venerdì 29 agosto 2014

L'uomo che aveva capito tutto



C’era una grande attesa. In quel luogo lontano arrivarono in molti, molti di più di quelli previsti. Erano in ordine sparso, stravaccati. C’era un brusio di voci tra gente che si parlava alle orecchie quasi stessero giocando al telefono senza fili. Mentre ciò accadeva arrivò un tizio, quello che tutti stavano aspettando. Era proprio lui: quello che aveva capito tutto. L’unico al mondo!
- Ho capito tutto! – urlò a squarciagola ridendo di gusto.
- Finalmente! – disse uno che stava giù in fondo.
Partì un applauso non molto convinto. Poi, ci fu il silenzio.
- Ma come hai fatto! – urlò un pazzo.
- Siete voi che non capite un cazzo!


giovedì 28 agosto 2014

Il pittore


Era davanti a un telo bianco. Provò a riflettere la forma del pensiero nello specchio vuoto. Ricercò i colori per dipingere la luce, e si trovò nel buio. Non si vide più. Ogni cosa era scomparsa e non rimase più niente. Quando comprese il nulla, ci fu la scintilla. Un’esplosione di luce accecò il buio e lui comparve a cavallo di un grande pennello. Spruzzava colori intorno. Nacquero prati, fiumi, alberi, montagne e infine il sole che diede un pezzo di sé alla luna come quando il cielo lascia spazio alle nuvole. Il suo corpo era cosparso di verde, di blu, di rosso e di giallo da confondersi col mondo dipinto. Si mise a correre all’impazzata come quelli che hanno ricevuto un miracolo. Quando raggiunse il fiume, si specchiò, e vide la luce nei suoi occhi, che era stata accesa dall’unico interruttore a intermittenza: il suo cuore. All’improvviso l’acqua si squarciò e uscì una sirena, che lanciò in aria miliardi di gocce che divennero farfalle. Si avvicinò al pittore con gli occhi spalancati, e si fece ipnotizzare.
- Sei tu il creatore di tutto questo?
- Io sono lo specchio riflesso!

domenica 24 agosto 2014

Il frigo


E niente, ti svegli di colpo in piena notte verso le 4 del mattino dopo uno strano sogno. Sei su un cazzo di pullman che viaggia spedito, manco fosse una cartolina, tra tornanti di montagna e burroni a fare da sfondo, guidato da un tizio nella parte posteriore dell’abitacolo. Mi spiego, lui ha il volante e conduce il mezzo nella zona centrale degli ultimi sedili. Sei turbato e vai da lui attraversando il corridoio barcollando, perché lì sopra si sbanda. Non c’è nessuno intorno, solo tu e lui che guida dietro. Ti avvicini e gli chiedi:
- Come fai a vedere la strada?
- Io la sento!
A lui sembra facile, a te terrorizza lo scenario intorno.
Quindi ti svegli e vai in bagno come succede spesso in questi casi. Svuoti i tuoi turbamenti, prendendo coscienza che non te la sei fatta addosso, e all’improvviso decidi follemente di prenderti una vacanza a casa tua. Riempi la vasca da bagno di acqua tiepida, ci versi un kg di sale grosso e ci fai il mare. Ti prendi una birra, ti ficchi la musica dei delfini e del mare – roba strana che ti scarichi di solito e che non hai mai usato fino a ora – ti spogli pensando di essere in una spiaggia di nudisti, e ti ci infili dentro. Sono le 4 e mezza di notte e sei al mare perché l’acqua è salata e i delfini si sono messi a cantare. C’è sto andirivieni nelle orecchie delle onde, e bevi la birra, e ti accendi la sigaretta. Te la stai spassando anche se non c’è il sole, ma quest’anno non c’è mai stato, si è preso anche lui una vacanza. Togli le cuffie, spegni la sigaretta e fai un’immersione tenendo il fiato, e quello che senti, nel silenzio assoluto, è il rumore del frigo. Strano, ti dici, sott’acqua si sente meglio, è più limpido il suono. Già, è quel vibrare unico che ogni tanto cambia tono per non dire colore. Il frigo! Quel cazzo di frigo entra prepotentemente nel tuo umore. Si prende la musica nelle orecchie e il suo ronzio è di gran lunga meglio di quello delle zanzare. Lì ci tieni le cose che ti tocca conservare. Lì è freddo e anche ghiacciato. Diverso il rumore della caldaia quando si accende e soffia il suo rumore ogni volta che apri l’acqua calda. E allora apri ancora l’acqua calda e fai un’altra immersione e senti i due rumori insieme: uno freddo e l’altro caldo, e riemergi e ti fai una risata, una cazzo di risata. Esci, e ti è venuta fame. Ti fai un panino di wurstel e maionese e finisci la birra, e fumi ancora. Non ti sei asciugato e te ne stai nudo sul balcone dato che tutti dormono o sono in giro nel mondo. Che scenario!!! Tutto finisce col rutto e una asciugata veloce. Te ne torni a letto dopo un’ora di libertà per non dire d’aria. Ti sdrai nel letto e ti addormenti velocemente come un bambino.
- Ancora sto cazzo di pullman?
- Stiamo salendo ragazzo!
- Ma dove mi porti?
- Dove stai andando!

