giovedì 2 luglio 2015

Che cosa potevo dirle

Che cosa potevo dirle. Aveva il suo orecchio lì a pochi centimetri dalla mia bocca. Si era anche spostata i capelli.
Che cosa potevo dirle. Non ero ispirato. Come al solito le parole ti arrivano quando sei solo, quando sei lontano. L’occasione dovrebbe fare l’uomo ladro, ma io non so rubare neanche un bacio.
Che cosa potevo dirle. Stavo perdendo tempo, quello prezioso. A volte il silenzio paga, altre è un segno che non viene condiviso. Qualunque cosa pensi di fare, chissà perché lo ritieni sbagliato. In effetti bisognerebbe sbagliare.
Che cosa potevo dirle col cuore in gola. Avevo perso la voce e la mia testa era colma di idee che scartavo in continuazione come si spazzano le formiche dalle braccia. Il suo orecchio sembrava che respirasse e che mi buttasse dell’aria fresca sulla faccia.
Che cosa potevo dirle in quella fessura dove al suo interno un martello aspettava di battere sull’incudine a un accenno qualsiasi di rumore.
- Hai detto qualcosa? – mi disse senza girarsi.
Scossi la testa. Lei guardò a terra. Io le sussurrai qualcosa.
- Vorrei dirti che la vita è racchiusa nel tuo orecchio, solo perché è disposto ad ascoltare ogni mio lamento: anche solo un suono, un sibilo, un avvicinamento. Vorrei scivolare sulle cartilagini, aggrapparmi al tessuto connettivo, per poi infilarmi nel tunnel di Dioniso. Vorrei ubriacarmi, cogliere ogni rumore e acchiappare le tue sinapsi come si prendono le lucciole. Vorrei essere la cera che le protegge, perdendomi nel labirinto della tromba di Eustachio. La via di fuga sarebbe la faringe, che io faccio finta di non vedere perché mi nascondo nel vestibolo. Quella struttura a forma di chiocciola, quella conchiglia dove si trovano i gioielli.
Vorrei starti attaccato come questo orecchio, solo per sentire quello che senti quando sposti i tuoi capelli.


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