lunedì 29 giugno 2015

Like a Rolling Stones


Si chiamava Sarah Eloise Sunday Chestnut. Aveva più nomi lei del mio albero genealogico. Probabilmente, per generazioni, nella sua famiglia, si mangiava castagne alla domenica. A lei piaceva molto il lardo col burro. Era bionda con gli occhiali, poi se li tolse. Arrivava dal Wisconsin, precisamente dalle miniere del Wisconsin – sempre che lì, ci siano veramente delle miniere. Sta di fatto che lei era un’esperta di frane. Aveva anche fatto una tesi sui Rolling Stones stupendo tutti i docenti. Ogni volta che accadeva una frana, lei arrivava con una sedia. Restava almeno un paio d’ore a osservarla, con tutti gli ingegneri intorno, in attesa della sua considerazione. Altri ingegneri arrivavano in ritardo, sapendo delle sue lunghe riflessioni.
Un giorno disse:
- È stato un canguro!
Tutti si guardarono stupiti!
- Dall’altra parte del mondo! – disse sorridendo.
- Ah, ok! – sospirarono tutti all’unisono
- Ha fatto un balzo troppo deciso – disse con certezza, dando le esatte coordinate terrestri su dove fossero le orme lasciate dal canguro responsabile.
L’equipe degli ingegneri fecero una telefonata in Australia ai loro colleghi, che confermarono il punto indicato da Sarah. Il canguro non venne mai catturato e consegnato alle forze dell’ordine.
Sarah conosceva ogni minimo particolare sulle frane: dai granelli fino alle montagne. Sapeva leggere il disordine dei massi e della polvere. Era molto brava e rispettata. Il suo problema, però, era che non riusciva a stare senza una frana per un mese; quindi, se non accadeva più nulla, si buttava in storie amorose con uomini frana, perché sapeva solo attirare quelli. Gli si buttava addosso seppellendoli di baci.
Quando la conobbi, le chiesi ingenuamente se le piaceva il suo lavoro, e lei mi rispose:
- Hai voglia!
Sarah Eloise Sunday Chestnut era fatta così, diceva in continuazione “hai voglia” che era un po’ come “che te lo dico a fare!”.
Me lo disse a ogni mia domanda, facendomi franare addosso un desiderio di scavare in profondità nel suo animo come un minatore.
- Sai, devo essere reperibile in ogni momento! – mi disse – se succedesse una frana adesso devo correre immediatamente sul posto. Non ti scoccerebbe, vero, se ti abbandonassi all’istante?
Dissi di no, perché, in fin dei conti, se una persona ha un talento, è giusto che lo segua come le pietre che rotolano.
Infatti la telefonata arrivò e lei dovette andare. Mi salutò con un abbraccio e mi disse che mi avrebbe chiamato. Passarono alcuni giorni senza sentirla e dato che non avevo il coraggio di chiamarla, andai in montagna e provocai una frana. Quando arrivò, sembrava una dell’FBI, come nei migliori telefilm americani.
Mi vide e mi domandò:
- Sei tu che hai fatto sto casino?
- Hai voglia! - risposi.
Posizionò la sedia, e dopo circa un’ora di attenta osservazione, mi chiese:
- Che fai sabato sera?


domenica 28 giugno 2015

Giochi pericolosi


Ti vengo a prendere i polsi e mi porto le tue mani negli occhi.
Giochi pericolosi, senza identità, senza nomi.
Non siamo certi, siamo solo alcuni.
Non dirmi che ti faccio male, ho appena respirato i tuoi palmi.
Sanno di prati dove ho perso i sensi,
Tutti quanti.
Voglio sporcarmi.
Mi rotolo tra i tuoi fili,
Mi aggrappo ai ciuffi,
L’erba e i tuoi capelli.
Più li tagli, più crescono fiori.
Sento il canto degli usignoli.
Escono dai nidi e ci liberano dai vermi.
Ma non ti accorgi?
Sei il mio tavolo verde e mi gioco i miei averi.
Punto sul tuo luogo,
Porto la mia cesta,
Porto il mio tesoro.
La pallina corre sulla sponda,
Facciamo merenda.
Sembra un ciclista,
Solitario,
Sulla pista.
Ruota come quella mela che ti è sfuggita di mano.
È in quel frangente che ti amo.
È in quel frangente che mi gioco tutto.
Non guardo.
Non mi dire che ho perso.
La mela sta saltellando.
Qual è il numero che hai puntato?
Non me lo ricordo.