sabato 23 agosto 2014

Ave Maria


Mia madre nacque ottant’anni fa senza palato. Già, venne al mondo con questo scherzo del destino. C’era la miseria, per la miseria! Si mangiava poco, diciamo che mancavano gli integratori. Io non me ne accorsi mai fino a tredici anni, quando un mio amico mi disse:
- Ma tua madre parla strano?
- Mia madre non parla strano, idiota! – risposi stizzito.
Però da quel giorno presi consapevolezza che mia madre non parlava come tutti, solo che io non ci avevo mai fatto caso, ci rimasi ingenuamente male.
Qualche settimana fa, insieme a mio padre, sono venuti a pranzo da me, e io per fare il figo ho messo su un CD della Callas. Mentre quella voce incantevole aleggiava nella casa, mia madre cantava sotto voce tutte le arie. Da “un bel dì vedremo” a “casta diva”, da “amami Alfredo” a “tacea la notte placida”. Ero incredulo, le conosceva tutte a memoria, lei che aveva avuto solo la quinta elementare, che per colpa della guerra non aveva potuto frequentare le medie, e dopo dovette lavorare come si faceva a quel tempo: pulire le case degli altri.
All’età di quattordici anni, contro il volere dei genitori, andò a operarsi ma non fu un gran lavoro chirurgico, e vi risparmio i dettagli.
- Sai, Valentino, conosco a memoria quasi tutte le arie della lirica.
Rimasi come uno che si era svegliato da un lungo letargo.
- Sai perché mi sono fatta operare?
- No, perché?
- Perché sognavo di diventare una cantante lirica e cantare l’Ave Maria di Schubert.
Mia madre nacque ottant’anni fa senza palato ed è una cantante lirica.
p.s. sono queste cose qua che… (mi è andato il fumo negli occhi o forse l’ho sempre avuto)

http://youtu.be/j8KL63r9Zcw

Le cellule (Sono autodidatta)


