martedì 4 agosto 2015

L'ultimo indiano

Era l’ultimo indiano guerriero sulla faccia della terra. Cavalcava come un condottiero e teneva in mano una lancia. Come una vedetta esplorava tutto il Gran Canyon ovvero la madre terra rossa. Aveva una fascia nera e una piuma di avvoltoio in testa. Non aveva alcuna sella e neanche le scarpe, aveva solo qualche straccio che gli copriva il ventre. Era l’unico su questa terra a cogliere il silenzio. Per lui il silenzio aveva molte facce: era l’acqua dentro il cactus, era l’assenza di vento, era un fiore tra le rocce. Conosceva la storia dell’uomo da miliardi di anni. Gli era stata tramandata dagli avi, un passaparola che non aveva alcun bisogno di libri. La memoria era la sua enciclopedia. Conosceva i periodi aridi e i passaggi dei bisonti. Quello che non sapeva era che il mondo produceva solo rumore di cose metalliche e di elettrodomestici. Per lui l’elettricità era il fulmine nel cielo, e il rumore, il rimbombo di un tuono. Era l’ultimo indiano pronto per combattere battaglie senza nemici all’orizzonte. E poi lui non era indiano, perché gli indiani stanno dall’altra parte del mondo. Scese da cavallo, mise l’orecchio nella madre terra e provò ad ascoltare. Rimase qualche minuto come quelli che ascoltano il ventre di una moglie che aspetta un bambino, per sentire se qualcosa si muove, senza ricorrere a stupide ecografie.
- Tepee tomahawk wampun tashunka.
Disse proprio così.
- Tepee tomahawk wampun tashunka.
Cosa cazzo volesse dire lo sapeva solo lui. Girò il cavallo e si dileguò verso il calar del sole. Se uno lo avesse visto cavalcare avrebbe detto che nessuno al mondo sarebbe stato più bravo di lui ad alzare la polvere. Infatti nessuno udì mai quelle parole, solo il silenzio conosceva il suo cuore.
- Ehi, pellerossa! Cosa hai detto? – chiese il silenzio.
- Ho elencato le uniche cose che ho.
- Perché lo hai fatto?
- Per ricordarmele ogni giorno.





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