sabato 2 febbraio 2013

Ulisse


Ero al solito locale, seduto su una panca, in compagnia di me stesso e di un rhum-cooler, quando entrarono loro: vestite di nero, capelli neri, appena tornate dal buio col bottino in mano.

Erano sorridenti e pericolose.

Arrivarono al mio tavolo con quattro calici di amarone, come se tenessero pistole fumanti da poco usate e chiesero di sedersi, sorridendo pericolosamente ancora.

Erano in tre ed ero circondato.

Mi porsero un calice e mi offrirono il vino e brindammo come cariatidi che sostengono l’universo appena depredato.

Sorseggiai i loro occhi, che sembravano mischiati dai riflessi dei calici e dai vortici del vino, che ruotavamo profumandoci l’aria.

Una era Poseidone, una era Scilla e l’altra era Cariddi.

Io mi limitavo, al momento, ad essere Nessuno.

Rompemmo subito il ghiaccio con quel poco che era rimasto sul fondo del mio bicchiere di rhum-cooler ormai bevuto.

Parlammo del più e del meno come calamite che si cercano in un campo magnetico in disuso.

Ero felicemente terrorizzato ma non lo davo a vedere.  

Andammo fuori a fumare domande, le solite, accendendole con candele per la sventura di marinai sconosciuti, così dissero loro, e pensai, se per caso, avessi abbandonato i miei compagni per seguire il canto delle sirene.

Mi soffermai improvvisamente con Poseidone e si mise a cantare… ed io non ero legato.

Misteriosamente e decisamente se ne andarono… a ballare, e mi chiesero di seguirle.

Rinunciai e le salutai come appena sveglio dopo un naufragio.

Rimasi assorto per una mezzora a grugnire nel pantano dei pensieri, e mi chiesi se era il caso di alzarmi e di andare da loro… era il caso…. E seguii il filo.

Arrivai al nuovo locale e Scilla e Cariddi danzavano, Poseidone no. Mi sedetti accanto e sparai cazzate perché non avevo caricato altro. Ogni tanto mi alzavo e ballavo come un molleggiato, poi mi risedevo e continuavo a sparare dato che rideva e sembrava gradire.

Bevemmo ancora e fumammo, ma questa volta i marinai erano salvi dato che di candele accese in giro non se ne vedevano.

Erano le tre ma sembrava che fosse ancora presto e ci infilammo nell’ultimo locale aperto, come se fossimo alla ricerca di un’isola perduta.

In quel frangente ci scambiammo contatti come estrazioni del lotto e ci soffermammo più sui dettagli e sulle confidenze.  
Chiudemmo con un arrivederci a presto, e sfumammo lentamente con qualche messaggio più tardi, sotto coperta, come marinai che, in realtà, non erano mai stati in pericolo.

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