martedì 23 febbraio 2016

Lo sbalordito

C’era sto tizio che girava per la città, noi lo chiamavamo “lo sbalordito”. S’intrufolava in molte discussioni, e quando sentiva qualcosa che lo interessava, apriva la sua faccia. Stava sempre in sordina tra la gente alla stazione, nei locali notturni e in piazza. Credo fosse in grado di ascoltare tutte le voci intorno, facendo dei lievi scatti con la testa, per intercettare qualcosa che lo sbalordisse. Quando la coglieva, si catapultava verso quella persona che parlava, e spalancava le sopracciglia, le rughe della fronte si ondulavano e apriva leggermente la bocca come un neonato quando si sveglia. All’inizio pensammo fosse un deficiente, poi capimmo, invece, che era il custode della verità presunta. Delle volte si divertiva a dire: “è una cazzata”, soprattutto quando si parlava di donne.
Un giorno gli chiesi:
- Perché ti sbalordisci sempre?
Lui ci pensò e alzò le spalle.
- Non vuoi dirmelo…
Alzò gli occhi al cielo, cercò un rumore con le orecchie, e poi disse:
- Ho solo una bocca.
- Scusa?
- Pensa se ne avessimo due.
- Una per mangiare e l’altra per parlare.
- No, una direbbe la verità e l’altra le bugie.
- Comunque, ne abbiamo solo una.
- Una cazzata!
Prese la birra che tenevo in mano, e se la scolò. Fece un enorme rutto, mi diede uno schiaffetto sulla guancia e una tastata nella zona sacra emettendo un suono onomatopeico.
Spalancai le sopracciglia, le rughe della fronte si ondularono e aprii leggermente la bocca come un neonato quando si sveglia.


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