La panetteria era piena di gente, tutti a chiedere e a pagare in quel profumo di grano duro e di segale. Tutti schiacciati con la borsa e il dito in aria come quelli che comprano le azioni a piazza affari.
Finalmente arrivò il mio turno e vidi una ragazza nuova dietro al bancone, di quelle che servono solo dopo le otto, credo, per uno scherzo alla mia mania puntuale.
- Dimmi!
Uscì questa voce confidenziale, un soffio di flauto traverso, una musica nuova da percepire. Sorrideva con le ciglia, con le narici del naso e con la bocca, un oracolo dove infilarci la mano.
- Due pagnotte senza sale, grazie.
Scelse con cura nel cesto tra le altre. Credo cercasse le più morbide, schiacciandole leggermente, pensando fosse indispensabile quel modo di fare. Si voltò con una pagnotta sulla mano destra e l’altra sulla sinistra quasi per farmi vedere con gioia la sua scelta. Le pesò e mentre guardava la bilancia oscillare d’un tratto ricominciò il flauto a suonare:
- Scusa… così… perché il pane senza sale?
- Mi ricorda l’Abruzzo!
- Ci sei mai stato?
- No!
E si mise a ridere così bene che mi passarono tutti i dolori muscolari cristallizzati in qualche zona del corpo, che ricordavano giorni tutti uguali come una mappa di un territorio senza tesori.
- Che dici sarà una buona giornata? – suonò ancora.
- Non ho nulla da perdere!
- Preferiresti essere ricordato per avere riportato la risata nella vita degli altri o per esserti preoccupato che fosse tutto a posto nella tua?
Tornai a casa e chiesi al gatto di vomitare ogni mattina ancora.
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