martedì 13 gennaio 2015

Piramo e Tisbe

PIRAMO E TISBE
Uno spiffero d’aria gli tagliò la faccia in due. Una riga gelida irregolare da provocare un terremoto nelle ossa. Ebbe una crepa nel cuore e una guancia rossa. Il soffio spezzato proveniva da uno dei muri lì intorno, dove c’era una crepa, e si diresse verso di essa. La osservò con cura con uno sguardo paziente, anche se non era ancora ammalato, il freddo, gli congelò la mente. Il suo indice andò verso quella ferita e la mano gli tremava. Quando il dito si appoggiò sull’insenatura, si sentì un lamento di fanciulla arrivare dall’altro lato delle mura. Lui ritrasse immediatamente la mano, per paura di aver provocato un dolore più intenso. Fece un passo indietro, e si moltiplicarono crepe come si moltiplica l’immenso. Innumerevoli ramificazioni si aprirono davanti a lui, e apparve un albero di gelso. A terra frammenti di intonaco bianchi cambiavano colore come i profumi quando cambiano l’odore. Una ragazza dai capelli neri di un futuro funesto, camminò a piedi nudi sui residui rimasti, e gli andò incontro come si infilano i fulmini nei boschi.
- Ti ho atteso così tanto.
Lei non ebbe il tempo di capire, che una belva sbucata dal cemento, le strappò il velo e una parte del suo corpo.
Lui divenne pietra e si vergognò del fatto che era troppo tardi per salvarla dalla bestia, e si tolse la vita. Ma lei non era morta, era solo ferita. Quando vide lui morente con gli occhi della colpa, prese la spada, e dal dolore, si procurò nella sua carne una ferita simile a una crepa.
Il gelso produsse i suoi frutti color vermiglio, per ricordare l’amore, di due giovani morti, nato da un sottile bisbiglio.

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