martedì 6 dicembre 2016

Viaggio al termine dell'incipit (16)

In questa specie di semisogno che mi consente di osservare il disegno della montagna, tanto bizzarro, tanto realisticamente a forma di fantasmi, tutto l’essere mio risponde al dettaglio, di un ambiente di cui mai prima di adesso avevo presente; quella cosa che io potrei chiamare me medesimo, si fonde con le figure misteriose delle vette. E quanto più sostanziale, quanto più solido diventa il nocciolo di me medesimo, tanto più stravagante diventa la realtà vicina che mi sta sovrastando. Lo stato di tensione si è disegnato così sottilmente che l’introduzione di una sola particella estranea potrebbe sconquassare ogni cosa. In una frazione di secondo sto provando quella estrema chiarezza della conoscenza, ovvero, perdere completamente l’illusione del tempo e dello spazio: il mondo spiega il suo dramma simultaneamente, lungo un meridiano. In quella specie di eternità, arrischiata come in punta al grilletto più sensibile di una pistola, sento che ogni cosa ha la sua giustificazione, la sua giustificazione suprema: sento le guerre, i delitti, la miseria. Sul meridiano del tempo non c’è ingiustizia, ma l’illusione della verità e del dramma. Trovandomi faccia a faccia con l’assoluto, mi avvolgo nel miracolo di essere pronto a guadare il fiume della vita, per sopportare l’umiliazione e lo sfacelo. Soltanto idee pallide. E così io penso che miracolo sarebbe se questo miracolo che l’uomo aspetta in eterno si dimostrasse di essere solo queste immobili vette che sembrano fantasmi, perché il miracolo sarebbe il sogno di immaginare qualsiasi possibilità che nessuno ha mai immaginato e che probabilmente non immaginerà mai più. Per settimane e mesi, per anni, anzi per tutta la vita, io ho atteso che qualcosa succedesse, un evento intrinseco che alterasse la mia vita, e ora all’improvviso, ispirato dall’assoluta disperazione di ogni cosa, mi sento sollevato, come se mi avessero tolto dalle spalle un grande peso. Lasciarmi andare, non fare la minima resistenza al destino, in qualsiasi forma si presenti. Nulla è andato distrutto solo le mie illusioni. Sono intatto. Il mondo è intatto. Ai limiti estremi del mio essere spirituale ho ritrovato me stesso, nudo come un selvaggio. Se vivere è il meglio che ci sia allora divento una belva. Finora ho accettato di salvare la mia pellaccia preziosa, ne ho abbastanza, ho raggiunti i limiti della sopportazione, non posso ritrarmi più indietro, il passato è morto. Se c’è qualcosa rimasto alle mie spalle, dovrà scomparire ogni volta che mi giro. Sono vivo. Il mondo da cui mi sono staccato è un serraglio. Erompe l’alba del nuevo sol, ho superato la giungla, il buio, gli spiriti con gli artigli aguzzi, e sono pronto per azzannare con determinazione i miei inizi.
Solange, ho ancora la tua pallottola nel mio corpo…



Continua…


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