La pelle sulle spalle. Una giacca senza maniche, una tuta
sgualcita di un astronauta in partenza. Alcune mattine la metto distrattamente
al contrario dando sfogo alle etichette, alle nervature, ai fili appesi come
indicazioni per vie d’uscita. Fili che se li tiri troppo accorciano il volume,
lasciando buchi che poi dovrei ricucire.
La pelle sulle spalle. Un mantello rosso da supereroe in un
periodo dove non ci sono più cabine telefoniche. Oggi non si può più mantenere
una doppia vita con il cellulare. Queste cose me le permetto casomai a
carnevale.
La pelle sulle spalle come quando tiro su la maglia per
coprire la faccia, restando nudo davanti a tutti con le mani in alto, per
arrendermi dopo che ho combattuto una guerra già persa. Un profugo, un
rifugiato che gira su se stesso convinto di andare in qualche luogo. Non ho fatto
niente, sono solo un fuggiasco.
La pelle sulle spalle: briciole di pane, neve da spazzare,
c’è grattugiato il mio nome, il mio codice fiscale, il mio curriculum vitae. Con
i pollici versi lo indico come un calciatore al pubblico dopo aver segnato in
una porta senza rete. Questo sono dentro, la pelle è solo un involucro che
cambio quando striscio come un rettile. Pieno di veleno, vorrei mordere chi mi
pesta la coda, vorrei uccidere chi mi si avvicina, vorrei deporre le uova e
schiudermi dentro per rinforzare la mia corazza da cavaliere senza infamia e senza
lode.
La pelle sulle spalle non è un peso, è il mio angelo
custode.
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