Non
avevo sentore di quanto avessi camminato, perché di solito non ho l’abitudine
di contare i miei passi. Avevo attraversato foreste e fiumi assieme a giorni e
notti. I miei piedi erano gonfi con grossi calli e le scarpe avevano le suole
consumate. Mi fermai lì, nello spazio di un prato eterno. Il sole sorrideva
alto e le nuvole non piangevano. C’era un silenzio profondo e anche il mio
respiro non intendeva disturbare la quiete intorno. Nessun pensiero era
presente e il vento era come uno scolaro assente all’appello. Quanto tempo era
passato? Quanta vita avevo trascorso? Ricordavo il giorno che ero partito ma
avevo dimenticato il percorso. Sapevo che dovevo farlo ma non sapevo cosa mi
stava aspettando. Sentii due mani delicate che mi toccarono le spalle e un
soffio caldo sulla nuca. Un profumo dolce di macedonia entrò nelle mie narici,
e pensai di aver dato frutto finalmente alla mia vita. Una voce femminile mi
chiese di chiudere gli occhi, e io lo feci con naturalezza, senza pensare a un
ordine costituito. Le mie labbra furono bagnate dalle sue, e tremarono
intimorite, da quel morbido cotone di marzapane impregnato dal succo di
mandorle appena raccolte. Quando aprii gli occhi lei non c’era ma il gusto per
fortuna era rimasto. Mi misi a correre verso il nulla e mi trovai
improvvisamente tra le sue braccia. Ci rotolammo sull’erba senza che riuscissi
a scorgere il suo volto. Aveva una pelle bianca e i suoi indumenti erano
solamente i suoi capelli lungi di un colore chiaroscuro. Ero abbandonato su di
lei, arreso alla sua natura. Quando spostò la sua lunga frangia e mi donò il
suo viso, rimasi a contemplarla a bocca aperta. Lei era la mia vita, la mia
unica bellezza.
-
Chi sei? – chiesi ingenuamente.- La tua isola segreta.
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