mercoledì 2 novembre 2016

Viaggio al termine dell'incipit (6)


La poca gente che viaggia con me sul pullman ha lo stesso sguardo dei contadini del mio paese natio. Meglio una sicura infelicità che una felicità incerta. Me lo dicono le loro espressioni, le loro rughe marcate, i loro calli, le unghie gialle. La terra: unico concetto, unico capitale, unica crescita. Piove e qualcosa cresce. Non c’è crescita più sincera della terra. Ma le facce dei contadini hanno la fatica tra la mandibola e le sopracciglia. Quella durezza di chi si spacca la schiena e contorce la faccia. Eppure fuori c’è il paradiso e Caronte alla guida. In fondo cos’è che ci riempie di felicità? In fondo siamo solo qui di passaggio. In fondo un ragazzo suona un violino. Toccare il fondo per risalire, questo è il dovere del seme. In questo luogo la luce è diversa, è una luce simile a quella di tanti anni fa. Sfumature, nebbia invisibile, lampadine fioche sui lampioni curvi. Umili lampioni di tutto il mondo, unitevi e alzate la testa! Troppo chiaro da dove sono partito, in questo luogo esiste ancora qualche margine di mistero. Sono tutti stravaccati sui sedili. La stanchezza li avvolge e li rende dei burattini. La stanchezza è vitale. Lasciatevi andare. La testa appoggiata al vetro, il naso mi duole. Vorrei chiudere gli occhi e dormire. Niente.
Quand’è che la montagna si prende il sole?
Quand’è che il mare si prende la luna?
Quand’è che la foresta si prende le stelle?
Io non ho paura. Suona ragazzo suona. Io ho una missione. Io e la mia pistola. Quando questo pullman si fermerà prenderò una decisione.
Una ragazza dai lunghi capelli neri avanza nel corridoio. Ha un vestito di gelsomini. Non sembra del posto. È magra come un ramo, un raggio di sole, uno spicchio di luna. Profuma di limone. Mi siede accanto e me lo spruzza. Le sue mani sono ramoscelli, le muove sospinte dal suo respiro, un fiato caldo d’estate le esce dal piccolo naso. Mi guarda con la bocca chiusa. Abbasso leggermente la testa verso le sue gambe come un lampione, le osservo le caviglie, scogli asciutti, c’è bassa marea, l’acqua si ritira. Si aggiusta i capelli, inarca la schiena, e sbocciano i suoi seni. Poi lentamente si lascia andare, non prima di avermi offerto i suoi occhi castani. Si abbandona. La sua testa si avvicina. La mia spalla si prepara. Gentilmente cade come una foglia e si adagia. La sua tempia nel vuoto cerca il contatto, dolcemente mi sfiora come se mercurio avesse incontrato plutone. La sua chioma solletica il mio collo.
Sono la montagna, il mare e la foresta. Lei le stelle, il sole, la luna.
Caronte rallenta, il paradiso è sulla mia spalla.
continua...



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