lunedì 17 ottobre 2016

Il pubblico

Quando si sale sul palcoscenico, che tu abbia davanti cinque persone o cinquantamila, quello che fai, lo fai per il pubblico: col cazzo che lo fai per te stesso. Quello che ti è concesso fare, casomai, è tentare di sceglierlo, o meglio orientarlo il pubblico; quindi, se sul palco hai deciso di urlare tutta la tua rabbia, di vomitare tutto il tuo sdegno contro il mondo, non puoi dopo meravigliarti, se tra il pubblico, non presenziavano monaci buddhisti ma cani assatanati. So b...enissimo di essere un individualista, egoista, fancazzista e che vorrei, a volte, stare sul palcoscenico alla Nanni Moretti e urlare: “Pubblico di merda”, come gesto liberatorio, ma so benissimo che questo privilegio lo può solo avere un’élite di persone: i pagliacci. Sì, perché per essere un pagliaccio bisogna allenarsi molto, prepararsi, bisogna essere credibili, ma soprattutto avere un’intelligenza fuori dal comune e un livello di autoironia notevole, se no diventi sbruffone. La linea che divide un gran pagliaccio da quello dello sbruffone è sottile: nel primo caso ottieni rispetto dal pubblico anche se lo prendi per il culo, nel secondo caso sei sprezzante e credi di essere diventato un genio, o peggio dio. Ma dio non sa di essere dio. Chi si mette in mostra e decide di prendersi questi rischi, è perché vuole fare quello che più gli piace, ripeto: E' PERCHE' VUOLE FARE QUELLO CHE PIU' GLI PIACE. Quindi, quindi, quindi, che tu possa interpretare Shakespeare o che prenda a calci un pallone, il "Pubblico" viene prima di tutto; poi, ma poi poi, pensi a te stesso quando si è chiuso il sipario: sia che tu abbia preso applausi e fiori o che tu abbia preso fischi e pomodori.
Se nooo... fai il Pubblico!!!

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