Era
di una bellezza disarmante. Feci cadere a terra la spada, lo scudo, e mi tolsi
l’elmo. Avevo ucciso un grande drago tagliandogli la testa, ed era apparsa lei
lucente e vera. I miei occhi misero in moto delle sinapsi tra i milioni di
grovigli neurologici e mandarono l’immagine di lei alle mie cellule, che
tranquille in preghiera nelle loro chiese, fuggirono al suono spontaneo degli
organi, provocati da scosse telluriche improvvise. Il moto sussultorio durò
giusto il tempo tra il battito e l’altro del cuore, facendo impazzire il
pendolo che regola il bene dal male. Mi sentii libero come davanti a una porta
aperta di un carcere e respirai l’ora d’aria di un evaso innocente senza
imputazione. Provai a fare un passo, ma fui indeciso su quale fosse il piede
che doveva lasciare la prima orma di avvicinamento, neanche fossi atterrato su
un pianeta lontano. Arrivò un vento caldo che dipinse di arancione lo sfondo
del cielo, che prima era un miscuglio di giallo, rosso e azzurro mare, dato che
i pesci si erano messi a volare. Lei prese il sopravvento, lo scavalcò con una
capriola in aria e me la trovai a un naso da me, a toccarci la punta, per
annusare entrambi a quattro narici, il profumo naturale della pelle. Chiudemmo gli
occhi e ci afferrammo i visi con le mani per sentire il flusso, a trasmetterci come
taumaturghi onde idroelettriche, nella confusione del cielo diventato abisso. Affogammo
nell’aria. La barriera corallina era posizionata sulle nostre teste, a formare
strali d’amore lanciati da pesci con ali e archi al posto delle branchie.
-
Cosa senti? – disse lei aprendo gli occhi.- Un piacevole disordine! – risposi in piena dislessia nel leggere il contesto.
- Cosa siamo? – chiese quasi non conoscesse neanche lei quello che c’era intorno.
- Ancore di salvezza, credo!
http://youtu.be/YHPOlspAoRE
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