Ero lì con l’ombrello in mano sotto la pioggia, in una
stazione senza sala d’aspetto, in attesa di un treno in anticipo tra rotaie arrugginite
in controsenso.
Ero lì a camminare sotto la neve, ad ascoltare i miei passi
ovattati dai fiocchi che si ficcavano nelle orecchie come cotone senza acqua
ossigenata.
Ero lì straniero in un’isola popolata da giapponesi con la
macchina fotografica al collo, e bambini che mi stavano intorno, ed io
spaventapasseri in un luogo di soli pellicani.
Ero lì come un colpo sparato tra altri colpi, usciti da un
mitra per andare al solito posto come spermatozoi che corrono senza senso,
quando il senso lo capisci quarant’anni dopo, scoprendo di essere stato il più
veloce.
Ero lì in un quadro, che andavo verso una barca, e dietro un
sole in mezzo ad un guscio di uovo aperto in ristrutturazione, dipinto da un
Salvatore come quello che camminava sull’acqua, ed io che volevo essere l’acqua
per farlo affogare, solo per esclamare:”Ma che cosa volevi dimostrare?”
Ero lì a casa ad aspettare che mi suonassero il campanello
David Byrne e Nick Cave come due testimoni di Geova, per convincermi a cantare con
loro una preghiera dal titolo “Gloria” che non era in alto nei cieli ma al
centro della terra.
Ero lì davanti alla porta del frigo aperta, senza più una
birra da bere e una sigaretta in lontananza accesa che mi parlava:
- E quindi?
- E’ finita!
- Ma quando mi fumi?
- Devo andare a fare la spesa!
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