In realtà non esistiamo.
Siamo solo energia compressa o qualcosa del genere. Ho letto qualcosa a riguardo, sono autodidatta. Uso internet, leggo qualche libro qua e là, il fai da te, il fai per tre, sta roba qui e sta roba là, e poi Einstein, tutto è relativo, fotoni, luce, nulla, vuoto.
Ecco, dalle mie interessanti indagini siamo vuoto, oppure siamo il pieno del vuoto o forse è il vuoto intorno che è pieno.
Tanti atomi dentro a cellule, troppi, come le stelle, che sono tante, milioni di milioni la stella di negroni vuol dire qualità.
In ogni cellula ci sono altre piccole cellule, e dentro a queste piccole cellule altre celluline, e dentro a queste celluline, altre cellulineine e così via.
Tanti mondi e tanti soli, e tante lune e pianeti, e ancora soli e lune e pianeti, miliardi di piccole galassie, infiniti universi, e tutto dentro di noi che poi è anche fuori, un dentro e fuori, un destra e sinistra, avanti e indietro.
Sembra che queste cellule siano come giornalisti che captano informazioni dal cervello, che è il governo centrale condizionato dall’esterno: da quello che vede, che sente, che percepisce e cazzate varie.
Ci sono le cellule di destra e quelle di sinistra, come i reni, come i polmoni, come i coglioni, come le ovaie, come le gambe, le braccia, le mani, gli occhi, le narici del naso, le orecchie e lo stesso cervello con due emisferi.
Poi ci sono gli organi unici, quelli coerenti: il fegato che è sempre stato di destra, mentre la milza e la cistifellea sono di sinistra. Lo stomaco è di centro come il cuore, anche se molti dicono sia di sinistra ma lui chiede i voti anche a destra. Poi c’è l’intestino ma lì ci va solo la merda.
Comunque, queste cellule vanno nelle loro sedi giornalistiche: i reni e i polmoni, e portano le notizie grazie a intercettazioni che spesso sono sbagliate, nel senso che non le respirano bene e non le drenano come si deve, tutto questo a causa di infiltrazioni mafiose: i virus.
Non si conosce la provenienza dei virus, forse arrivano dall’esterno o in realtà sono ben nascosti all’interno. Sfruttano il momento propizio, corrompono alcuni neuroni facendoli uscire allo scoperto alle narici del naso, che non sono le falde del Kilimangiaro.
La loro tattica è far credere di essere cattivi, così i neuroni influenzati dalla paura fanno una manovra correttiva, che correttiva non è, e disperdono risorse in attività inutili: i pensieri detti anche seghe mentali.
Le attività sane rallentano, perché alcune cellule impazziscono, si chiude il piloro, lo stomaco ha un reflusso, il fegato si indurisce e l’intestino si blocca, e non si capisce un cazzo.
Linfociti, leucociti, e altre cose che finiscono con citi, cominciano a manifestare il loro disagio ed interviene il sistema immunitario: le forze dell’ordine, e qualcosa s’infiamma e brucia, e di solito è un buco la via di fuga.
Non vi ho ancora parlato dei germi, veri extraimmunitari, che invadono i nostri sistemi linfatici nascondendosi in fabbriche abusive, che a volte si infiammano, nel senso che prendono fuoco, detti linfonodi, e rubano i posti di lavoro e sono sottopagati. Qualcuno, si dice, è arrivato anche al governo. Bisogna fare attenzione non parlano la stessa lingua, e rubano i cellulini, e succhiano i globuli bianchi, nel senso che sanno fare bene quel lavoro lì. Alcuni si travestono.
Per cacciarli usiamo sempre quel buco che serve per l’evacuazione.
Dentro a queste cellule ci sono delle proteine che formano dei movimenti che sono comandati dal cervello ma ogni tanto fanno un po’ come cazzo gli pare.
Infine c’è il DNA la nostra costituzione, la più bella del mondo, perché dicono che non si può modificare o almeno lui è convinto che sia così: il DNA o quella roba lì.
C’è anche l’RNA ma non so cosa cazzo sia, sarà un decreto legge o un emendamento.
Tutto si regge su impalcature ossee che a volte si possono rompere da incidenti di percorso e da terremoti popolari.
Il nostro corpo in realtà non esiste, è tanto rumore per nulla.
- Cos’hai?
- Mi prude il culo.

giovedì 21 agosto 2014

Acqua stagnante


Stavo fermo al semaforo rosso. Avevo la mente colma di pensieri, quelli che ti porti appresso. Liste della spesa, progetti, ansie, per non dire cataclismi. Aspettavo il verde come si aspettano le ragazze in ritardo agli appuntamenti. Di fianco, sulla sinistra, un’auto come la mia attendeva di svoltare. Mi girai per stirarmi il collo dalla durezza e dall’altra parte lo fece anche lei ma con più grazia. Rimasi a bocca aperta come un bambino quando si sorprende dalla bellezza. In quell’istante i pensieri svanirono come quando ci si inciampa per l’imprudenza, perché in quella frazione di secondo l’unica cosa che ti passa per la testa è la sopravvivenza. Mi accorsi di avere le braccia tese e le mani sul volante quasi con la strana percezione di trovarmi per terra.

