martedì 31 dicembre 2013

Discorso di fine anno alla stazione


Discorso alla stazione di fine anno.
Un anno e mezzo fa, quando in quel di Ortigia (A trovare un amico, nel vero senso del verbo), iniziai questa follia delle panchine e degli incipit, non avrei pensato di leggere da una persona che non ho mai incontrato parole di riconoscenza. Riconoscere senza conoscere. Bella roba! Ho compreso una cosa, e questo l’ho capito solo facendo teatro, non si fa qualcosa per se stessi, lo si fa esclusivamente per il pubblico. Mai voltare la schiena sul palco, devi sempre essere rivolto a loro e farlo per loro, naturalmente non per compiacerli, perché ti stai esibendo nella tua performance e non ti devi assolutamente preoccupare di piacere o di essere capito. C’è voluta un po’ di incoscienza e una strana sindrome da fantasma, come ho letto in un bel libro di Beppe Sebaste sulle panchine, che scrivere è una cosa che fanno solo i fantasmi, perché quando perdi tutto per cause troppo grandi per starci dentro, sei costretto a reinventarti, a metterti in gioco. La riconoscenza sono come la penna sul tavolo al matematico schizofrenico del film “A beautiful mind”, un attimo di beatitudine che vale una vita intera, parafrasando Dostoevskij. Quello che ho fatto in questi ultimi difficili anni è stato solo leggere un’infinità di roba e scrivere un’infinità di cose nel modo che so fare meglio: La sincerità d'animo. Non so se c’è stata un’iperbole personale verso il sapere ma c’è stata soprattutto verso il conoscere e riconoscere me stesso e gli altri, perché non mi basta mai, anzi non mi basta più, e finché respiro non smetterò di nutrirmi della riconoscenza, perché io per conoscere devo riconoscere ed essere riconosciuto. Buon 2014 o giù di lì.
(Il venditore di incipit)
 

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