non siano utili a stare meglio e a migliorare se stessi, ma anche vero che queste cose le ottieni con un po’ di disciplina e con la curiosità di sorprenderti ogni volta che vieni a conoscere qualcosa. Comunque, tre cose ti chiedo velocemente: primo salva la poesia, secondo ripudiamo la guerra e terzo, beh quello è più personale, una sorta di culto, fa che io sia il più possibile uomo ma mai adulto.


http://youtu.be/Rdrmrz4VbHE

martedì 23 dicembre 2014

Moneta

- Sono sempre al punto di partenza.
Mi disse così, semplicemente. Aveva gli occhi sulla tazzina di caffè e il cucchiaino in bocca.
- L’amore ti cambia la faccia, capisci?
Si sentiva come la moneta che si lancia in aria aspettando la scelta.
- L’amore è sputtanarsi.
Non la smetteva più con queste frasi da colazione. Mi raccontò che voleva una casa piena di specchi e di grandi vetrate. Voleva il sole sulle piastrelle per camminarci sopra scalza. Poi, la radio del bar fece uscire una musica bella e una voce graffiante, e stemmo in silenzio a farci grattare le orecchie. Lei si specchiò nel cucchiaino come Biancaneve, mentre io pensavo ad altre favole.
- Si è fatto tardi.
Si alzò dal trono, mi diede una carezza e uscì dalla porta. Io pagai il prezzo, e feci per andarmene.
- Mi scusi, il resto! – mi disse il barista.
Presi la moneta e la lanciai in aria. Quando cadde sulla mia mano pensai alla mia faccia.
Testa “Glielo dico”. Croce “Non glielo dico”.
Quando aprii la mano vidi che era croce, io che ho sempre preferito testa.
- Allora? – chiese il barista.
- Croce!
- Ho sempre preferito testa.
- Già...
- Quindi?
- Glielo dico lo stesso…


Incipit omaggio a Joe Cocker
http://youtu.be/xsOSt3hNRY0

venerdì 19 dicembre 2014

Chiara

Salutò l’autunno con una foto. A Chiara piace come si dispongono le foglie in quella stagione. Le sembrano ballerine stravaccate dopo molte rotazioni nell’aria. L’autunno è così, come arriva se ne va, in punta dei piedi. E Chiara lo sapeva bene. Il suo obbiettivo è sempre pronto all’abbandono naturale del suo sguardo. Sa scrutare bene quel disordine, anzi, a volte si sente attratta da tutto quello che si dispone in modo casuale. Sarà la vita che glielo impone, lei che ha sempre pensato, in fin dei conti, che il caso vuole la sua parte.
Non si sedette per non disturbarle, ma si accorse di una che stava in bilico, e pensò che la sua vita non fosse tanto diversa da quella foglia. La chiamano natura morta, ma niente di più vivo trovò in quella necessità di stare appesa. Si allontanò camminando sulle foglie e si sentì sollevata come su di un tappeto volante. Il vento freddo le prese la faccia e le spostò i capelli, e lei glielo permise. Guardò il mondo dall’alto e fece un lungo sospiro. Scattò altre foto di panorami per cartoline da spedire, poi tornò a casa come tornano gli animali domestici. Aprì la porta e si accorse di una foglia tra i capelli. La tolse con cura e la tenne tra le mani.
- Perché mi hai seguita?
- Perché sono caduta.
Era la prima volta nella sua vita che le cadeva addosso qualcosa senza farle nulla.
 

http://youtu.be/pfEcGZ4D5Y4

giovedì 18 dicembre 2014

Regali di Natale

È un treno la sua mente, viaggia senza fermate tra stazioni in costruzione.
Ha corrotto i suoi sogni con l’abitudine: il quieto vivere. Segue il flusso della gente come presepi usciti dalle fogne. La via è colma, e i pacchetti sono stati confezionati bene. Migliaia di fiocchi passano orizzontali, e non è la neve.
“Presto! Dai che Natale è alle porte”, si sente per le strade.
- Vado alle Mauritius. Natale mi mette tristezza. Ecco questo è per te?
- Che cos’è?
- Un pensiero.
- Natale con i tuoi…
- E Pasqua?
- Già, Pasqua…
Lo apre e ci trova un cavatappi di un certo livello.
- E il pensiero dov’è?
Gli dà una bottiglia di vino.
Così va meglio!
- Allora parti?
- Sì, la vigilia.
- Quando torni?
- La befana!
Periodo classico.
Bevono in silenzio e ci mettono il naso dentro.
- Anche io ho qualcosa per te!
- Dai, cosa?
- Un pensiero.
Tenta di aprirlo ma il fiocco s’intreccia.
Il nodo si stringe.
Non vuole rompere la carta.
Per cortesia.
- Hai le forbici?
Si sente nervosa.
Lui le cerca ma non le trova.
Lei decide di strappare la carta in mille pezzi.
È una scatola vuota.
Non sa se offendersi.
- Quindi io sarei vuota?
Lui la guarda.
Fa un’espressione delle sue… quelle con le rughe.
- Era la carta il regalo.
- Come sarebbe a dire?
- All’interno avevo scritto una storia.
Si accorge delle parole che ha fatto a pezzi.
- Non sono brava con i puzzle.
Trova alcune parole più grandi, e le unisce.
Scova il titolo.
SE VUOI CI METTO IL MIO CUORE
È un treno la sua mente, viaggia senza fermate tra stazioni in costruzione.


martedì 16 dicembre 2014

Volevo scrivere una storia d’amore


Volevo scrivere una storia d’amore senza essere banale, cercando di far emozionare.
Volevo scrivere una storia d’amore perché sono le storie che vanno per la maggiore.
Perché le storie d’amore piacciono alla gente, se le sai raccontare.
Bisogna colpire al cuore, ricucire ferite, far pensare.
Ma una storia d’amore mica si chiede cosa sia normale. Sta mica lì a guardare il pelo nell’uovo o la trave nell’occhio o una barca nel mare.
Una storia d’amore avviene.
Magari uno stava a scioperare e l’altra stava a lavorare. Magari sono pure dello stesso sesso, ma si può fare? Magari sono di diversa religione, maddai, che stai a dire! Oppure lei stava per partire mentre lui stava per arrivare. Alla stazione, all’aeroporto o all’imbrunire.
Una storia d’amore non si chiede se hai fatto la prostituta, se stai in una comunità di recupero, sei hai perso il lavoro, se hai una casa in affitto, sei vai a Fatima, se hai fatto l’astronauta, se chiedi l’elemosina.
Una storia d’amore ti collega con un collega con la colla, o ti sbatte con una spinta sulle labbra di una bocca spenta. E l’accendi con la lingua e prendi la scossa: nelle vene, nei muscoli, nelle ossa.
E niente, volevo scrivere una storia d’amore, ma non so bene da dove cominciare. Qui c’è tanta carne al fuoco e il vino sul davanzale.
Comunque, volevo scrivere una storia d’amore, tanto per fare la rima, per dire una poesia o raccontare una storia, ma non mi viene nulla. Adesso provo a pensare, così qualcosa viene.
Allora, volevo scrivere una storia d’amore… già, ma quale?
Dove siamo rimasti?
Quindi, ci sono due che s’incontrano…
- Ciao.
- Ciao.
- Volevo iniziare una storia d’amore con te!
- Stai scherzando?
Volevo scrivere una storia d’amore per essere letta, e ho scritto una barzelletta.