Stavo ferma al semaforo rosso. Avevo la mente colma di pensieri, quelli che ti porti appresso. Liste della spesa, progetti, ansie per non dire cataclismi. Aspettavo il verde come si aspettano i ragazzi distratti dal tempo. Di fianco, sulla destra, un’auto come la mia, attendeva di svoltare. Mi girai per stirarmi il collo dalla durezza e dall’altra parte lo fece anche lui ma con più rudezza. Rimasi a bocca aperta come una bambina quando si sorprende dalla bellezza. In quell’istante i pensieri svanirono come quando ci si inciampa per l’imprudenza, perché in quella frazione di secondo l’unica cosa che ti passa per la testa è la sopravvivenza. Mi accorsi di avere le braccia tese e le mani sul volante quasi con la strana percezione di trovarmi per terra.

Scattò il verde. Le auto non si mossero. Un clacson suonò. Le auto partirono. Lui a destra e lei a sinistra. Il cuore batteva in testa. Bisognava decidere in fretta. Misero la freccia dopo pochi metri e accostarono. Fuori pioveva. Schiacciarono il pulsante delle quattro frecce all’unisono. Aprirono la porta e uscirono. Esitarono malgrado piovesse molto. C’era un viale davanti a loro. Decisero di correre verso una fermata dei pullman e si ritrovarono lì sotto al riparo dall’acqua. Tremavano come diapason per il tentativo di accordarsi sulla stessa frequenza. Lui prese l’iniziativa a pochi centimetri dalla sua faccia.

- Sai…
- Sì…
- No, niente, è che…
- Che?
- Ti sei fatta male?
- Qualche escoriazione, e tu?
- Solo un graffio…
- Dovremmo medicarci.

E vennero investiti da una grande onda d’acqua gelida di una pozzanghera stagnante, provocata da un’auto in corsa. Le ferite erano aperte senza difese. Lei cadde di peso e lui la prese.

http://youtu.be/ovyzzHXY3m8

sabato 16 agosto 2014

Cartoline (Tu vuoi l'America)


