lunedì 10 febbraio 2014

La fenice

Trovarsi improvvisamente in un locale anacronistico denominato “La fenice”, dove non esiste cenere per risorgere, forse perché è da un po’ di anni che non si può più fumare. Scendi le scale e parte un lento, una canzone di Vasco Rossi: “un senso”, cantata alla Raul Casadei che non c’entra un cazzo, giusto per capire se avesse un senso passarci un’ora in quel locale, e giusto per capire se “avesse” è il congiuntivo giusto nella frase. Bevi un mojito che non sa di menta ma forse di basilico. Tutto anacronistico, con la dance music a palla a ricordarti che sono passati trent’anni e la gente è sempre la stessa, vestita sempre allo stesso modo, con gli stessi movimenti, quasi come se fossi proiettato in quei libri noiosi di Proust alla ricerca del tempo perduto, che dopo trecento pagine non ci hai ancora capito un cazzo e ti sembra di non essere mai partito, con la consapevolezza che comunque è stato scritto giusto, meglio di come sto scrivendo io adesso. Ti accorgi che la moda è rimasta ai quei tempi, come le pettinature delle donne, che non si sono ancora accorte che Claudia Schiffer è stata sostituita venti anni fa velocemente da Kate Moss, cioè un cambio dalla finzione alla verità. Tutto identico: il locale, la musica, i vestisti e i movimenti, quello che si sono modificati sono i corpi, con una rapidità da “lezioni americane” di Calvino, giusto per far vedere che qualcosa nella vita ho letto.
La questione non è che ho sbagliato locale, è qualcosa di più sottile: c’è veramente l’errore?
Ecco che mi viene allora in mente la notizia del giorno, che forse non c’entra niente, un’associazione mentale del cazzo, dove un muratore stucca un buco finto fatto nel muro da un artista bravo. Un’opera d’arte? Chissà! Sta di fatto che l’opera si è compiuta: chiudere un buco.
- Resta di stucco è un barbatrucco!
- Cos’è vero e cos’è finto?
- Non lo so, forse accade tutto nello stesso istante.

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