domenica 14 dicembre 2014

Emozione e Sensazione

Emozione e Sensazione un giorno s’incontrarono. Era una domenica sera. Se ne stavano lì a guardarsi senza dire una parola. Avevano la necessità di capirsi, soprattutto, comprendere se tra loro ci fosse qualche differenza. Non erano mai state così vicine a scrutarsi, sembravano estranee, con la voglia di presentarsi.
- Piacere, sono Sensazione.
- Il piacere è tutto mio, sono Emozione.
Chissà perché Emozione aveva usato un po’ del suo ego nel dichiararsi. Sensazione chiuse gli occhi, Emozione li tenne spalancati. Sensazione aveva un respiro lento e regolare, Emozione lo aveva più circolare. Entrambe erano in contatto col cuore e con alcuni punti del cervello, non si sa bene dove. C’era così tanta materia che non bastava una Vita per studiarla.
- Io vengo prima di te, sai? – rivelò Sensazione aprendo gli occhi.
- Può essere! – profuse Emozione che mai li chiuse.
- Se venissi prima tu mi offuscheresti.
- Sì, ma tu senza di me non ci saresti.
Era un dialogo assurdo e per certi versi inutile. Erano solo un vortice di energia che si mescolava con la Logica. Infatti, lei arrivò.
- State coi piedi per terra!
Chissà perché la Logica aveva questo grande potere di trasformare ogni cosa e di renderla banale.
Ci mancava solo che arrivasse l’Amore per creare un bel minestrone. Infatti, arrivò anche lei che spazzò via tutto e si prese il potere.
- Ovunque voi siate, io sono l’unica che sposta le cose.
Emozione prese a vibrare, Logica si sentì ubriacata e Sensazione non stava più nella pelle.
E il Male? E il Dolore? E la Sofferenza?
Arrivarono anche loro come nuvole nere in una giornata di sole.
Tutta sta roba invisibile si mischiò, e non si fece mai vedere.
- Ma dov’è tutta sta gente qua? – si chiese il cervello fulminato tra le scosse elettriche.
- Boh… boh… boh… boh… - rispose, con la sua consueta abitudine, il cuore che beveva dell’ottima adrenalina invecchiata nel solito locale.
A quel punto la Vita decise di alzarsi, fece il suo rumore di richiamo onomatopeico e diede da mangiare a tutti quanti come si danno le briciole alle galline che beccano nel pollaio quando hanno fame.
- E la Morte? – chiese una gallina non si sa quale.
La Vita si girò e le diede un calcio nel sedere.
- Pensa a mangiare, idiota!
 


http://youtu.be/fJv4d2HK-eg

venerdì 12 dicembre 2014

No woman no cry


Te ne stavi lì, sotto un cartello in divieto di sosta, e neanche un vigile che ti desse una multa. Avevi la borsa della spesa piena di patate in un incrocio anonimo dove passano solo ambulanze. Nessuna rimozione forzata, solo permanente continua, tu che ti lavi sempre i capelli da sola. Pensavi a cosa mangiare per cena, e sorridevi alla cipolla che ti fa piangere ogni volta che le levi la camicia. Pioveva e ti sei nascosta, mentre gente correva per non inzupparsi la testa. Chissà dove cazzo volevi andare? Sei entrata in un bar e hai bevuto qualcosa di caldo, forse un te, nel vero senso della parola. Hai rubato delle bustine di zucchero di canna e hai pagato con una moneta. Quando sei uscita ti sei trovata indecisa. Non sapevi se seguire il flusso o andare controcorrente. Hai deciso di attraversare la strada. Un’ambulanza ti ha quasi investita e ha colpito la tua borsa della spesa mandando patate in giro per l’asfalto in discesa. Sei rimasta immobile dallo spavento e non ti sei più mossa. Pioveva forte e migliaia di sirene si misero a suonare l’urgenza.
- Tutto bene? – e ti ho dato la scossa.
- Eh?
Ti sei girata verso di me. Ti ho accompagnato verso il marciapiede e ti ho fatto sedere su una panchina. Sono andato a raccogliere le patate in strada e mi sono accorto che erano tutte schiacciate insieme al latte versato da due confezioni rotte. Sono tornato da te senza nulla in mano con in braccio la notte.
- Mi spiace.
- Volevo fare la purea.
- C’è mancato poco.
- Già!
E ti sei messa a piangere.
- Non piangere sul latte versato...
- No, io piango per le cipolle…
- Succede anche a me…
E ci siamo messi a ridere… e ci siamo raccontati un sacco di balle.


http://youtu.be/Y0jirlfhyz4

lunedì 8 dicembre 2014

Fare thee well


Quel giorno si alzò dalla panchina perché era il momento di farlo. Si aggiustò il cappotto, si strinse bene la sciarpa e si mise il cappello. Prese a camminare con un passo lento e con le mani in tasca. A quell’ora la gente dormiva, non c’era anima viva. Anche le strade se ne stavano in silenzio. L’unico rumore erano i suoi passi sulla ghiaia.
- Chissà… - pensò.
Si accorse che dietro c’erano tre tizi che camminavano con lui. Non si girò perché sapeva bene chi fossero e non volle spaventarli, dato che ogni volta che si girava, loro avevano la premura di scomparire. Erano fatti così, e lui rispettava quella scelta.
- Dove stai andando? – disse uno di loro.
- In giro!
- Non fare lo stronzo… - disse un altro.
Il venditore di incipit si accese una sigaretta.
- Ne volete una? – chiese.
- Non fumiamo!
- Già…
Il fumo prese la direzione del cielo mentre lui soffiava dal naso.
- Allora…
- Allora cosa?
- Che stai facendo?
- Una lunga passeggiata.
- Torni?
- Dipende.
- Da cosa?
- Dalla bella incantatrice.
- E chi sarebbe?
- Voi non potete capire.
Spense la sigaretta a terra e si diresse nella direzione giusta.


http://youtu.be/W4GyKTRduhs

venerdì 5 dicembre 2014

I tempi comici


Nel periodo tra l’infanzia e l’adolescenza non facevo altro che raccontare barzellette. Ne conoscevo a bizzeffe e a quanto pare sapevo raccontarle. Avevo, come si dice in gergo, i tempi comici. Stavo su frequenze libere e spensierate. Poi, un giorno diventai adulto. Non ricordo che giorno fosse, forse un lunedì, sì, perché i lunedì sono come il giorno dopo capodanno, quando la festa è finita e le trombette non suonano più. Da quel giorno smisi. Forse perché me le ero dimenticate in qualche cassetto della memoria che era affondato verso abissi profondi come un tesoro che affonda nel mare insieme alla nave.
- Hai figli?
- No!
- Perché?
- Forse ho avuto un po’ di paura.
- Paura di cosa?
- Dei tempi comici.

sabato 29 novembre 2014

Schifo

- Mi fa tutto schifo! Basta! Che mi consigli di fare?
- Lascia tutto, e vai all'altro capo del mondo, ADESSO!
- ADESSO?
- Sì, vai!
- E per quanto tempo?
- Il tempo necessario per farti schifo anche quel posto.
 


venerdì 28 novembre 2014

giovedì 27 novembre 2014

Humphrey Bogart


Entrai alla posta per spedire un pacco. Presi il numero e mi sedetti. C’era un sacco di gente e solo due sportelli. Un’anziana donna chiedeva ogni sorta di informazione e tutti sbuffavano come in preda a una imminente crisi epilettica collettiva. Un uomo con un cappello da cow boy e i pantaloni di pelle entrò in quell’istante. Sembrava appena sceso da cavallo. Prese anche lui il numero come se si fosse preso la Colt dalla fondina. Per un attimo pensai di non essere lì, ma in un post office del Connecticut. Mi voltai e vidi due ragazze sui quaranta discorrere. Mi misi ad ascoltare come un curioso scoiattolo.
- È troppo timido e impacciato…
- È stata la prima uscita!
- Sì, ma io voglio un uomo deciso, sicuro di sé.
- Cioè?
- Uno come Humphrey Bogart in “Casablanca”, hai presente?
- Senti…
- Dimmi…
- Quelli come Humphrey Bogart durano quanto la sigaretta di Humphrey Bogart.
Sul display uscì il mio numero e andai a spedire il pacco.

