mercoledì 11 gennaio 2017

Distesa


Eppure, questa ignota distesa, buttata lì, da una valvola aperta di una grande pistola impazzita che spruzza vernice fresca, non è altro che uno scorcio ampio e sconfinato del mio stare qui, seduto, sbalordito dalla rarità che si è manifestata davanti a me. Un frammento che si aggiunge alla mia inadeguatezza, in quanto incredibilmente perplesso dal panorama esterno, simbolo ineccepibile del creato. Eccomi qua, a soccorrere ogni mio cruccio caotico delle mie sciocche prese di posizione, ogni qualvolta che mi faccio sopraffare dalla vulnerabile solitudine. Questa compagnia di colori e luci, del mare e delle montagne, sprazzi di cielo, nuvole attese, chiaroveggenza, sono un balsamo ineccepibile che ammorbidisce con cura maniacale la riccioluta coscienza. Porto il peso dei miei giorni, dei miei ricordi, delle faccende, su questa vetta dove l’eco viene amplificato dai miei occhi, e s’infila in un imbuto immaginario sparendo all’orizzonte, ritornando poi come un boomerang invisibile nel mio zaino, dopo che ha fatto velocemente il giro terrestre rotolando come una biglia sull’equatore. Un grido dalle mie pupille, un laser da supereroe, una scia a forma di anello circolare in questo dipinto semidiurno: la Terra che diventa Saturno. È così crudele questa bellezza che paradossalmente cerco di chetarne la forza, per non farmi travolgere dalla voglia di gettarmi su di essa, senza paracadute, senza ali, senza una ragione, solo la ingenua convinzione di ampliare quella rara beffarda libertà di intendere. Tuttavia, non ho capito niente, benché stia silenziosamente borbottando tra me e me con un ghigno burlone, questo arzigogolato testo che invano provo a sperimentare, per offrire ai lettori un tentativo di poetica e di sintassi che possa soddisfare i palati fini, rimango piuttosto turbato dalla mia inguaribile umiltà d’animo, che molto spesso risulta eccessivamente pudica, davanti alla poesia d’autore. Quindi, non posso che alzare gli occhi al cielo, sperando di trovare, oltre le nuvole, i poeti francesi maledetti, in un tavolino del Bar Paradiso, a bere assenzio e a discorrere di versi con Montale, Pascoli e Ungaretti. Ed io, con servile dovizia, essere il loro cameriere prediletto, colui che prende le ordinazioni sul taccuino, tentando di catturare, a questi clienti ma padroni della poetica, la maniera più consona per cogliere una convincente ed adeguata metrica, che possa darmi una parvenza di credibilità agli occhi dell’umanità intera.
- Hey, ragazzo, portaci tre caraffe di vino e un caffè ristretto e corretto a Ungaretti…
- Corretto come?
Non c’è correzione che io sia abilitato a fare, al massimo posso solo copiare.


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