giovedì 18 giugno 2015

L'impotenza


Appena fatta la curva, dall’altro lato della strada, un’auto a tutta velocità invade la mia corsia. L’impatto sembra l’unica cosa precisa. Io non ho più tempo, malgrado sia lento, viaggio nei limiti di velocità. Rimango col volante in mano e il piede destro fermo. Non freno. Io non ho più tempo. Lui sterza di brutto e sfiora la mia carrozzeria e sparisce nella curva a gomito. Non riesco neanche a percepirlo nello specchietto retrovisore. Non è mai esistito, mi dico nella mente, come una specie di conforto. Stavo sognando. Non avuto neanche il tempo di spaventarmi, di rendermene conto. Potevo essere accartocciato tra le lamiere e incastrato tra il cruscotto e il sedile. Per un attimo ho pensato di sanguinare. Invece viaggio verso casa con Bob Dylan, una serata dedicata a Carver e una strada che attraversa la campagna.
- C’è qualcosa che ti conforta?
- Certo, l’impotenza.

Al Bar Lume


Al Bar Lume la luce è fioca, ci sono solo candele, e non tutte sono accese, solo alcune, per risparmiare. Al Bar Lume non si beve, si sorseggia. Al Bar Lume si fa finta e a volte si scorreggia: debolmente, poca aria, un soffio leggero, silente, dove l’odore si percepisce appena, e poi sparisce di narice in narice, lentamente.
Apre solo una volta al mese, non ci vado sovente, a volte passo e chiudo. Al Bar Lume il barista è nudo, o almeno sembra, dato che di lui si nota solo l’ombra. Prepara le bevande col contagocce, ad una ad una. Un caffè non costa niente, paghi lo zucchero, di granello in granello, di volta in volta. A me piace amaro macchiato caldo senza schiuma. Per il latte si fa una piccola offerta per mantenere la mucca. Al Bar Lume ad Halloween non trovi mai la zucca, trovi solo la candela. Al Bar Lume non incontri molta gente, vanno e vengono, e si assomigliano tutte. Se vuoi leggere il giornale, al Bar Lume, trovi solo i titoli di coda e non sono completi, le parole sono qua e là appiccicate ai muri. Il bagno, come tutti i bar, è in fondo a destra, c'è una piccola turca però manca la porta. Al Bar lume a nessuno scappa. Al Bar Lume ho conosciuto una ragazza, il mese scorso, da allora non l’ho più vista. Le avevo sussurrato qualcosa che riguardava il tempo, perché lì, il tempo, non è mai troppo. Al Bar Lume sei solo di passaggio. Non ci sono sedie e tavolini, manca anche il bancone. Al Bar Lume non c’è un cazzo, c’è solo un grande salone, e qualche davanzale. Al Bar Lume le cose le trovi per terra e devi stare attento a non inciampare. Oggi dovrebbe aprire ma è chiuso per lutto. Qualcuno dice che non è vero, che è una scemenza. C’è chi ha sentito un’ambulanza, una sirena in lontananza, a me sembrava la polizia, a un altro la finanza.
Un sospiro di sollievo, si è alzata la serranda…
- Come stai? Sei pallido – chiediamo al barista.
- L’ho vista brutta!
- Cosa hai visto?
- Un barlume di speranza.
Al Bar lume la speranza è sempre l’ultima a uscire, dopo i pasti, e il conto lo paga lei, con gli spiccioli rimasti.

mercoledì 17 giugno 2015

Gloria

- Le barche dovrebbero stare nell’acqua. Le barche non sono sedie. Lo sente come il lago le richiede? Eh! Lo sente? La sua acqua dolce ha bisogno di carezze. Le piace pescare? Non lo sa fare.
Non ha un’esca. Non dorma. Lasci stare. Io faccio un tuffo tra i mulinelli, mio Don Chisciotte. Potrei affogare. Non faccia la guerra. Ci sono i salvagente. Mio padre faceva il fabbro, poi ha smesso, perché si è arrugginito.
Gloria era fatta così. Non la smetteva di parlare: era un temporale. Buttava domande e frasi a cazzo solo per creare attenzione. Era brava, ogni cosa che diceva s’incastrava. Mi piaceva decodificarla. Ogni volta che capivo il suo percorso lei lo cambiava. Starle dietro era come correre appresso al vento quando ti ritorna in faccia. Le davo la caccia, in un luogo di pesca. Era troppo bella per essere vera, e io mi ero stancato della sua bellezza.
- Guarda, che non è come sembra. Io sono una ragazza semplice, una ragazza acqua e sapone.
Gloria leggeva ogni mio pensiero. Forse era arrivata dall’alto dei cieli come una meteora. Ricordo il giorno che la incontrai. Stavo sul molo a fumare la sigaretta, quando sentii dei passi incrociati dietro la schiena. Aveva un vestito da sera. Non ricordo il colore dato che era buio e non c’era la luna, ma ricordo lo scialle di lana.
- L’amo!
- Abbocca!
Solo più tardi, capii, che mi parlava in terza persona.