È un’indecenza. Non si scrivono più cartoline. Quei bei saluti da Varigotti o da Rosolina mare. Una volta, negli anni ottanta, ci dedicavi un giorno intero solo per quello, e di solito era l’ultimo della vacanza. Solo quelli attenti le scrivevano a metà percorso, ma erano quelli con meno fantasia e di solito ti raccontavano eventi che a te non fregava un cazzo. A te interessava ricevere solo quelle delle ragazze, e avresti voluto che ti scrivessero “mi manchi”, anche se non era vero, dato che limonavano duro, per non dire di più, col biondo muscoloso bagnino (Il bagnino è sempre biondo, e questa cosa mi ha sempre dato un sacco fastidio). Sta di fatto che ne compravi tante, coi francobolli e le spedivi anche a quelli che ti stavano sul cazzo. (Faccio una digressione. Negli anni ottanta, la raccolta di francobolli, ti serviva essenzialmente per invitare ragazze a casa tua a vedere l’album, dato che non sapevi prendere le farfalle. Ricordo che ci fu una mania delirante di massa sulla raccolta di francobolli, ma anche, e inspiegabilmente, sui pacchetti vuoti delle sigarette e le lattine vuote. C’erano stanze adibite a raccolte differenziate in quel periodo, grandi discariche interne, e Bennato cantava “Tu vuoi l’America”). Comunque, era bello stare lì con la penna in mano a pensare cosa scrivere dato che avevi già compilato il settore degli indirizzi (è sempre stata la prima cosa che facevi, era una legge non scritta che tutti rispettavano. In realtà eri preso dall’emozione di scrivere qualcosa di bello e impegnativo che poi non ti azzardavi mai di fare, dato che era effettivamente impegnativo). Avevi, come consuetudine a quei tempi, un’agendina dove avevi innumerevoli nomi quanto un elenco telefonico, e molti di loro non sapevi manco chi cazzo fossero. Ricercavi nel tuo animo di poeta mai espresso, frasi a effetto per le ragazze. Ah, se allora ci fosse stato Wikipedia avresti fatto sfracelli con poesie di Prevert o aforismi di Jim Morrison (certo che bastava comprare qualche libro, magari. Ma in quel periodo i libri servivano come mensole per le lattine vuote). Purtroppo non eri preparato, così con le ragazze meno dotate intellettualmente ti permettevi il lusso di sbagliare i congiuntivi, con quelle sapienti facevi scrivere le cartoline a quelli intelligenti (anche se poi ti accorgevi che erano scritte troppo bene per il tuo standard e ti avrebbero sicuramente sgamato, allora le spedivi a tua madre così credeva che tu fossi studiato). Ai ragazzi di solito scrivevi “Saluti” e manco ti firmavi. C’era anche il bello del post scriptum, dove gli ricordavi delle cose, che ne so, bagna l’orto e dai da mangiare al gatto, che quando tornavi ti ritrovavi l’orto che era diventato il deserto del Sahara e il gatto seppellito perché morto di fame, dato che la cartolina in questione non era mai arrivata per colpa delle poste di allora, che erano lente per non dire distratte, e magari era giunta in Africa dai Tuareg che allevavano leoni. Però il bello delle poste di allora, che erano inefficienti, ti consentivano di dire, a chi non avevi spedito nulla, che la colpa era della burocrazia o di chi era al governo a gestire il paese (motivo valido che si usa fare tutt’ora per altre inefficienze). Quindi, trovo che la tecnologia c’ha tolto il gusto di essere scrittori e di inviare parole che non avevano un’immediatezza come adesso. Allora le parole viaggiavano e molto spesso le ricevevano le persone sbagliate. (C’è chi ha ricevuto ora una cartolina del 1984 con su scritto:” Va tutto bene” da un tizio sconosciuto che era morto il giorno dopo per annegamento. Non immaginate la commozione dopo trent’anni). Sento la nostalgia della cartolina, quelle belle dall’estero, soprattutto per una cosa molto importante: per il francobollo, dato che ancora oggi non riesco a prendere le farfalle.


http://youtu.be/bSTuwY95Oag

venerdì 15 agosto 2014

Flower duet


Le vie deserte della città vuota si riempirono di voci soprane. Arie come spifferi di rose fuse con i gelsomini passavano tra le finestre semichiuse. Il profumo mi arrivò al naso attento ad annusare pagine di Baudelaire. Lontano, lontano da qui viaggiavano le note. Chiusi il libro e provai andare verso la finestra che dava sulla strada, per vedere casomai passassero ragazze con voci bianche a cantare opere parigine. Sedotto dall’armonia del suono scesi in strada e vidi carrozze trainate da cavalli bianchi salire la collina. Molta gente mascherata stava andando al castello al ritmo degli zoccoli. Ridevano. Mi passavano accanto e non mi vedevano. Io per loro ero un fantasma.
- Scusate dove state andando?
Nessuno rispose. Arrivai all’ingresso e non venni presentato come tutti, dato che non ero visibile ai loro occhi. Entrai in questa enorme stanza dove tutti danzavano al ritmo di Vivaldi. Ero in ciabatte con canottiera e pantaloncini corti. Non c’entravo un fico secco con il quadro generale intorno. Mi sedetti in un angolo e rimasi a fissare una damigella di una bellezza inaudita. Aveva un viso delizioso e una pelle bianca come l’avorio. Mi venne incontro come una libellula e si posò sulle mie ginocchia.
- Voi venite dal futuro?
- Così sembra!
Mi accorsi che tutto si era bloccato. Quello che c’era intorno erano statue di cera.
- Siete spaventato?
- Credo proprio di sì!
- Non vi preoccupate, l’ho fermato io.
- Vorrei comprendere lo scenario, se non vi dispiace.
- Certo, quello che vedete è parte del vostro passato.
- Non capisco.
- Ogni persona è addestrata per limitarvi.
- E chi li addestra?
- Voi!
- Io?
- Certamente, ogni volta che voi pensate di non farcela loro fanno festa!
- E ora, perché sono bloccati?
- Perché guardate me!
- E voi chi siete?
- La vostra coscienza!

