Prese bene
la mira, mollò la corda e la freccia partì. Non prese alcun bersaglio e si
conficcò a terra. Non aveva colpito alcun guerriero, malgrado fossero in
migliaia a correre armati verso il suo castello. Prese lentamente un’altra
freccia, la dispose correttamente nell’arco, mirò verso il sole e la fece
sibilare. La traiettoria era sempre la stessa: semicircolare. La freccia non
colpì nessuno neanche questa volta. Ne lanciò altre con la stessa cura, e il
risultato fu sempre lo stesso: un buco per terra. L’arciere in questione era
consapevole di non voler uccidere alcuno. La sua precisione era chirurgica; da
ragazzo si allenava con gli uccelli migratori. Infatti, la prima volta che
prese l’arco e le frecce, regalo del padre per il suo quattordicesimo
compleanno, tentò di uccidere un uccello. Era un giorno di autunno, lui prese
la via dei boschi. Appostatosi dietro una quercia, aspettò che centinaia di
uccelli si mettessero a danzare nel cielo formando straordinari stormi. Quando
li vide, prese la mira e scagliò la freccia nel cielo. Passò in mezzo a tutti i
volatili andando a conficcarsi in una nuvola. Comprese immediatamente il suo
talento: era un arciere fuori bersaglio. Era bravo a non colpire niente.
La guerra
finì, il suo castello fu conquistato, lui venne catturato e poi lasciato libero
per buona condotta. Un giorno, sulla cima di una montagna, scagliò la sua ultima freccia che fece il giro del mondo. Attese un mese. Esattamente il trentunesimo giorno, la freccia cadde ai suoi piedi.
- Cosa hai visto?
- Frecce che andavano a bersaglio.
- E tu perché sei tornata?
- Per essere lanciata nell’universo!
Prese la freccia e gli diede il ben servito.
La freccia passò tutte le galassie e uscì dall’universo. Quello che osservò fu straordinario, infatti, vide il bersaglio.
- Finalmente! – disse.
E colpì in pieno l’infinito.
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