http://youtu.be/1vrEljMfXYo
 

martedì 25 novembre 2014

Anton Cechov


C’era una quiete nel suo corpo. Il suo viso cambiò forma come cambiano le nuvole nel cielo. Un suono di flauto usciva dalle casse del suo stereo, mentre i gatti si azzuffavano e i vicini urlavano le solite parole. In quel contesto, lui era immobile, in piedi e bendato. Faceva andare il corpo avanti e indietro e poi di lato. Voleva cogliere i suoi limiti e seminarli nella mente profonda come ancore per navi mercantili che tornano dall’America. Si tolse la benda e andò sul balcone a fumare. Le lenzuola erano stese anche se mancava il sole. Tornò dentro e tentò di aprire porte chiuse. Con una spingeva con l’altra tirava: la maniglia era sempre la stessa. Stava giocando con la cabala senza avere una chiave di lettura. Si diresse in bagno e si mise a pisciare. Aveva aperto il suo rubinetto tramite quella necessità fisiologica di liberarsi di acqua superflua, arrivata da ghiacciai lontani che scorre fino ad appoggiarsi sulla diga del suo organo sessuale. Tirò lo sciacquone e si guardò allo specchio. La faccia che aveva andava bene per la giornata in corso. Tornò al punto di partenza e disse ad alta voce che ci vuole disciplina. Certo, ogni tanto bisogna uscire giusto per sforare, ma sentire dentro quel dolore allo stomaco o quella tensione addominale è utile alla causa per comprendere meglio dove si depositi l’energia. Continuava a dire “grazie” nel silenzio della sua anima, per rendere giustizia a quel demone che lo sfida ogni volta che lui tenta un’avventura. Grazie e grazie ancora senza di te non potrei evolvere, disse ancora. Poi si ricordò di un passaggio del “Gabbiano” di Anton Cechov e se lo fece suo per essere autentico. “Ognuno scrive come vuole e come può. Ognuno scrive come vuole e come può. Lasciatemi in pace”. In quelle parole l’energia si dipanò in tutto il corpo, e come un gabbiano, si ritrovò a volare controvento.

http://youtu.be/1YIuE-j7haE

Nancy


- Dai, Nancy, andiamo a New York…
- Ma che ci andiamo a fare?
- Lì è tutto possibile, diamine!
Lei spense la sigaretta sull’unico posacenere. Il rossetto stava sul filtro bianco come a giugno le fragole.
- Non posso!
Prese la sua roba e uscì dall’unica porta. Non la vidi mai più, la ricordo ancora adesso.
Presi la sacca, una matita, un temperino e un quaderno a quadretti. Il volo era alle otto. L’aeroporto sapeva di caffè e la gente era seduta verso la vetrata che dava sulla pista di atterraggio. A vederli dall’alto sembravano tetti in costruzione senza tegole, a vederli dall’alto sembravano angeli senza aureole.
- È in partenza il volo per New York, pregasi i viaggiatori di immettersi nella zona di accesso.
Era una voce di donna simile a quella di Nancy. Forse era lei che mi faceva uno scherzo. Feci vedere il biglietto alla hostess e presi posto. Il decollo mi tolse il fiato. La terra sottostante non era più mia solo il cielo mi apparteneva. Mi misi a disegnare degli occhi e un collo, poi venne la bocca e mi fermai all’istante.
- Vuole un caffè? – chiese la hostess.
- Sì, grazie!
- Cosa disegna?
- Una faccia.
- La lascio finire…
- Credo che mi basti!
- E il resto?
Ci guardammo veloce con gli occhi riflessi.
- Come si chiama?
- Nancy!

 
 

In capo al mondo


Ci sono cose che vanno così. Vedere tra le nuvole spaccati della propria vita in una mattina serenamente grigia. Una veggente ti chiama e vuole andarsene via mentre uno strumento a fiato suona meglio del tuo postino quando pigia il campanello. C’è posta per te! Una raccomandata, ti raccomanda. Basterebbe un veicolo che trasporti conversazioni tra un uomo e una donna che hanno solo deciso di incontrarsi e di non lasciarsi, o meglio, di lasciarsi andare. La strada è spianata all’orizzonte, rimani sulla destra e accosti.
- Salta su ho qualcosa da dirti.
- Cosa?
- Ora mi metto in moto, tu goditi il paesaggio.
Metti la prima e poi la seconda e tutte le marce che hai a disposizione. Il vento schiaffeggia la tua faccia e lei sta con i capelli sciolti a indicare un passato inutile e dannoso.
- Vado troppo forte? – le chiedi.
- Non rallentare, ho bisogno di aria fresca e di riposo.
Il motore romba. Le sorridi. E lei distratta, non fa altro che distribuire intorno i suoi capelli.
- Dove mi porti?
- In capo al mondo.
- È un bel posto?
- Non lo so…
- Allora accelera, vorrei vederlo.


http://youtu.be/ju02Q2dfYDw

venerdì 21 novembre 2014

Il solito

Sono sempre attratto dall'insolito, ma poi, come spesso succede, quando ti chiedono cosa prendi, tu rispondi sempre, il solito!
- Cosa prendi?
- Oggi niente!
- Non fare complimenti!
- Ok. Vorrei assaggiare l'acqua fresca che sgorga in Alaska....
- Questo non mi è possibile...
- Come al solito...
 

mercoledì 19 novembre 2014

Inferno e Paradiso

Un giorno, non si sa quale, delle anime dell’Inferno decisero di andare in Paradiso. Chiesero a un Ammiraglio di un peschereccio di portarli. E lui non fece una piega. Chiese però un libbra di carne del loro corpo, che naturalmente diedero, dato che erano anime in pena. Quando arrivarono sulla riva del Paradiso trovarono gente bianca che li esortò a ritornare all’Inferno. Le anime non compresero il motivo e chiesero con cortesia:
- Perché non ci volete far entrare?
- Non c’è ...più posto, e poi siete bruciacchiati. Ma non vedete in che stato siete?
- Ma noi volevamo dare un’occhiata…
- Credeteci. Tornate da dove siete venuti. Vi aiuteremo là, a casa vostra.
Quindi tornarono e attesero qualche mese.
Non videro dei risultati tangibili e andarono ancora dall’Ammiraglio, che nel frattempo era diventato Generale Grand’Ammiraglio di Vascello, e diedero un’altra libbra di carne, per andare in Paradiso a domandare alla gente bianca come mai non fossero stati aiutati in tutti questi mesi. Quando sbarcarono sulla riva trovarono di nuovo tutta ‘sta gente col colore della purezza che li esortava a ritornare al loro paese.
- Ma cosa volete? Vi abbiamo costruito un ospedale da campo e un pozzo d’acqua con la nostra raccolta punti dei supermercati e con gli sms. Non vi sembra che abbiamo già dato?
- Certo, grazie! – risposero le anime in pena – ma siamo curiosi di conoscere il vostro mondo.
- Avete un lavoro? Avete un permesso di soggiorno?
- No!
- Allora, fate richiesta e tornate all’Inferno.
Quindi tornarono e attesero qualche mese, dopo aver fatto esplicita richiesta a Lucifero.
Un giorno arrivarono i Rolling Stones all’Inferno a fare un concerto. Erano una banda di fuori di testa che stavano sempre un po’ sopra le righe. Spiegarono come usare il fuoco, come accenderlo bene e come alimentarlo, distribuendo la passione per la vita. ( E anche un po’ di erba presa in Paradiso)
Ci fu una grande festa, le anime si misero a ballare e scoprirono che in fin dei conti all’Inferno si stava da Dio.
- Al diavolo, il Paradiso! – dissero in coro.
Ancora oggi in Paradiso, ‘sta gente bianca quando si riunisce nelle loro grandi sale di moquette, si chiede con curiosità che cosa sia effettivamente il calore.


