sabato 7 giugno 2014

Le bisbigliatrici


Quando mi sedetti accanto a loro ebbi la sensazione che a loro, non importava un fico secco che io mi fossi seduto. Parlavano sottovoce e sussurravano parole e frasi che per me erano inconcepibili. Quando tentai di avvicinarmi con l’orecchio per sentire meglio, l’unica onda sonora che usciva dalle loro bocche era simile al sibilo di un pallone che si sgonfia lentamente o quel suono veloce di vetture di formula 1 che senti solo quando guardi un Gran Premio alla televisione. Devo essere sincero, seppur nel loro linguaggio onomatopeico, queste due ragazze non stavano assolutamente parlando male di qualcuno, lo si poteva capire dalla loro postura, da un certo sorriso graziato e da occhi spalancati sull’attenzione. Erano regolari, c’era una sorta di par condicio tra loro, non avevano quel vizio maleducato di interrompere il discorso di un altro che ha la maggior parte della gente. Una, leggermente più rigida, teneva sempre le mani giunte chiuse tra le ginocchia e dava l’impressione che si stesse stirando i muscoli delle braccia, l’altra, molto più abbandonata anima e corpo alla forza di gravità, invece, teneva le mani sulle ginocchia e fissava in lontananza quasi in cerca di risposte a nessuna domanda. Non si scomposero mai, e tra i sibili e suoni veloci, secondo me, potevano passare dal parlare tranquillamente di Baudelaire e del suo rifiuto dei moduli parnassiani della poesia al montaggio preciso e dettagliato di un mobile dell’Ikea, senza riderci troppo sopra e senza sfoderare un faccia troppo seria. Sta di fatto che, le bisbigliatrici – nome che mi sono permesso di attribuire a loro – vivevano in un luogo a me sconosciuto malgrado mi fossero accanto. Per attirare l’attenzione feci finta di tenere un giornale in mano e, come un mimo da quattro soldi, leggevo le notizie bisbigliandole tra me e me. Dovevate vedermi con le braccia tese in avanti a reggere l’aria, con la testa che si spostava da sinistra a destra,  assomigliavo a quei matti di Collegno interpretati in passato da Totò e Macario. Comunque, riuscii nel mio intento, interruppero il Gran Premio come se fossero al pit stop e si misero a leggere anche loro. A un certo momento feci finta di girare pagina e loro all’unisono, sorprendendomi, mi dissero:
- Aspetta, aspetta…
Deglutii un po’ di saliva e chiusi l’invisibile giornale quasi turbato. Feci finta di arrotolarlo e di buttarlo via, poi dissi con decisione alle bisbigliatrici, che forse mi stavano prendendo per i fondelli, le seguenti parole, che erano più di sfida che di convinzione:
- Care ragazze, mi spiace per voi, ma il giornale era quello di ieri.
Loro, sempre all’unisono, sorrisero con grazia e mi risposero con cortesia:
- Oh oh oh non si preoccupi, non siamo ancora arrivate a bisbigliare del giorno d’oggi.

Nessun commento:

Posta un commento