Mi svegliai
con la faccia sulla sabbia. Il sole sorgeva e graffiava la mia schiena. Ero naufragato
con la mia zattera senza una bussola e neanche una cartina. Le forze le avevo
impiegate per salvare la pelle ustionata dal sale. Respiravo a fatica in quel
luogo misterioso, dove una falesia davanti a me, s’innalzava impetuosa verso il
cielo, troppo azzurro per essere vero. Mi trovavo in un’insenatura chiuso da
quella costa rocciosa. Dietro di me il mare. Quella piccola spiaggia era l’unica
via di uscita perché non ero in grado di arrampicarmi, non lo avevo mai fatto
in vita mia. Rimasi a fissare quella fascia di granito, per capire quanto
potesse essere alta, e a immaginarmi cosa potesse esserci sulla cima. Sicuramente
prati verdi e vallate fertili. Quando vidi che si muoveva come una colonna
vertebrale di una sirena, pensai a un’allucinazione. Spuntarono due scapole di
angelo e nervature mobili di serpente. La roccia respirava. Ondulava tutto, e trattenni
il fiato, e diventai rigido come la pietra. Vidi uno spostamento naturale,
piccole frane, una testa e un seno che spuntava.
Eri tu, appena
sveglia, con gli occhi piccoli come i capezzoli. Eri immensa in quella
posizione a forma di treccia, con i capelli che assomigliavano a foreste
trasversali dove gli alberi stanno aggrappati alla rupe da radici solide. Ti avevo
trovato leggendo il tuo corpo in quella forma a elica. C’era scritto tutta l’eternità,
tutte le tue ere, tutte le tue reincarnazioni. Un pezzo di DNA davanti ai miei
occhi, unità ripetute di milioni di filamenti. Io ero in ognuno di quelli come
lunghi percorsi da affrontare, come strade che non chiedono altro di essere
attraversate, e ogni volta che mi perdevo, ogni volta che ti voltavi, trovavi i
miei occhi felici come onde del mare che sbattono sugli scogli. Erano miliardi
di incontri, di spostamenti, di svolte e di naufragi. Li ricordai tutti: sia
quelli passati che quelli futuri. La falesia davanti a me era la tua schiena che eternamente freme, il mare dietro, la nostra vita insieme.
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