mercoledì 2 dicembre 2015

Le mille e una notte

Prese i suoi capelli, con quelle sue piccole mani, e li lanciò in avanti verso di lui. Fece questo gesto inconsapevole come se stesse rovesciando un secchio d’acqua. Gli arrivò solo un vento asciutto sulla faccia, un vento che asciugava le parole non dette. Poi, partì un tango, un tentativo di leggere un corpo che gli stava appiccicato addosso. Era il tempo del dopo, perché prima si amarono in un letto doppio, diviso solo da un canale come quello di Corinto. Si infilavano a turno come navi che cambiano mari velocemente, senza avere la necessità di circumnavigare continenti. Si erano trovati facilmente come randagi, ed è bastato loro annusarsi. Lui ruvido come la sua pelle, lei sempre piena di speranze. Si sa che le donne sopportano meglio gli abbandoni, sono serrature che non si arrugginiscono come le chiavi lasciate appese sui muri. Fecero colazione affamati e divorarono dolci confezionati. C’era stato un momento nella notte che restarono zitti, o meglio ancora, spenti. Non c’erano forzature, vigili del fuoco che buttano giù porte, incendi dolosi. In quei corpi solo caminetti dove si sentono gli scoppiettii dei legni. Scintille che ti fanno chiudere gli occhi e ti scaldano le guance. Erano rossi, incandescenti, arabe fenici. Tostati come semi si sesamo da mettere sulla crosta del pane. Quando lei decise di andare, lui la vide al posto della porta, la mano di lei nella sua, una maniglia.
- Puoi aprirla quando vuoi – disse ormai diretta verso l’atrio.
Lui la guardò come la lampada di Aladino.
- Ci volevi proprio!


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