Lascio a voi le mie scarpe, le lascio perché le vediate.
Osservatele bene: sembrano abbandonate. Quindi, io dovrei essere quella che
scatta la foto a piedi nudi sull’erba. Invece sono lì, solo che sono
trasparente come l’aria. No, non mi sto rendendo invisibile, voglio solo che m’immaginiate:
ognuno con il proprio sentire, ognuno con le proprie credenze. Mi sono guardata
dentro, sapete, così tante volte da scomparire. Le scarpe… sono infilate. Non
vedete che danzo dalla testa alle caviglie?! Una gamba dritta e l’altra
arcuata, le braccia libere di disegnare, la testa in bilico pronta a cadere. No,
non lo vedete, non lo vedono neanche i miei occhi… non ci sono specchi. Or
dunque, chi sono? La risposta cambia continuamente… diamine, gente! non esistono
certezze e manco verità tutte intere. Ogni mio passo, con queste scarpe, passo
dal plurale al singolare. Ti ho scelto. Sì, proprio tu che stai leggendo. Guarda
le mie scarpe mi hanno portato tra le montagne e l’acqua corrente. Guardale
bene: sono le protagoniste.
Giulia è il mio nome. Giulia per girarsi. Giulia un indirizzo,
una cartolina spedita, un numero nell’elenco telefonico. C’è una cosa che ti
voglio dire, spedita come un sms, e te lo voglio precisare: quando incontro te
tendo a scordare il tuo nome… e pure il mio. Vuoi sapere il motivo? Se parlo con
te e condividiamo questa veloce esperienza, in questa conversazione leggera
come l’aria, diventiamo inevitabilmente parte integrante della trasparenza. Per
forza, santi numi! per sentire ogni briciola, ogni granello, ogni microbo che
compone interamente tutta l’esistenza.
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