Incipit

Adesso dovrei scrivere un incipit per far passare il tempo, dato che attendo una persona che è in ritardo, perché è in ritardo il treno dove lei viaggia. Quindi, dovrei scrivere un incipit ma non ho alcuna immagine, figuriamoci le parole. Mi tocca assistere persone che chiacchierano e alcuni passanti che parlano. Provo a scorgere qualcosa, ma niente che possa darmi una benché minima ispirazione. Neanche la grappa morbida che sorseggio e scalda il mio cuore provoca qualche sensazione. Nulla. Eh, già, dovrei scrivere un incipit per questa occasione, ma niente da fare. Una candela accesa, un posacenere e una sigaretta spenta. Ma cosa potrei dire in un scenario del genere? Non so. Che i treni non sono mai puntuali? Che pago le tasse? Che ne ho le palle piene? Dovrei scrivere un incipit... aspetta... forse forse... qualcosa mi è venuto in mente... qualcosa di originale...
- Ha bisogno di qualcosa? - mi chiede la cameriera cancellandomi quel qualcosa che mi era arrivato come un treno puntuale.
- In realtà qualcosa c'era, poi è svanita - le rispondo come quello che ha appena perso la valigia.
- Mi spiace.
- Anche a me.
- Non se la ricorda proprio?
- Solo un barlume.
- Vuole che le porti un'altra grappa?
- Mi raccomando morbida.
Dovrei scrivere un incipit e mi viene solo in mente una cameriera morbida che mi scalda il cuore.

Le gambe di mia madre

Non so come sia accaduto. Le avevo massaggiate per ore: dalle sei del mattino fino alle nove. Avanti e indietro come il mare. Anni fa feci un corso per linfodrenaggio che non avevo mai esercitato fino a quel giorno. Aveva due gambe perfette. Lisce senza vene e senza grinze. Erano bianche, magre, dritte da far invidia a una ventenne. Mio padre disse che le avrebbe comprato una minigonna giusto per ammirarle. Eppure stavano su quel corpo che stava per spegnersi inesorabilmente. Erano belle, così come le ho descritte.
- Hai delle belle gambe!
Lei non rispose. Avevo paura che non mi sentisse, o peggio, non mi riconoscesse.
- Sai chi sono? – le chiesi avvicinandomi al suo viso.
Lei aprì gli occhi. Allungò le sue braccia ormai pelle ossa e mise a posto il colletto della mia camicia, e con un rantolo di voce, disse:
- Sei la mia vita!

giovedì 4 giugno 2015

Una strada d'arancio

Una strada d'arancio
per camminare sull'acqua
finisce là in fondo
dove inizia la nebbia.
Ho una gran voglia
di metterci l'occhio
in quel buco giallo.
Chissà cosa vedo!
Magari mi acceco!
Ne ho sempre poi un altro.
Acceco anche quello.
È solo un buco giallo
di una strada d'arancio
per camminare sull'acqua
aspettando un miraggio.

La bambina che aveva smeso di parlare


Era una bambina che aveva smesso di parlare da molti anni. Si diceva che lo avesse fatto perché tanto nessuno la capiva. L’ultima parola che disse fu... a pensarci bene me la sono dimenticata. Se ne stava accanto a me sulla panchina e si guardava i piedi che dondolavano come un’altalena. Nell’aria solo calore d’estate, vento sulle foglie, rumore di catena.
- Cosa vedi? – mi chiese all’improvviso puntando un dito nel cielo.
- Ma tu parli? – chiesi anch’io sbalordito.
- Tu ascolti…
Non era vero!
- Allora, cosa vedi?
- Un lago rovesciato!
Lei si mise a ridere con tutto il fiato.
- Ma non vedi che c’è un cane!
- Morde?
- Dipende…
Si mise poi le mani conserte e fece girare i pollici come una turbina.
- Che fai? – domandai.
- Produco energia!
Da quelle piccole dita qualcosa accadeva. Dire cosa fosse era inutile capirlo.
- Sono nata per sognare, talvolta…
- Non smettere…
- Cosa? – mi chiese come se fosse ritornata da una giravolta.
- Di venire al mondo ogni volta.