giovedì 17 luglio 2014

Karaoke



Era il 1994 o giù di lì, in quel periodo impazzava il Karaoke. Era una patologia simile ai videopoker, se non peggiore nella sua schizofrenia. Naturalmente, ci cascai anch’io, e presi a passare i miei fine settimana in un locale a cantare a squarciagola. Il mio cantante preferito era Edoardo Bennato, mentre altri andavano sul trio Morandi, Tozzi e Ruggeri per non dire i New Trolls. Ero, più o meno, alla centesima serata di fila e alla millesima performance, quando il gestore decise di fare una gara canora. Io, preso dalla mia furente necessità di esibirmi, decisi di iscrivermi, e andai a fare stretching e lunghi respiri in bagno per prepararmi, e per svuotare continuamente la vescica. Ero deciso e un po’ emozionato, fuori c’era il mondo con gente in ogni dove. Eravamo in otto. Vinsi i quarti di finale stracciando il mio avversario con “Prendila così” di Battisti, lui, che poverino, aveva proposto “Teorema” di Marco Ferradini. In semifinale ebbi l’ardire di cantare De Gregori con “Pezzi di vetro” e la scelta fu azzeccata, dato che l’avversario tentò un improbabile Claudio Villa con “Un amore così grande” che stonò in modo alquanto disdicevole per una gara così importante. Ora, sembrerebbe che questo tizio canti in un complesso di periferia che si fa chiamare “Negramaro”. In finale, trovai lei: Lidia. Una gran voce ma soprattutto un gran culo. Aveva dei fuseaux da far perdere la testa, almeno la mia. In finale decideva la giuria la canzone, e a lei capitò “Non sono una signora” di Loredana Bertè, mentre a me “Disperato erotico stomp” di Lucio Dalla, per rimarcare profondamente la mia indole di sempre, che alberga in me tutt’ora. Sta di fatto, che lei li pettinò tutti con la sua voce e vinse stracciandomi inesorabilmente, perché io presi solo un voto da un tizio pettinato come Billy Idol, con fascia sulla testa, polsini e calzini color fucsia. Non andai mai a ringraziarlo per ovvi motivi, e nessuno da quel giorno lo vide più, neanche la sua famiglia. Persi la gara, ma feci una corte sfrenata a Lidia. La convinsi, la stessa sera, a venire con me al mare il giorno dopo, e lei non si rifiutò (Eh, una volta le cose erano più facili. Tornassi indietro). Era il sabato di Pasqua e quando arrivammo in Liguria non c’era una camera libera se non a Borgio Verezzi. Dovete sapere che in quel periodo andavano tutti al mare a Pasqua, anche quelli come noi. Il mare non lo vedemmo mai perché scopammo come ricci per quasi due giorni interi. Solo a Pasquetta facemmo una passeggiatina di cinque minuti in spiaggia come due zombi che erano appena andati a donare il sangue. Ci demmo dentro alla grande, e cantammo in ogni posizione possibile. Sta di fatto che entrammo in Albergo come Al Bano e Romina e uscimmo come Bob Dylan e Joan Baez. Ci eravamo evoluti. Però, come tutte le cose belle, prima o poi finiscono. C’era troppa competizione canora tra di noi, così, un po’ per orgoglio e un po’ per sfinimento, le nostre performance a letto diminuirono perché non cantavamo più dal vivo ma in playback. Ci lasciammo e ci mettemmo con altri cantanti del locale: due mezze tacche. Volevamo ingelosirci a vicenda per vedere chi dei due era il più forte. Una sera ci ubriacammo entrambi, mandammo a fanculo le mezze tacche e andammo a fare del gran sesso dietro il parcheggio. Rientrammo e lei mi chiese di andare a fare una sfida sul palco, con una canzone di Ron molto in voga in quel periodo:”Vorrei incontrarti tra cent’anni”. Ron non lo tolleravo, già il nome mi narcotizzava e quella canzone mi faceva sobbalzare. Era anche stato un buon artista nel periodo di “Banana Republic”, ma dopo era rimasta solo la banana. Comunque, andammo sopra, ci sfidammo col microfono che assomigliava a una spada e quando finì la performance, lei si avvicinò e mi disse:
- Fanculo, sfigato!
- Fanculo, zoccola!
E non ci vedemmo più. Sono passati vent’anni da allora, quindi ne mancano ottanta…

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