http://youtu.be/uNBKfNo9Pu0

domenica 10 agosto 2014

Fly for you


Era una notte fin troppo coperta per essere estiva. Nuvole sognanti riflettevano il buio. Avrei dovuto immaginare che sopra di esse migliaia di stelle cadenti venivano inghiottite dalla luna. Quella palla gialla stava a ridosso della terra come un pulcino segue la gallina. Uscii sul balcone e aspettai un aereo che potesse atterrare sul cortile. Accadde l’inverosimile e un boeing si fermò a mezz’aria davanti ai miei occhi. Si aprì il portellone e una mano mi fece segno di salire. Non esitai neanche un secondo e mi trovai seduto vicino al finestrino. Non c’era nessun passeggero. Solo io e questo enorme aereo che decollò immediatamente verso il cielo. Superò le nuvole e virò verso la luna. Sopra vedevo il sereno e sotto la schiuma. Ci fu una tempesta di stelle e non ebbi il tempo di esprimere i miei desideri, soprattutto quelli che avevo sempre a portata di mano anche quando non è agosto e le stelle stanno lontano. La luna assomigliava a un grande faro per naviganti sperduti tra Scilla e Cariddi o tra cazzi e mazzi. L’aereo prese a sobbalzare e mi feci prendere dalla paura. Si accesero le luci delle cinture di sicurezza mentre io corsi verso la cabina di pilotaggio come chi corre per la prima volta verso l’inferno. Entrai col cuore in gola e chiesi cosa stesse accadendo. Si girò lei con due occhi di bronzo e i capelli di vento, e il cuore mi uscì dalla bocca.  
- Dove stiamo andando?
- Distante!
- Dove?
- Prendi la cloche e non fare domande.

http://youtu.be/86e57szhQo8

Notte di San Lorenzo


Vide una stella cadente. Espresse un desiderio, prese il telefono e fece quella telefonata. Sentì squillare dall’altra parte della cornetta. Il suono era goffo e tremolante come l’animo di chi aveva appena composto il numero. Per un attimo avrebbe voluto attaccare, oppure sperare che non rispondesse. Ma lei rispose con la sua voce inconfondibile dopo anni di silenzio inutile. Chiese chi fosse, e lui si mise solo a respirare e a non dire niente. Poi prese coraggio e rispose.
- Ciao, sono io…
- Non pensavo che potessi…
- Neanche io!
- Quindi che si fa?
- Riattacco!

sabato 9 agosto 2014

Piccioncino

Due giorni fa, tornando da correre per i boschi, mi ero imbattuto in un piccolo piccione – un piccioncino – che non riusciva a volare e urlava la sua frustrazione e paura. Avevo pensato di portarlo a casa e dargli da mangiare, poi mi ero ricordato che poteva essere un’ottima cena per Gatsby, e lo lasciai lì, dicendogli con affetto che era tutta una questione della Natura. Naturalmente, quando gli girai la schiena, credo che lui mi aveva alzato il dito medio. Oggi, l’ho rivisto ancora lì che zampettava avanti e indietro e mi sono chiesto come mai non fosse ancora morto. Ho cominciato a corrergli dietro per venti minuti urlandogli tutti gli insulti possibili sembrando il sergente maggiore Hartman di “Full metal racket”, ma niente, “Palla di lardo” dava qualche colpo d’ala e poi cadeva col muso per terra. Quindi mi sono avvicinato a lui e gli ho detto:
- Ti devo ammazzare, lo sai, merdaccia?
L’ho lasciato ancora qualche minuto per prendere fiato e dire le sue ultime preghiere, poi ho preso la rincorsa e mi sono messo a urlare come un ossesso. Lui si è rialzato di scatto, ha dato quattro zampate - giuro che erano quattro perché le ho contate - ha aperto le ali ed è decollato, quel gran figlio di puttana.
- E cerca di non cagarmi in testa ora, fottuto bastardo!

