mercoledì 27 marzo 2019

Il venditore di incipit

Penso che, tutti noi, da bambini, abbiamo avuto il nostro amico immaginario, quello con cui ci si faceva un po’ di chiacchiere, con cui ci si giocava e ci si scambiava fantasie, viaggi planetari, scoperte improbabili, visioni futuristiche.
Cosa ci spingeva a fare queste strane conversazioni?
Non di certo la schizofrenia, forse la ricerca della propria identità.
Quante volte ci siamo chiesti:
- Perché io sono io? Perché non sono un altro?
Queste domande ce le siamo fatte per un po’… poi… abbiamo iniziato a masturbarci.
Credo che la mia vita, malgrado abbia attraversato momenti belli e momenti brutti, sia stata, per un certo periodo, lineare. Ho ottenuto un lavoro sicuro ben retribuito, ho fatto la mia dose di sport agonistico, mi sono divertito, ho ballato, mi sono innamorato di una bella ragazza – anche più di una - e ho avuto una buona salute. Non ho mai fatto grosse cazzate, non ho avuto incidenti di percorso, non mi sono mai drogato - un paio di canne - non mi sono mai ubriacato - un paio di volte. Tutto nella norma. Strada dritta, qualche delusione, qualche problema famigliare, amici che vanno e che vengono. Un futuro segnato, una buona pensione. Fine della storia.
E invece no. Mi mancava l’inizio. L’inizio di cosa? L’inizio della crisi.
C’è crisi da quando sono nato. La parola “crisi” è una gran rottura di coglioni, forse, mi è sempre viaggiata accanto. Un giorno decise di tagliarmi la strada e di togliermi ciò che avevo. Mi ha tolto tutto. Quel posto non c’era più. E poco dopo non ci fu più neanche lei. E poco dopo non ci fu più neanche la salute. L’oroscopo non mi aveva avvertito. Quindi, ho dovuto prendere coscienza che la vita ha qualche curva, a gomito, sul muso. Una bella botta, da romperti lo zigomo e pure il naso.
Ho passato un periodo a correre alla mattina e a leggere tutto il giorno, e pure la notte, correvo e leggevo. Leggevo e correvo, leggevo e correvo. Chissà dove cazzo andavo?
- Tout commence par une interruption.
- Che minchiata!
Passarono alcune settimane e mentre correvo perdendomi nelle campagne intorno a Villa Meleto, dimora di Guido Gozzano, mi sedetti su di una panchina (ma questo già lo sapete da frantumarvi i coglioni) e incominciai a dialogare con sto cazzone immaginario, che non era nient’altro che quel me stesso che non ero io, ma qualcosa che mi riguardava da vicino, un cazzone immaginario. A quel punto decisi di scrivere. Come fanno molti. Scrivere. Il problema vero è che non lo so fare, o meglio, non lo so fare bene. Quando leggevo e correvo, e correvo e leggevo, mi dicevo che avrei dovuto correre di più, e che avrei dovuto leggere di più. Ero in ritardo sulla tabella di marcia, non ce la potevo fare. Troppi verbi da coniugare, troppe indecisioni, troppe sospensioni, troppe confusioni. Un bel casino.
Valeva la pena di tentare.
Non ho mai seguito un metodo, ho letto della scrittura modulare di Burroughs, del flusso di coscienza di James Joyce e alcune letture di Alan Watts sul TAO nella disciplina del Wu-wei. Fare nulla, provare a non fare alcuno sforzo, scrivere, fare un cazzo e chi se ne fotte, scrivere. Questa è la storia del venditore di incipit. Chi lo sa. Ma chi lo legge? Ma in fin dei conti, chi sono io? Perché io sono io? Perché non sono un altro?
(Il venditore di incipit)

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