http://youtu.be/ZRXGsPBUV5g

martedì 18 novembre 2014

Il muro

C’era un cartello con su scritto:”Potete, per favore, spostare il muro?”. Era proprio lì, spiaccicato al muro. Un tizio lo lesse, e cominciò a spingere più che poteva con le braccia e con le gambe.
Arrivò un altro tizio che disse:
- Dovremmo trovare il baricentro.
Fece una ricerca accurata col palmo delle mani, ed esclamò:
- Qui!...
E spinsero come dei forsennati.
Poi arrivò una donna e spinse di schiena mentre un altro spingeva di spalla. Si unì un po’ di gente, e c’era uno che spingeva pure con i piedi. Un’altra ragazza lo fece con la testa. Era un delirio; ci saranno state una cinquantina di persone che spingevano come matti. Una tizia appoggiò l’orecchio contro al muro e azzardò:
- Ssss, vuoi vedere che d’altra parte ci sono altri tizi che spingono verso di noi!
Passarono tre secondi di silenzio.
- Ma vaffanculo – dissero all’unisono dandosi tutti dei cinque e ridendo a crepapelle.
Arrivò mezzogiorno, e il tizio che giunse per primo al muro, disse:
- Pausa!
Andarono tutti al ristorante. Mangiarono e bevvero di gusto. Si misero pure a cantare e a festeggiare. C’era armonia in quel locale. Il proprietario non ricordava tanta felicità dai tempi andati. Si facevano i complimenti a vicenda:
- Comunque tu spingi da dio!
- Non dire sciocchezze, come spingi te non ho mai visto nessuno.
- Lasciate perdere, quella ragazza aveva una spinta non di poco conto – indicandola con l’indice.
- Ma non è vero, mi fate arrossire – rispose lei con assoluta modestia.
- Qualcuno ha capito dove fosse il baricentro? – disse quello che sembrava preciso.
Nessuno rispose.
Quindi, il tizio di prima esortò tutti a tornare al muro.
- Torniamo al nostro lavoro!
- Siediti! – disse uno giù in fondo.
E lui obbedì.
- Ma sì, fanculo il muro!
Quel giorno alcuni si innamorarono, altri diventarono amici, altri ancora si abbracciarono.
Niente, il muro rimase dov’era e nessuno lo spostò. Ma si racconta in alcune leggende metropolitane, che il giorno dopo, in quel ristorante, arrivarono da tutto il mondo tizi e tizie a fare una pausa dopo aver spinto.
- Ci sono muri e muri! – disse una sera il telegiornale.
 


Fringuella

Si avvicinò e tentò di baciarla.
- Vorresti baciarmi così su due piedi?
Lui prese a svolazzarle intorno.
- Così?
- Molto meglio! - e volò via bella bella...
- Ehi, quando ci becchiamo fringuella?
 


Aria

- Cos'è cambiato?
- L'aria!
- Cosa?
- Aria, ragazzo, aria.

sabato 15 novembre 2014

La mattina e il mattino


La mattina e il mattino si svegliarono come per abitudine all’alba. La luce filtrava tra le persiane e il caffè aleggiava nell’aria. Avevano riposato profondamente abbracciati come due dolci amanti.
La mattina nuda si alzò, spostò la tenda e diede uno sguardo fuori.
- Com’è il cielo? – chiese il mattino ancora con gli occhi piccoli.
- Plumbeo! – rispose la mattina stirandosi.
- Cioè?
- Fosco.
Al mattino si spalancarono gli occhi.
- Fosco come?
- Caliginoso.
Il mattino si grattò la testa e si mise le mani in faccia, poi con gentilezza domandò:
- Da quant’è che stiamo insieme?
- Una miliardata d’anni.
- Cioè… dai tempi del big bang?
- Più o meno…
- Non ricordo di averti mai sentita così…
- Così forbita?
- Vieni qui…
Il mattino la prese tra le braccia e la baciò. Quando le loro labbra si staccarono, il mattino azzardò:
- C’è qualcosa di misterioso in te?
- Cosa?
- Non lo so. Se te lo sapessi non sarebbe più misterioso.
- Sei sempre sibillino, caro! – disse la mattina entrando in bagno.
Il mattino si lasciò andare disteso nel letto e commentò tra sé e sé il dialogo appena terminato.
- - Mah! Ci sarà quel cazzo di sole fuori adesso?

domenica 9 novembre 2014

Ho scritto una canzone senza musica

Ho scritto una canzone senza musica perché la musica non la so fare
Ho scritto una canzone senza musica dato che da ragazzo sapevo strimpellare
Ho scritto una canzone senza musica perché ti ho vista piangere
Volevo trovare le parole adatte per farti sorridere
Ho scritto una canzone senza musica così la potrai cantare
Come ti pare
Ho provato ad assemblare le parole come una catena per giungere al tuo cuore
Ho provato a prendere tutti i treni alla stazione
Ho provato giorno e notte pur di alleviare il tuo dolore
Ho solo scritto una canzone senza musica
Perché non sapevo cosa fare
Mentre batto questi tasti cercando frasi a effetto
Ho scoperto che le lettere non sanno niente
Ho scoperto che le lettere non conoscono le parole
Loro sono sole
Se non ci fossi io qui a unirle non direbbero niente
Ma ricordati che io sono qua seduto
Hai passato un brutto periodo
Una bicicletta senza ruote incatenata a un palo
Lo so ci sono passato
E per questo che scrivo questa canzone
Le parole non mancano
Mancano le virgole
Ho scritto una canzone senza musica
Senza corde
Senza fiato
Ora vado a capo

venerdì 7 novembre 2014

New York


Non ci sono mai stato. Non lo so. Forse un giorno ci andrò. Non lo so. Ci stanno le anatre, le pozzanghere, quelle cose altissime. C’è un sacco di gente. C’è un parco. È verde. Gente sui marciapiedi. Sembrano tante formiche. C’è anche un ponte. L’ho masticato da bambino. Aveva molti gusti. C’era il bianco, il verde e il rosso. A me piaceva il rosso perché sapeva di rosso. Non lo so. Non ci sono mai stato. Ci saranno un milione di panchine. Ma che dico. Un miliardo. Starei lì sdraiato a guardare il cielo. Ha guardare quelle braccia tese, quelle braccia di cemento. Piene di finestre accese, piene di sbattimento. Starei lì, la notte. Non lo so. Una luce nuova. Lì è tutto nuovo. Anche se il tempo scorre. Quanta roba c’è. C’è gente che me l’ha raccontato. Ma io. Io. Non ci sono mai andato.
- Vado a dormire.
- Ciao.
- Domani?
- Domani cosa?
- Non so, domani!
- Domani parto!
- E dove vai!
- Ma che cazzo ne so. Non ci sono mai stato!

