domenica 27 marzo 2016

"Lo Zio", il mister con gli stivali


Quando mi ruppi il crociato avevo trent’anni e pensavo che la mia modesta carriera da calciatore fosse finita. Poi, un giorno incontrai “lo Zio”, un allenatore di vecchio stampo che ricordava Nereo Rocco, che mi prese da parte in un bar e mi disse:

- Vieni a giocare nella mia squadra che ci penso io a rimetterti in sesto.

Detto fatto. Quell’anno vincemmo il campionato e segnai anche una decina di reti. Negli anni a seguire mettemmo in bacheca anche due coppe Piemonte e un terzo posto ai campionati italiani senza mai perdere una partita. Le grandi qualità del Mister erano improntate tutto sul lavoro fisico e psicologico. Prima delle partite, dopo aver dato la formazione e spiegato il modulo (3-5-2), aveva una formula magica per caricarci, una frase efficace, diretta, quella frase senza tanti fronzoli:

- Fuma nen i piciu!

Faceva tutto lui. Uno stakanovista del calcio di paese, un operaio del pallone, un appassionato dello sport, ma quello che contava era che lo faceva per noi. A lui interessava solo sedersi in panchina e passare il sabato pomeriggio a guardare la squadra, ovvero la sua creatura. Apriva il campo sportivo, tracciava il campo, riempiva le borracce, massaggiava chi ne avesse bisogno, puliva anche gli spogliatoi, lavava le maglie; in poche parole era tutto quello che avrebbero fatto insieme almeno una decina persone.

“Lo Zio” era burbero, a volte faceva il turnover, che non piaceva a nessuno.

A volte si litigava, si sbattevano porte, si prendeva a calci il secchiello dell’acqua, a volte si gioiva per un goal all’ultimo minuto. Dopo la partita si andava tutti a bere del vino al “Caffè Torino”: luogo di ritrovo dopo le vittorie (perché con “Lo Zio” le sconfitte non erano all’ordine del giorno). Aveva la mentalità vincente e sapeva leggere le partite. Stava impassibile in piedi, appoggiato alla panchina, urlando ogni tanto qualche improperio, ma si notava che era concentrato su come modificare tatticamente la squadra per vincere. Nel secondo tempo provava un profondo piacere a dire cinque o sei volte ai giocatori in panchina:

- Scaldati!

La classica frase che ogni allenatore del mondo pronuncia per cambiare le cose.

Un sabato sera in discoteca gli dissi:

- Zio, oggi hai letto bene la partita. (Non mi aveva sostituito).

- Fate furb, piciu! – mi rispose.

Io credo che lui leggesse di nascosto “L’arte della guerra” di Sun Tzu.

L’ultima volta che ho giocato per lui me lo ricordo bene. Ero l’ombra di quel calciatore che lui allenò anni prima, ma mi chiese di andare in panchina perché erano in pochi. A dieci minuti dalla fine perdevamo 2-0 e lui si girò verso di me, come solo lui sapeva fare, e mi disse la parola magica:

- Scaldati!

Entrai a pochi minuti dalla fine e feci due goal pareggiando la partita.

Lo Zio era così, faceva resuscitare i morti.

Non poteva offrirmi miglior uscita di scena, perché lui lo sapeva che ce l’avrei fatta.

Non mi dilungo, perché “Lo Zio” non ha bisogno di essere troppo venerato, ringraziato, elogiato, per me è stato e resterà per sempre “Il mister con gli stivali”, una specie di favola fortunata che il tempo purtroppo l’ha fatta concludere, perché a un certo punto quando il pallone corre più veloce di te devi capire, a malincuore, che è meglio appendere le scarpe al chiodo, e fare altro, magari scrivere.

Quello che interessa allo Zio è di aver lasciato ad ognuno di noi un pezzo della sua passione:

la voglia di stare insieme.



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