martedì 25 novembre 2014

Anton Cechov


C’era una quiete nel suo corpo. Il suo viso cambiò forma come cambiano le nuvole nel cielo. Un suono di flauto usciva dalle casse del suo stereo, mentre i gatti si azzuffavano e i vicini urlavano le solite parole. In quel contesto, lui era immobile, in piedi e bendato. Faceva andare il corpo avanti e indietro e poi di lato. Voleva cogliere i suoi limiti e seminarli nella mente profonda come ancore per navi mercantili che tornano dall’America. Si tolse la benda e andò sul balcone a fumare. Le lenzuola erano stese anche se mancava il sole. Tornò dentro e tentò di aprire porte chiuse. Con una spingeva con l’altra tirava: la maniglia era sempre la stessa. Stava giocando con la cabala senza avere una chiave di lettura. Si diresse in bagno e si mise a pisciare. Aveva aperto il suo rubinetto tramite quella necessità fisiologica di liberarsi di acqua superflua, arrivata da ghiacciai lontani che scorre fino ad appoggiarsi sulla diga del suo organo sessuale. Tirò lo sciacquone e si guardò allo specchio. La faccia che aveva andava bene per la giornata in corso. Tornò al punto di partenza e disse ad alta voce che ci vuole disciplina. Certo, ogni tanto bisogna uscire giusto per sforare, ma sentire dentro quel dolore allo stomaco o quella tensione addominale è utile alla causa per comprendere meglio dove si depositi l’energia. Continuava a dire “grazie” nel silenzio della sua anima, per rendere giustizia a quel demone che lo sfida ogni volta che lui tenta un’avventura. Grazie e grazie ancora senza di te non potrei evolvere, disse ancora. Poi si ricordò di un passaggio del “Gabbiano” di Anton Cechov e se lo fece suo per essere autentico. “Ognuno scrive come vuole e come può. Ognuno scrive come vuole e come può. Lasciatemi in pace”. In quelle parole l’energia si dipanò in tutto il corpo, e come un gabbiano, si ritrovò a volare controvento.

http://youtu.be/1YIuE-j7haE

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