http://youtu.be/GxAnLJwsxII

Pigiama

Verso la fine degli anni novanta o giù di lì, ero drammaticamente fortunato con le ragazze. Mi spiego. Venivo sistematicamente lasciato ma trovavo subito un’altra ragazza in poco tempo. Un po’ quella storia del “chiodo scaccia chiodo”. Non facevo in tempo a disperarmi che ero già su di giri per una nuova storia. Era il periodo del primo cellulare che era enorme come un’autoradio: come quello col manico che ci portavamo appresso alle feste del paese per non farcelo rubare. Quindi, eravamo passati dal periodo “dei mentecatti tutti col Pioneer ultima generazione con l’equalizzatore”, al periodo “che cazzo mi frega se mi rubano l’autoradio tanto c’ho il cellulare e posso chiamare la polizia in tempo reale”. Faccio una digressione: ricordo con affetto che tutti compravamo il cellulare dicendo che lo facevamo per comodità: “metti che ti si ferma la macchina!!” Era la scusa più ricorrente, oppure: “se qualcuno stesse male…” (certo, chiama te invece che un’ambulanza). Sta di fatto che avevo notato che le conversazioni, tramite questo aggeggio, fossero di gran lunga più sincere che col telefono di casa. Non chiedetemi il perché, ma il telefono di casa era più diplomatico e meno diretto, forse perché rispondeva sempre prima tua madre. Infatti, fui mollato da una tipa che mi disse testuali parole al cellulare:
- Ti ho tradito con tizio! (Un mio carissimo amico, come accade sempre).
Questa ragazza l’avevo conquistata con un regalo per il suo compleanno, dato che cadeva esattamente in quel periodo di frequentazione amorosa. Quando glielo diedi, lei mi disse:
- Bellissimo! Non è impegnativo come un intimo, lo adoro e poi è utile!
Era un pigiama. Ecco, in quel periodo della mia vita, pensai che regalare pigiami alle ragazze fosse un’idea fantastica. Quindi, con la successiva, feci lo stesso! Compiva anche lei gli anni. Andai a comprarlo e ne presi due uguali identici. Ora vi chiederete giustamente il perché di due pigiami. Uno lo avevo preso di scorta, per eventuali successivi compleanni, dato che c’era un’offerta irrinunciabile di “prendi due, paghi uno”. Quando lo vide, fece una leggera smorfia di delusa soddisfazione. Ci baciammo e ci demmo un appuntamento per la settimana dopo. Appuntamento che non venne da lei mai rispettato, perché mi lasciò ancora via cellulare con un “Stasera non esco e neanche per i prossimi 150 anni”. Ero incazzato come una bestia e pensai di provarci con la sua amica che non mi cagava neanche di striscio. La ragazza era molto bella e patita del body building. Aveva dei bei muscoletti, ma soprattutto un gran fondoschiena. Le feci una corte spietata fino a quando non uscimmo per un drink, dopo alcuni mesi. Quel giorno, cazzo, era il suo compleanno. Non so se era una maledizione, ma quando arrivammo sotto casa sua, ebbi la malsana idea di darle l’altro pigiama come regalo. Premetto che la fermai a pochi centimetri dalla mie labbra, dato che stava per baciarmi, lei che da buona culturista, sapeva prendere bene l’iniziativa. Le dissi proprio così:
- Aspetta, ho una sorpresina per te!
- Maddai!!! Un regalo? – Era su di giri.
- Certo…
- E come facevi a sapere che oggi era il mio compleanno?
- Sono un veggente!
Ero bello convinto di fare un figurone. Quando lo aprì e lo vide, passarono dieci secondi dove lei controllò il contenuto e io ebbi il tipico sorriso da ebete. Fece uno più uno, dato che le donne tra loro si parlano sempre. Si girò e mi sorrise. Poi, mi arrivò un ceffone di cinque libbre che ricordo ancora oggi con affetto. Sbatté la porta e gettò il pigiama nel cassonetto dell’immondizia. Passai alcune settimane a ripetermi questa frase delirante:
- Ma non potevo darglielo dopo! Cazzo!!!!
Quel giorno smisi con i pigiami e con le donne che compivano gli anni… e mi rubarono il cellulare e l'autoradio. E non andai mai a un pigiama party.

Cedrata

E niente. Penso a una persona, e trac, me la trovo davanti. Non vi è mai successo? Non so perché pensassi a questo mio amico di infanzia questa mattina al supermercato, sta di fatto che me lo sono trovato davanti. Lui ha fatto finta di niente. Ogni volta che ci siamo incrociati con i carrelli, lui girava la testa. Certo, saranno passati trent’anni, ma per Diana, smettila di fare il finto tonto!!!! (perché più che finto, sembri tonto!!). Decido di salutarlo io.
- Allora, ragazzo come te la passi?
- Ah, ciao, non ti avevo riconosciuto!
(Ma Vaffanculo!!!)
- Che mi racconti?
Ha iniziato a spararmi una raffica di eventi a lui capitati, un pippone lungo una mezzora.
- Sai quella là…
- No, non mi ricordo…
- Ma come fai a non ricordarti!!!!!
- Ora mi sfugge…
- Beh, si è sposata con me, la troia!!!!
(Ahia!!!)
- Ah, mi spiace…
- E sai quello là…
- No, non mi ricordo…
- Ma come fai a non ricordarti!!!!!
- Ora mi sfugge…
- Beh… lui e lei… capisci… bastardi… è fresca fresca… l’altra settimana… li ho beccati… minchia come mi fumano…
- Mi spiace…
- Sei sposato?
- No!
- Bravo!!! Non farlo!!! Divertiti fin che puoi…
- Certo…
Restiamo in silenzio come due babbei a guardarci per una ventina di secondi. Un tempo lunghissimo da sopportare, quindi lui azzarda la domanda:
- E tu, che mi racconti?
- Sai mica dov’è la cedrata?
In quell’istante mi è venuta una gran voglia di cedrata, saranno passati trent’anni, per Diana, che non la bevo!!!!

giovedì 6 novembre 2014

E' la strada sbagliata.


È la strada sbagliata. Lo so, ne sono consapevole, ma ho deciso di percorrerla lo stesso, solo perché mi è sempre sembrato inutile tornare indietro. Mi ero illuso che avrei avuto un’autostrada davanti, a tre corsie, sulla via del sorpasso, con l’acceleratore a palla come la musica nell’abitacolo. Ci sarà uno svincolo. Nessuna via d’uscita, nessun pedaggio. È la strada sbagliata - mi son detto. Non c’è un’anima viva. Ma io vado. Ci sarà uno svincolo, ne sono sicuro. Mi sono perso. Non ci sono montagne all’orizzonte, neanche un campo per giocare a pallone, una spiaggia per riposare. Niente di niente, eppure devo andare. Ho visto una tipa col pollice alzato, che faccio? Mi fermo? Rallento un centinaio di metri dopo. Lei corre verso di me con lo zaino in mano. Fa caldo, anche se il sole è sparito. La vedo dallo specchietto retrovisore. Sorride. Apre la porta. Ho le quattro frecce accese. Lampeggiano. Sembro un albero di Natale. Lei ha il fiatone. Tira un lungo respiro e si siede. Chiude la porta. Non dice niente di niente. Spengo la luce. Spengo la macchina, e facciamo l’amore.
- Ho sbagliato strada...
- L'ho sbagliata anch'io...