mercoledì 6 agosto 2014

Farfalla

 

Ho liberato una farfalla. Se ne stava contro il vetro a svolazzare. Credo non capisse la differenza tra la luce e la trasparenza: tra ciò che è vero e ciò che è apparenza. A quel punto ho aperto la finestra per liberarla, ma lei se ne restava lì appiccicata al vetro attratta dal mondo fuori che la richiamava. L’ho osservata per qualche minuto per capire se lei avrebbe capito la via di fuga. Niente, non voleva assolutamente cambiare direzione. Bastava svoltare leggermente, e bam, sarebbe uscita. Con una delicatezza che non conoscevo, ho preso le sue ali con due dita. L'ho messa nello spazio immenso e ha preso a volare disordinatamente proprio come una farfalla, e s'è innalzata verso il sole, e l'ho persa di vista.
Poi ho chiuso la finestra.
- Pronto?
- Pronto, sei libero oggi?
Che domanda!




 

lunedì 4 agosto 2014

Pioggia


Aveva finito cena con lentezza. Fuori il cielo era pronto per l’ennesima guerra tra nuvole che si schiaffeggiavano facendo scintille. I muri vibrarono assieme ai vetri delle finestre al passaggio del tuono. La caffettiera era sul fuoco già da qualche minuto e il rumore inconfondibile del caffè si mischiò col suo aroma. Lo bevve scottandosi la lingua, quasi un presagio di qualcosa che poteva accadere da lì a poco. Aveva finito le sigarette e decise di uscire per andare a comprarle. Si mise la prima cosa che trovò: una maglietta bianca, jeans sdruciti e un paio di scarpe senza lacci. Fuori pioveva a dirotto e lui non aveva un ombrello. In realtà non lo aveva mai avuto. Si diresse verso la macchinetta e il campanile scandì le ore che lui non si prese la briga di contare. Il suono delle campane unite al rumore del temporale potevano assomigliare a un allarme per un imminente attacco aereo, lui che della guerra ne aveva solo sentito parlare. Il paese era vuoto e silenzioso, solo le finestre assomigliavano a occhi indiscreti e curiosi. Infilò il denaro, prese il pacchetto di sigarette e attese il saluto della voce di donna all’interno della macchinetta, che lo ringraziava e lo salutava con un arrivederci, giusto per ricordargli che non aveva nessuna intenzione di smettere. La pioggia era insistente e malgrado fosse sotto a un portico pioveva di traverso. Si accese una sigaretta e vide in lontananza una ragazza correre verso di lui nel tentativo di ripararsi. Aveva un vestitino aderente bianco come il suo sorriso. I capelli neri erano lunghi e ondulati sulle spalle, e gli occhi assomigliavano a sprazzi di cielo tra le nuvole di pioggia. Quello che lo colpì fu che lei era scalza.
- Piove… - disse lei al suo arrivo.
Sembrava uscita da un film di Bertolucci. Fece segno verso la sigaretta.
- Posso?
- Certo!
E se la fumò giusto il tempo che si spense per l’eccesso di acqua.
- Ne vuoi un’altra?
- No, volevo solo fare un tiro.
Lui si accese la seconda sigaretta e la guardò bene nel viso. Aveva gocce d’acqua come lacrime disperse e disordinate. Respirava affannosamente e rideva.
- Sono pazza, vero?
Lui non disse niente, scosse solo la testa.
- Mi sono detta:”esci e corri”. Così ho fatto! Ho messo la prima cosa che ho trovato e mi sono dimenticata le scarpe, che cretina!
Il campanile riprese a suonare bloccando la voce di lui che avrebbe voluto rispondere.
- Io abito non lontano da qui… – disse la ragazza.
- Anch’io… qui intorno…
Gli prese la sigaretta e ci fece un altro tiro.
- Allora! Che dici? – chiese lei.
- Non so…
- Dai, non startene lì abbindolato!
- Ok! Sei la prima cosa che ho trovato!


http://youtu.be/8O7heJ5ILvM