http://youtu.be/ADOQQiwgU0Y

sabato 1 novembre 2014

Halloween


Erano le dieci del mattino quando arrivò. Si sedette accanto a uno con la facciona grande, e disse testuali parole:
- Sa a cosa ho pensato stamattina?
- A cosa?
- Alla mia morte!
Non finì di dirlo che si sentì uno sparo di una magnum che gli fece saltare in aria la testa. Chi premette il grilletto si ritrovò la faccia e l’impermeabile pieno di poltiglia arancione. Estrasse un Fresch and clean e si ripulì il viso. Poi tolse l’impermeabile e coprì quello che restava del tizio. Assaggiò una punta della poltiglia e disse tra sé e sé:
- Anche questo, niente sale nella zucca.
Si avviò verso il bar, entrò, si guardò intorno e chiese una macedonia. Il barista rigido come un cetriolo rispose:
- Cade a fagiolo…
Gli porse la scodellina piena di frutti fatti a pezzi, e gli fece un segno col dito come per indicargli qualcosa sul viso.
- Ha la guancia sporca!
Il tizio si passò il dito sopra.
- Ah, niente, ho appena fatto saltare una zucca vuota!
A quel punto il barista si mise a ridere di gusto a bocca aperta e divenne rosso come un peperone. Si sentì lo stesso sparo della magnum di prima. Il proiettile entrò nella bocca del barista e uscì dalla nuca facendo andare in frantumi due bottiglie di Jack Daniel’s, disperdendo gocce di whisky miste a poltiglia intorno.
- Che pena sprecare ’sta delizia del Tennessee!!!
Naturalmente, il bar era affollato e il tizio tirò fuori un mitra e fece saltare tutte le teste come pomodori. Fu una strage. Lui si mise ad assaggiare tutte le teste e continuò il suo monologo:
- Nessuno che abbia del sale nella zucca!
Guardò l’orologio e disse ancora tra sé e sé:
- E sono solo le undici!!!
A un certo punto si sentì tirare i pantaloni e si girò. Vide un nano con un fucile a canne mozze puntato verso i suoi gioielli di famiglia.
- Che vuoi testa di rapa?
- Dolcetto o scherzetto?
Siamo in collegamento con “La vita in diretta” non sappiamo cosa stia accadendo all’interno dello stabile. Siamo all’ora di pranzo e quello che è accaduto questa mattina è agghiacciante. Ma chiediamo ai passanti:
- Mah, era una brava persona, salutava sempre!
Chiediamo a un‘altra.
- Sembra impossibile, un’ora prima ero passato di qua e non era successo nulla!
- Comunque, era un periodo che salutava un po’ meno del solito… - disse il più anziano.
Tutti convennero.
Quindi, rimando a voi la linea, dall’orto è tutto, a voi studio.
- Che si fa, Ros? Qui non si salvia più nessuno…
Ros Marino vide qualcosa...
- Aspetta, segui quella testa di rapa…
- Chi? Il nano?


http://youtu.be/xCxHvNl9MmQ

lunedì 27 ottobre 2014

Ho scoperto chi sono

Ho scoperto chi sono.
Dunque. Ero seduto sul divano di casa e me lo sono chiesto, chi sono? Poi mi sono guardato intorno e ho letto ogni oggetto, di getto, tanto all’etto. Ogni cosa era al suo posto, in disordine, un caos perfetto. C’è solo da spostare le cose, mi son detto. Solo alcune, non tutte. Poi sono salito sul tavolo e poi sono sceso, ho camminato a quattro zampe, e son saltato sul letto.
Ho scoperto chi sono.
Un po’ mi sono cagato addosso. Non è normale sapere chi sono, sei figlio di Dio, qualcuno lo ha detto, ma non ero io. Poi ho chiuso le finestre e le persiane, creando il buio, e poi di nuovo la luce. La sedia, il ferro da stiro, il muro, la pallina gialla, la mia voce. Ho cantato una melodia, ho ballato col gatto, ho mangiato il kiwi e ho ascoltato il mio corpo.
Ho scoperto chi sono.
Ho riso di gusto. Ma sei proprio tu, dai, non sei un altro. Sei scaltro! Il cuore a mitraglia, il fiatone addosso, il sudore alle tempie, la spugna sta a galla, la musica a palla.
Ho scoperto chi sono, cazzo!
Davanti allo specchio. Ho tirato fuori la lingua, ho fatto una smorfia, un dito nel naso e ho chiuso un occhio.
Son perfetto in difetto.
- E quindi, chi sei?
- Non te l’ho ancora detto?

http://youtu.be/kt0AwAxj0v0

giovedì 23 ottobre 2014

Le primule in ottobre

- Lo facciamo?
- Cosa?
- Te lo già detto!
- Non ne voglio sapere!
- Lo dovremmo fare!
- Ma siamo alla fine d’ottobre!
- Ma non vedi che sole!
- Ma l’inverno è alle porte!
- Ti ho fatto un maglione!
- Che cosa hai detto?
- Con l’uncinetto!
- Sei folle!
- Senti, io sboccio!
- No, non farlo!
E il fiore si è aperto, e anche quell’altro.
- Ce la faremo?
- Con quel gambo!
- Davvero?
- Mi vibra tutta la corolla!
- Sei la solita sgualdrinella!
Questa è la storia di due primule sbocciate in ottobre
Che fecero l’impresa di aprirsi in anticipo al sole
E dato che non voglio essere romantico in eccesso
Quei due, in autunno, non hanno aspettato a fare del sesso.
 

Licenziamento

Quello che scrivo vale solo per me, non fatelo a casa.
Esattamente, quattro anni fa, fui lasciato a casa dal lavoro. Stetti male per un po', poi entrai in una biblioteca, e cominciai a stare meglio, sono diventato anche intelligente, conosco pure il congiuntivo presente. (Lo giuro su Cicerone, che Dio lo abbia in gloria)
Da quel giorno a oggi ne sono successe di cose: vendo incipit, allevo gatti sperduti e faccio teatro...
ooooh che bello essere stato licenziato...

mercoledì 22 ottobre 2014

Dove nasce il vento?


- Dove nasce il vento?
- Io non lo so dove nasce il vento.
C’erano i soliti rumori all’esterno, quei rumori delle cose che si muovono. C’erano quelle che volevano farsi sentire di più e quelle più timide che si sentivano appena. Foglie, polvere, tettoie, lamiere, rami che si spezzavano: dialogavano tra loro una lingua incomprensibile. Noi eravamo dentro a oscillare, dato che solo le finestre sbattevano assieme alle porte, e qualcosa cadde a terra e si ruppe. Bastò un soffio più forte. Rimanemmo fermi quasi spaventati dal rumore assordante che fece vibrare anche il quadro sulla parete. Volevamo ascoltare il silenzio che c’era tra un soffio e l’altro, quella quiete piena di stelle, dato che il cielo era stato spazzolato. Quel lucido pensiero, quella novità improvvisa che solo uno spazio silente può donare. Avevo sete perché attraversai un deserto. Avevo bisogno di bere e tu mi hai baciato.
- Quindi, dove nasce il vento? – mi hai ancora chiesto.
Ti ho preso i capelli e li ho tenuti sollevati con le mani. Mi sono avvicinato, ti ho soffiato dietro le orecchie e ti ho sussurrato, annusando il tuo aroma:
- Il vento nasce dalla tua chioma.

http://youtu.be/QhMt9V1rKdo

sabato 18 ottobre 2014

Sum ergo cogito

Io non penso. Oddio, diciamo che il pensiero cartesiano “cogito ergo sum” non mi appartiene, mi appartiene l’esatto contrario. Ci sono tecniche per alleggerire i pensieri, e una di queste, è ascoltare il respiro. Ieri sera ero in un locale e, guardandomi intorno, ho visto una ragazza carina, come ce ne sono tante. Mi piacevano i suoi modi, mi piaceva com’era vestita, mi piaceva il suo viso. C’erano già molte cose che mi piacevano di lei. Assomigliava a Rosanna Arquette nella ...versione del film "Cercasi Susan disperatamente". Ha catturato la mia attenzione e ho cominciato a pensare a cosa avrei potuto dirle per conoscerla. Bene, ho pensato troppo e ho perso l’immediatezza. Quindi, non ho fatto alcun passo, come spesso succede, e me ne sono stato lì a rimuginare con i miei pensieri. Poi, però, mi sono messo ad ascoltare il mio respiro e qualcosa è successo. Quando mi sono alzato si è alzata anche lei, nello stesso istante, come se una forza invisibile ci avesse dato un pizzicotto nel sedere, e ci siamo incrociati. Ci siamo guardati con intensità, con attenzione e con cura. È durato pochissimo, ma tutto quello che i miei occhi hanno visto in quello spazio-tempo non si può descrivere a parole. Tutto questo perché non ho pensato, ho solo fatto attenzione.
 

giovedì 16 ottobre 2014

Stronzate


Ogni volta che guardi un bel film o leggi un buon libro, e scopri attimi sinceri o parole che sfondano i tuoi muri interiori, pensi a quante volte, in un solo giorno, saresti in grado di toccare livelli così intensi. Non li conti perché sono davvero pochi. Eppure ti emozioni per quello che vedi o leggi, ti fai trasportare dagli eventi, e forse ti senti anche bene, solo per un cazzo di film, e non sai come sia possibile che tu non abbia la capacità di sentirti così davanti ai tuoi vecchi, ai tuoi amici, ai tuoi figli, ovvero alle persone che ami. Magari dedichi giustamente del tempo a fare delle cose per renderti migliore: corsi di ogni genere per aumentare la tua consapevolezza, serate in palestra o che ne so, meditazione, dicendoti che lo fai come terapia. (Ogni cosa che esce dall’ordinario chissà perché diventa terapeutico).
Ti fai quelle cazzo di full immersion di ogni sorta di coinvolgimento emotivo, per recuperare una parte di te che si avvicini quanto meno a quando avevi sensazioni infantili, e non ti importava di sporcarti rotolandoti a terra. Sta di fatto che finita l’ora di yoga, danza, teatro o di qualsivoglia corso new age, ecco che si ritorna come prima. Ti sei preso un tempo di alienazione dal mondo, ti sei sentito rinato assieme a sconosciuti, e ne avete parlato (che bello!!! Vi siete detti), e tutti sono contenti, con un bel sorriso a trecento denti, entusiasti dell’esperienza. Poi, la porta si chiude e tu sei a casa, con tutta quella gente nella testa, tutta quella energia cosmica, ma che dico “universale”, e vai a dormire, e quella notte dormi bene, cazzo se dormi bene, dormi da dio. Quindi, hai fatto la tua dose di coscienza, hai staccato, come si usa in gergo dire, e ti sei fatto la tua terapia, proprio come quando vedi un film o leggi un libro, e ti ci infili dentro, e ti fai trasportare, e stai in tutt’altra dimensione, e te lo scopi (Credetemi, ci sono libri che si “scopano” nel vero senso della parola). Tutto questo per dire che non so bene cosa cazzo avrei di così importante da dire, solo che quando capita l’occasione, quando potresti dire qualche parola col cuore, quando potresti fare un semplice gesto, ti manca il coraggio, e diventi banale, solo perché quel gesto ti rende vulnerabile, e pensi che non te lo puoi permettere.
Stasera ho visto un bel film e ho capito una cosa, ho capito che dovevo scrivere questo, tanto per rompervi il cazzo, con un bel sottofondo musicale, e per attendere chissà quale approvazione, solo per sentirsi migliore, per celebrare se stessi, come di uno che ha qualcosa da dire. Stronzate.

http://youtu.be/B8qg_0P9L6c

mercoledì 15 ottobre 2014

Su questa terra


Sei miliardi o forse più. Individui che calcano la terra. Attratti. Cercare negli spazi. Marciapiedi affollati. Accorgersi. Guardarsi intorno e chiedersi. Basterebbe un contatto, uno sfiorarsi.
- Non abbassare lo sguardo.
Fermarti.
- È molto che aspetti?
E non rispondi. I tuoi capelli ondeggiano, la tua gonna pure. Il vento e la gente intorno.
Non ti ho dato alcun appuntamento. Non ti ho dato un orario. Non ti ho chiesto di venire. Non era previsto. Questo assurdo pianeta. Stare in questo luogo. Esattamente qui. Fermi. Parlo.
- Hai un motivo?
E ti metti a fischiettarlo. E poi a rumoreggiare. Escono piccole parole. Incomplete. Sottovoce.
Tra me e te. Una distanza vera. Un campo. Una grossa sfera.
- Sarebbe bello entrare…
Lo facciamo. Siamo. Più vicini. Il vento ci sposta. Diventiamo sempre più piccoli. Una bolla di sapone e scoppia. In minuscole bollicine invisibili. Miliardi di particelle. E siamo in ognuna di quelle. Nessuno ci vede più. Nessuno se ne accorge. Solo io e te. Spariti.
- Cosa bevi?
- Quello che prendi tu va bene!

http://youtu.be/sFmnLwRENlI

mercoledì 8 ottobre 2014

Responsabilità

Davvero vogliamo riprenderci la vita di merda che facevamo prima? Davvero rivogliamo le catene di montaggio, le miniere, i forni di stampaggio? Davvero vogliamo riappropriarci di quelle prigioni e occuparle? Possibile che non abbiamo altre visioni migliori? Sembriamo tanti carcerati usciti a respirare un periodo d’aria e di trasformazione, che non siamo ancora in grado di vivere il cambiamento epocale che è in atto, come una grande opportunità individuale. Siamo un paese che dovrebbe innanzitutto puntare sulla logistica, sull’artigianato, sulla cultura e sul cibo, invece vogliamo continuare ad assemblare, a riempire parcheggi e a correre per timbrare la fottuta cartolina. Abbiamo così tanta ricchezza che possiamo essere veramente lo stivale che sorregge l’Europa e che la fa camminare, invece siamo un’ancora che sta nel profondo del Mediterraneo, e tiene ferma la barca, per restarci sopra fino a quando non affonda. Siamo solo in grado di galleggiare. Finché penseremo che riproporre fallimenti passati sia la soluzione, resteremo sempre un popolo di incompiuti. Finché seguiremo la competizione capitalistica, l’uguaglianza comunista, o peggio, la carità cristiana o di qualsiasi altra religione, che ci hanno solo insegnato cosa non dovremmo fare, saremo sempre immersi nella paura. Beh, io ho smesso di farmi rappresentare da qualcuno, di pregare, di partecipare, "io scelgo di assumermi", sì, io mi assumo... la piena responsabilità di me stesso. 

martedì 7 ottobre 2014

Lupa


Quando hai inarcato la schiena, hai provato a sciogliere le catene della tua colonna vertebrale. Gli anelli si sono messi a saltare, e un drago ha percorso le tue vertebre. Come una lupa hai alzato il collo verso la luna e col muso l’hai annusata. Eri ferita da chi ti aveva dato la caccia, e hai ringhiato alla notte con le bave alla bocca. Quando hai raggiunto l’apice e la tua nuca ha toccato la schiena, ti sei trovata in piena estensione, e ti sei liberata. Il tuo pelo lucido si è fatto nero e ti sei mimetizzata col buio. I tuoi ululati di guerra si sono estesi e si sono sentiti in tutta la valle. Assomigliavi al dito che indica la luna, che io non ho visto, dato che ero pervaso dalla stoltezza, di guardare te, come unica indicazione di bellezza. Ti sei accorta di me, ti sei girata di scatto e hai respirato la paura. Io sono rimasto a fissarti come un cane che si era perso, e mi sono seduto a terra. Ti ho aspettato rispettando i tuoi occhi pieni di rabbia e mi sono abbandonato sul fianco per mostrarti la pancia. Allora ho capito quanto fossi indifeso e vulnerabile, e quanto tu avresti potuto, con un morso, uccidermi. Ho scavato una buca, ho chiuso gli occhi e sono scomparso tra le foglie. Sei venuta a prendermi con diffidenza e mi sei girata intorno come i vortici di un tornado. Volevi distruggere tutto: alberi, vigneti, case solitarie. Invece ti sei fermata sulla soglia del mio corpo, e ti sei quietata.
- Non perdermi di vista!
Mi hai detto proprio così.
- Non perdermi di vista!
Me lo ricordo ancora adesso che non smetto di tenerti gli occhi addosso.





lunedì 6 ottobre 2014

sabato 4 ottobre 2014

Pelle

Lei aveva la cravatta nera, una camicia grigia, le gambe magre e il culo a mandolino. Aveva i capelli color biondo con le sfumature scure. Trottava tra i tavoli del locale a servire brandy. Lui stava appollaiato in un angolo a fissare ulivi dentro enormi vasi. Lei si prese una pausa e si sedette al suo tavolo. Fecero alcune parole di circostanza, poi fumarono una sigaretta in due. Lui le disse che per lei sarebbe stato la neve in inverno, la pioggia in primavera, il sole d'estate e le foglie in autunno. Lei rispose di non esagerare perché si rischiava di essere banale. Lui non disse niente, anche se sapeva che le parole semplici funzionano solo se si trovano i tempi giusti. Era una questioni di tempi, e lui le prese la mano, e lei lo lasciò fare. Si toccarono il dorso col pollice e scoprirono che era per entrambi ruvido.
- Ci metti qualcosa sulla tua pelle? - lei chiese.
- Sì! - lui rispose.
- Cosa? - chiese ancora incuriosita.
- Io sulla pelle metto pelle.
La sigaretta finì come finiscono le stelle.
 

venerdì 3 ottobre 2014

P e b


P e b si sfiorarono un giorno. Erano sempre state lontane per un inspiegabile motivo. Tra di loro si insinuavano solo vocali. Si passarono accanto nella calca della gente, in una via del centro piena di negozi e di artisti di strada. Si accorsero di qualcosa, e si fermarono a pochi centimetri l’uno dall’altra. Fecero finta di niente, e guardarono una vetrina. Compresero subito, che a loro, avere una enne a ridosso, non gli si addiceva, molto meglio una emme, perché dava l’impressione di renderle più complete. La enne, se proprio doveva esserci, avrebbe dovuto, in primis, stare a una certa distanza. Se P e b si fossero ambedue unite in quel momento, B sarebbe diventata maiuscola. La loro vita insieme sarebbe stata una leva, se l’abbassavi diventava p se l’alzavi diventava b, certo minuscole nelle parole, ma non nell’unione. Avrebbero potuto accendersi e spegnersi a loro piacimento. Bastava solo che P fosse stata generosa. C’era solo l’imbarazzo della scelta. Si guardarono e b disse qualcosa:
- m
P non se lo fece dire due volte e ribadì la stessa cosa.
- m
Nessuna delle due si prese la briga di dire n.
Quel giorno, in quella strada di città, si sentì della buona musica, e si videro due consonanti in una, senza vocali.


giovedì 2 ottobre 2014

La macchina del tempo


Mi sono appena costruito la macchina del tempo. Una macchina singolare. Una macchina che va dove cazzo gli pare. Ho preso il tavolino, l’ho girato a gambe in su, e sono partito.
Il primo luogo, dove mi ha appena portato, è un burrone. Mi son messo a guardare. È profondo e non si vede la fine. Ora provo a chiedere alla macchina una spiegazione.
- Dove mi hai portato?
- Dove mi pare, bello!
D’altronde è stata costruita per quello.
Il secondo luogo, un altro burrone. Mi son messo a guardare. È profondo e non si vede la fine. Ora provo a chiedere alla macchina una spiegazione.
- Perché mi hai portato in un altro burrone?
- Perché faccio come mi pare, bello!
Conferma la sua validità di macchina costruita per quello.
Il terzo luogo, provate a indovinare?
- La finisci?
- Ma ti pare?
Ho bisogno di capire. Quindi esorto la macchina a ripartire.
Quarto luogo. L’oblio.
- Dove mi hai portato?
- Me lo sono dimenticato.
Ho girato il tavolino e sono ritornato.
Questa è la storia della macchina del tempo. Una macchina singolare. Una macchina che va un po’dove cazzo gli pare. Ho preso il tavolino, l’ho girato a gambe in su, e sono nato.
Che assurdità attribuire il burrone all’utero di mia madre.

domenica 28 settembre 2014

Viaggio al termine della notte

I libri andrebbero letti fino alla fine, ma non riesco più andare avanti. Ferdinand ha lasciato Molly e se n’è andato con la sua follia e con il ricordo di una bellezza infinita.
Avevi un vestito bianco come le nuvole, quel pomeriggio al lago, e sorridevi. Chissà perché sorridono tutte quelle che hanno un vestito bianco di pomeriggio al lago. Ci siamo concessi all’amore ancora un’ultima volta. Ho respirato ogni tuo poro, ho toccato ogni sporgenza delle tue ossa, e quei piccoli seni che sembravano non maturare mai. Ti dissi ciao che era un addio. Presi la strada incerta di un’esistenza senza la tua presenza scenica, un teatro chiuso in decadenza, una maschera da mettere ogni giorno. Ero lontano da casa e guidai in quel lungo rettilineo in cerca di una galleria, un luogo dove potevo entrare e poi uscire senza fatica. La vita è un lungo viaggio, ragazza, e io e te l’abbiamo fatto sulla corsia di sorpasso. Si dice così. Non ci siamo fatti mancare niente; una tavola imbandita di passione e noia, di carezze e silenzi. Ricordo i musi lunghi e quella figlia caduta spontaneamente come una pietra cade nell’acqua, e va a fondo. Ti chiederai perché una femmina, perchè le femmine sono immediate. Ho provato a immergermi nel lago di sangue ma lei era sparita nella barriera corallina. E no, non riesco andare avanti caro Ferdinand, Molly ti ha lasciato andare come si lascia andare un cane senza padrone, e tu hai seguito il tuo istinto, solo per non scoprire che avevi paura di annusare l’amore.
- No, non tornerai più… e poi non sarò più nemmeno qui…
I libri andrebbero letti fino alla fine, ma il mio viaggio non è più al termine della notte, il mio viaggio è far scorrere le pagine come scorrono le nuvole.

http://youtu.be/CKbZlthDld4

mercoledì 24 settembre 2014

Mattone


Avevo un mattone nello stomaco. Un cazzo di mattone con tutti i calcinacci. Pesava, mio dio, quanto pesava. Mi chiedevo chi cavolo me lo avesse messo. Sarà stato lo stress, parola abusata dagli specialisti che non studiano le persone. Sta di fatto che presi la decisione di correre e di sudare. Avevo Tom Waits sulle spalle che cantava qualcosa con la chitarra. Fumava come un ciminiera e ogni tanto ruttava dopo una golata di birra fresca. Avevo sto qua sulle spalle e il mattone nello stomaco, e correvo. Ma dove cazzo andavo? Quando le mie gambe non ressero più, mi fermai e mi sedetti in una panchina. Dietro di me c’era una siepe e si sentivano bambini che giocavano ridendo. Tom smise un attimo di suonare perché si stava rollando una siga. Io feci più attenzione all’ascolto e sentii un ragazzino dall’altra parte della siepe, che poteva essere un altro mondo, dire queste semplici parole:
- Vorrei che noi vivessimo così tanto da poter avere una leggera malinconia nel ricordare queste parole che ti sto dicendo adesso.
Non so a chi l’avesse dette, forse alla sua fidanzatina, al suo amico del cuore o meglio, al suo amico immaginario che non era altro che se stesso.
Tom si fece una grossa risata, tirò una lunga scorreggia che mi scosse le vertebre e suonò una canzone: non si può mai trattenere primavera. Nel frattempo, insieme alla canzone scomparse il mattone.


http://youtu.be/vgeZEdbv_m8

Adele


Il sole era alto. Lei era centrata con esso. Aveva i piedi ben saldi per terra e vide le sue ombre che assomigliavano a raggi di una ruota. Infatti si mise in moto e cominciò a ruotare. S’innalzò come una spirale nel cielo liberandosi da ogni fardello. Si sentì leggera e si mise a piroettare nell’aria. Quando il volo terminò, tornò nello stesso punto da dove era partita, e vide i suoi fantasmi esausti a terra. Li raccolse come si raccolgono le lenzuola e li spinse dentro un armadio. Quando tentò di chiudere la porta, un fantasma che non ne voleva sapere, quello più forte, le disse:
- Ma dove vuoi andare?
- Vado a vivere!
La mattina dopo ci fu un trasloco, sparirono i fantasmi e sparì anche l’armadio.